Poco dopo il messaggio del Presidente del Consiglio, il ministro delle pari opportunità, Elena Bonetti, ha scritto su Twitter: “In sicurezza si potrà visitare un museo ma non si può celebrare una funzione religiosa? Questa decisione è incomprensibile. Va cambiata”.
Il tweet è stato rimosso poco dopo (e anche questo è molto indicativo del clima). Quello che implica questa dichiarazione, però, è interessante. La procedura normale è di solito questa: un decreto legge viene adottato dal Consiglio dei Ministri e convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni; in questo caso però Conte ha fatto un DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri). In questo modo non ha bisogno, a quanto pare, di chiedere l’autorizzazione di nessuno. Non ha bisogno nemmeno della firma di Mattarella.
Qui però partono due ragionamenti, che stranamente non sono stati fatti, o di cui si è parlato troppo poco.
Il primo è che Conte ha preso decisioni molto importanti senza nemmeno interpellare e informare tutti i ministri. Considerando che, dal tono del tweet, la ministra in questione sembrava molto interessata alla questione, possiamo escludere l’ipotesi che sia stata lei a disinteressarsi. Quindi Conte e il suo team prendono decisioni senza nemmeno informare i ministri – e nemmeno il parlamento se è per questo. In breve: anche se Conte con il DPCM può in teoria scavalcare tutti, non sarebbe più opportuno almeno informare il Consiglio dei Ministri come viene sempre fatto, e non coinvolgere solo alcuni escludendone altri? Può sembrare solo una questione di forma, ma in realtà è di grande sostanza. Crea un precedente molto pericoloso e ci fa porre una domanda: Chi sta prendendo in questo momento le decisioni dalle quali dipendono le vite di tutti i cittadini? Decisioni che potrebbero rovinare per sempre la vita a milioni di persone da qui agli anni a venire.
Chi comanda in Italia? Il ruolo di Conte e dei ministri in carica
Conte e le sue task force, composte da persone che non sono state elette da nessuno, ed in molti casi assolutamente sconosciute alla popolazione, prendono decisioni irrevocabili e non discutibili e non discusse né in Parlamento né in Consiglio dei Ministri. È legittimo e normale che un politico faccia affidamento su dei collaboratori, ma si possono prendere decisioni così importanti senza prima discuterle almeno in Consiglio dei Ministri? E se decidono quasi tutto le task force a cosa servono i ministri?
Il secondo punto è forse ancora più inquietante: se il Presidente del Consiglio ha in mano uno strumento tale, con cui può in teoria prendere qualsiasi decisione senza che nessuno gli dica nulla, chi garantisce che non ci sia un abuso? Non solo adesso ma in qualsiasi momento del futuro.
Secondo l’Avv. Andrea Caristi, esperto di diritti della persona, in realtà il DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) dovrebbe essere solo un atto amministrativo, che quindi non può limitare la libertà delle persone o entrare in aperto conflitto con le libertà costituzionali.
È come se, in nome di una emergenza nazionale, si usassero i regolamenti per le violazioni dei divieti di sosta per arrestare qualcuno. Va bene che il fine giustifica i mezzi, ma fino ad un certo punto, e soprattutto per un tempo molto molto limitato, altrimenti si scade facilmente nell’abuso. Sarebbe politicamente opportuno cominciare quanto prima ad emanare decreti legge, che poi vengano sottoposti al voto del Parlamento come da prassi.
DPCM: chiarimenti normativi
Per capirsi: i DPCM sono norme di rango secondario, sono norme regolamentari e/o atti amministrativi. Siccome le libertà concretamente compresse con le misure adottate dal Governo sono tutte di rango costituzionale, è necessario anche il controllo dell’autorità giudiziaria (TAR, Corte Costituzionale etc…). Questo vale sia per la libertà personale, che addirittura gode di doppia riserva di legge costituzionale, che per la libertà di impresa. Questo sia per norme di rango costituzionale che per la CEDU cioè la Convenzione Europea dei Diritti Umani. Vero è ad esempio che riguardo alla libertà di circolazione l’articolo 16 della Costituzione prevede limitazioni per ragioni di tipo sanitario però sempre stabilite dalla legge. Legge che al momento non è stata ancora emanata. Si procede da parecchie settimane per decreto del presidente del consiglio, cosa mai avvenuta in passato.
Questo è grave comunque lo si voglia vedere, da un punto di vista normativo: si è adottato un primo decreto legge del 23 febbraio e poi un secondo del 25 marzo col quale poi si demandava al DPCM per individuare in concreto le limitazioni da applicare. Questo decreto legge può essere individuato come una sorta di norma in bianco in quanto la norma che concretamente pone il precetto è il DPCM.
DPCM che, peraltro, non essendo un atto di legge primaria è sottratto al vaglio diretto di costituzionalità della Corte Costituzionale che invece valuta solo le leggi e gli atti aventi forza di legge.
Ciò non toglie però che essa resta sempre norma di rango secondario e che quindi eventualmente, in sede giurisdizionale, debba recedere rispetto alla legge e ancor di più alla Costituzione. È chiaro che sarebbe necessario che qualcuno sollevasse la questione in sede giurisdizionale. Magari appunto ricorrendo per vie legali e lamentando l’impossibilità di proseguire la propria attività lavorativa. Sono moltissime le attività che saranno penalizzate a tempo indeterminato (in qualche caso anche con logiche discutibili), chi tutelerà tutte queste persone?
La chiusura a tempo indeterminato di attività economiche confligge con la libertà di impresa e può essere disposta solo a fronte di una indennità, di un ristoro. Non si può inibire ad una persona a tempo indeterminato di mantenersi in vita e pensare di uscirsene con un prestito (che pochissimi riusciranno comunque a ripagare) o con un bonus di 600 euro. Bonus che molti non hanno ancora ricevuto e che forse non riceveranno in nessun caso.
Chi comanda in Italia? Verso una class action?
Tornando alla questione su “chi comanda in Italia?” è possibile anche rilevare che su questi punti la reazione dell’opposizione appare balbettante. Sarebbero necessarie forti prese di posizione nelle sedi istituzionali, non su Facebook. Più probabilmente sarebbe forse il caso che le categorie di piccoli imprenditori, artigiani, partite IVA, intraprendessero una class-action per avere il reale indennizzo che gli spetta e che la Costituzione garantisce.
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