Un’ipotesi campata in aria, giuro. Facciamo finta che.

Pubblicato il 28 Aprile 2020 alle 14:29 Autore: Nicolò Zuliani

Proviamo a immaginare un mondo di Fantozzi, ma senza le risate.

Un’ipotesi campata in aria, giuro. Facciamo finta che.

Facciamo finta che i primi report di Covid19 ci fossero già a dicembre. Queste informazioni venivano da fonti specializzate che ogni giorno segnalano focolai d’infezioni che spuntano in Asia e in Africa. L’aviaria doveva essere una strage: non è successo. La suina doveva fare lo stesso: non è successo.

Quindi la notizia passa in mezzo al flusso. In Cina succede il casino a Wuhan, i nostri osservatori segnalano allo Stato. Ma se il mio lavoro consiste nell’osservare e nel segnalare cose che POTREBBERO essere importanti, dato che non voglio rischiare lo stipendio per qualcuno che mi viene a dire “dovevi avvertire”,

io per sicurezza dico che tutto è urgente, importante, fondamentale.

Chi riceve la segnalazione vuole a sua volta tenere il proprio posto di lavoro, così, avendo davanti tutte le segnalazioni classificate come “emergenza”, dispone uomini e mezzi su ognuno in parti uguali. Così, se qualcuno cercasse delle colpe, lui potrebbe dire “ho fatto il possibile, ma manca personale”.

Quando il Covid19 arriva in Italia, gli ospedali segnalano l’aumento di strani casi di polmonite al ministero della sanità, che per il principio di cui sopra riceve quotidianamente segnali di emergenza.

Cosa fa?
Cerca di minimizzare, perché le altre volte funzionava.

Invece no.

A questo punto, frenetico scaricabarile nel trovare un responsabile, che a sua volta tenta di scaricare la colpa verso il basso. È colpa del ministro, no è colpa del governatore della regione, no, è colpa del sindaco, no, degli ospedali, no, dei medici, no, è colpa dei tagli alla sanità, cioè è colpa dei politici che sono stati eletti dagli idioti qualsiasi.

Quindi la soluzione qual è?
Minimizzare ancora.

È solo un’influenza. Milanononsiferma, Bergamononsiferma, fate finta di niente, uscite, prendete il caffè, è ridicolo pensare di chiudere gli stadi. Due settimane dopo è una carneficina, gli ospedali sono intasati, non si sa più dove mettere i vivi né i morti. Secondo stadio della negazione: ma sono tutti vecchi, è colpa loro – tutti odiano i vecchi, dopotutto. Cominciano a morire anche i sessantenni, poi i cinquantenni, poi tutti in percentuali che variano. La gente entra nel panico, chi governa si consulta con esperti veri e questi suggeriscono di mettere il Paese in quarantena.

Dopo 40 giorni il numero di morti e contagi cala, ma gente che non ha mai lavorato né conosce come funziona l’economia scopre che A) il fatturato di un mese serve e B) metà paese campa di lavori precari, non hanno un euro da parte e sono alla fame. Questo è il momento di pianificare la ripartenza, ma non c’è modo di far ripartire qualcosa che sulla carta non esiste.

Non si può fare un piano su chi non ha un piano e tira a campare, quindi hai bisogno di tempo.

Tieni chiuso più a lungo non tanto per il virus, ma per riuscire a contrattare degli aiuti economici perché tu non è solo che non sai da dove tirarli fuori, non sai nemmeno come o a chi darli. La distribuzione dei soldi diventa come quella del pane a Mogadiscio: il più forte che si fa largo a gomitate nei denti afferra un sacco, gli altri meno forti riescono a grattare quello che cade per terra, i deboli muoiono di fame. Quando chiedono pane ottengono poveracci da linciare, cioè quelli che non hanno segnalato l’importanza del Covid19.

Ma è tutto ipotetico, sia chiaro.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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