La gran parte degli italiani si aspettava una riapertura un po’ più significativa, rispetto a quella descritta dalla bozza del prossimo dpcm. Il premier Conte ha affermato di aver seguito le indicazioni del comitato tecnico-scientifico e che, stando alle conclusioni, non è possibile fare di più già dal 4 maggio. La curva epidemiologica è entrata nella sua fase calante, la quasi totalità delle province ha superato il picco epidemico ma il numero di contagi – specialmente in alcune aree del Nord – rimane preoccupantemente alto. Ciò che, personalmente, risulta evidente,è che ha prevalso il principio di responsabilità e cautela rispetto a una linea più popolare e che sarebbe risultata vincente dal punto di vista del consenso. Partendo da questo presupposto, si può analizzare un elemento concreto della bozza del dpcm che sancirà l’inizio della fase 2.
Principio di responsabilità e criterio di proporzionalità
Anche se siamo nella fase calante della curva epidemiologica, non siamo ancora fuori dall’emergenza. Se si comparano i dati di ieri, 27 aprile, con quelli del 7 marzo (giorno in cui è stato annunciato il primo lockdown in Lombardia), il numero di morti e di contagi giornalieri (al netto di un numero molto maggiore di tamponi) è ancora decisamente superiore rispetto a quella data. La logica di fondo, di far prevalere un principio di responsabilità e mettere la salute e la vita al prima posto, è una scelta che non sembra pagare dal punto di vista elettorale e che risulta, per questo, ancor più difficile da prendere. Nell’epoca della sondocrazia (dove le rilevazioni demoscopiche “guidano” l’operato politico, tanto dell’esecutivo come dell’opposizione), la scelta di una fase 2 guardinga va in controtendenza con l’obiettivo di incrementare il proprio consenso.
Appurato ciò e al netto di una serie di storture e aree grigie (che dovrebbero essere risolte dalla versione finale del dpcm e dalle faq) sembra importante porre l’accento sulla proporzionalità delle misure. Bisogna partire dal presupposto che questo virus non lo si sconfigge: lo si contiene, si argina. Nonostante popolarmente venga detto, erroneamente, che dobbiamo sconfiggere il virus, tanto la comunità scientifica come gran parte del mondo politico sembrano essere d’accordo. Si limitano i rischi, si abbatte il contagio ma non si può annullare. Le ragioni sono molteplici: l’alta contagiosità; la presenza e la circolazione del virus attraverso una grandissima parte di asintomatici; la riapertura delle frontiere (prima o poi bisognerà tornare a viaggiare, anche se fosse solo per lavoro o per tornare dai propri affetti) e lo sfasamento temporale dell’andamento della curva epidemiologica tra un Paese e l’altro.
Tornando così al caso italiano, il primo dubbio che si solleva riguarda l’omogeneizzazione delle misure, da Nord a Sud. È evidente che in Regioni come la Lombardia e il Piemonte la situazione sia ben più drammatica rispetto a quella vissuta dalla Basilicata, dal Molise e, più in generale, dal Sud Italia. Si badi bene: l’omogeneizzazione delle misure può essere intesa in un doppio senso. Da un lato, come freno per il Meridione, che deve attendere il “recupero” delle Regioni settentrionali più colpite dall’emergenza da covid-19. Dall’altro, invece, come un passo in avanti affrettato per realtà ancora fortemente a rischio. È pur vero che i governatori e presidenti di Regione continueranno ad avere un forte potere discrezionale su ulteriori manovre restrittive ma, avendo scelto di percorrere la via della prudenza (che era la via politicamente più difficile da intraprendere) perché lasciare questo ampio margine d’incertezza? Ricordando che i confini regionali rimarranno chiusi almeno per qualche altra settimana, si poteva agire secondo un criterio di proporzionalità.
Misure asimmetriche e proporzionalità
A questo punto, torniamo all’obiettivo di questa fase 2 e, in generale, alle misure messe in atto a partire da febbraio. L’obiettivo iniziale era sicuramente evitare la diffusione del virus su tutto il territorio. Poi, si è passati all’appiattimento della curva epidemiologica per evitare l’intasamento delle terapie intensive e minimizzare (non eliminare del tutto) il contagio. Questi obiettivi sono stati fortunatamente raggiunti in varie Regioni d’Italia, in particolare al Sud dove il precoce lockdown ha provvidenzialmente fermato il dilagare dell’epidemia. Si osserva che la crisi sanitaria abbia colpito il Paese in maniera asimmetrica. Come tale, anche le misure da prendere dovrebbero essere prese in maniera asimmetrica, proprio per garantire quel criterio – o principio – di proporzionalità delle misure messe in atto e che è stato un punto fermo nella narrazione dell’emergenza da parte del premier. Questo è sicuramente un elemento cruciale che incide profondamente nel processo decisionale.
Dalla gerarchizzazione al compromesso: la grande sfida della fase 2
Sin qui, si è volutamente evitato di trattare la restrizione temporanea di alcune importanti libertà individuali. Volendo rimanere nel campo delle libertà, quella di poter vivere non può che essere prioritaria. Nel caso di una pandemia, le scelte e le azioni del singolo individuo producono effetti sulla collettività: così funziona la catena del contagio. Così, le libertà individuali vanno relazionate con la responsabilità collettiva.
Una volta che il Governo – dallo stato centrale fino alle
Regioni – assolve a questo compito fondamentale di garantire il diritto alla vita e alla salute, limitando il contagio e dando respiro alle terapie intensive, questo criterio di proporzionalità (legato direttamente all’obiettivo) assume un peso decisamente maggiore. Se, finora, è stata adottata una necessaria gerarchizzazione, adesso si dovranno ponderare principi e valori, libertà e diritti. Si passerà, insomma all’arte del compromesso, tanto cara a molti teorici della ragion di Stato. Sarà questa una delle sfide maggiori che attendono i governi, presenti e futuri.
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