Nel mondo del diritto ci sono espressioni linguistiche specifiche che vanno chiarite nel dettaglio, onde non incappare in possibili equivoci o fraintendimenti. Per esempio, chi non è un “addetto ai lavori” o comunque non si occupa di norme tutti i giorni, forse non sa che le espressioni “assegno familiare” ed “assegno alimentare” non hanno lo stesso significato, ma anzi si distinguono l’una dall’altra. Vediamo perché.
Assegno familiare: che cos’è e come non fare confusione
Sgomberiamo subito il campo dai dubbi: la legge non parla mai esplicitamente, nelle sue norme, di “assegno familiare”: questa espressione è invece tipica del gergo comune, e ad essa vanno ricondotti sia l’assegno di mantenimento, sia l’assegno divorzile, questi sì ben conosciuti ed ampiamente disciplinati dalla legge. Essi non vanno però confusi o scambiati con il cosiddetto assegno alimentare, che è un concetto diverso e mirato ad altra funzione, come vedremo tra poco.
Come appena accennato, l’assegno familiare si distingue in “mantenimento” e “divorzile”, ecco di seguito la differenza:
- l’assegno di mantenimento è quel tipo di assegno familiare che riguarda una coppia di persone sposate che rompe il legame matrimoniale, e si separa. In queste circostanze, il giudice designato determina una misura di supporto economico per la persona, tra le due, con il reddito inferiore a quello dell’altra. Tale assegno è mirato a garantire la prosecuzione dello stesso tenore di vita che il destinatario aveva all’epoca del matrimonio. Non sempre però è dovuto: in caso ad esempio di persona richiedente giovanissima ed ancora nel pieno delle potenzialità di trovare una nuova occupazione, oppure in caso di matrimonio durato poche settimane o ancora in caso di addebito (per violazione degli obblighi matrimoniali di fedeltà, assistenza ecc.), l’assegno di mantenimento non spetta;
- l‘assegno divorzile è, invece, destinato alla mera autosufficienza economica dell’ex-coniuge economicamente più debole; esso scatta a seguito della sentenza di divorzio e non è vincolato al mantenimento del tenore di vita precedente, in costanza di matrimonio. Pertanto, per fare un esempio, se l’ex-marito o l’ex-moglie riesce a mantenersi da solo o da sola e quindi ha un reddito da lavoro o altro reddito, oppure si sposa di nuovo o convive stabilmente con una persona con un reddito, il diritto ad un assegno divorzile viene meno, pur essendo scattato il divorzio.
Dovrebbe dunque essere chiara la differenza tra le due tipologie di assegno familiare: l’assegno di mantenimento, in presenza dei requisiti, permane finché la coppia separata, non sceglie il divorzio. In queste ultime circostanze, il magistrato designato dovrà modificare l’assegno, che diverrà “divorzile” o “di divorzio”. Da quanto detto sopra, è chiaro che, in via generale, l’ammontare dell’assegno divorzile in genere è mediamente più basso rispetto all’assegno di mantenimento, in quanto il primo è mirato a garantire la mera autosufficienza economica, mentre il secondo è finalizzato a conservare lo stesso tenore di vita del periodo di matrimonio (quindi potenzialmente potrebbe avere un valore molto alto se la coppia conduceva una vita agiata grazie al reddito di uno dei due membri della coppia).
Assegno alimentare: di che si tratta e perché va distinto
L’assegno alimentare, anche detto “alimenti”, è invece qualcosa di completamente diverso dalle tipologie di assegno familiare appena viste. Esso infatti è da intendersi come una misura a sostegno dei familiari che versano in acclarate condizioni di bisogno.
In particolare, al cosiddetto “assegno alimentare” possono essere tenuti non soltanto i coniugi divorziati, ma anche l’eventuale donatario, i genitori, i figli, i generi, le nuore, i suoceri, i fratelli e le sorelle. Può essere sempre domandato al magistrato, ex artt. 433 – 448-bis c.c., ma esclusivamente nella sussistenza di un caso di “stato di bisogno” fisico o economico, da interpretare come reale e provata indigenza di colui che lo domanda, ovvero uno stato di incapacità a provvedere in maniera autonoma al proprio sostentamento. Gli alimenti – al pari degli altri assegni visti in precedenza – hanno natura strettamente personale, pertanto non possono essere ceduti a terze persone e non si ereditano.
In base alla legge, l’obbligato ha facoltà di adempiere all’obbligo di assegno alimentare – disposto dal giudice – alternativamente, o versando periodiche quote di denaro al congiunto in oggettiva difficoltà, oppure ospitandolo nella propria abitazione.
In buona sostanza, la persona che vuole ottenere l’assegno alimentare deve riuscire a provare al giudice che:
- non ha un reddito sufficiente per vivere dignitosamente;
- non è nella condizione di poter lavorare;
- sussiste un vincolo di parentela tra le parti;
- sussiste la disponibilità di denaro in colui che astrattamente sarebbe deputato a versare gli alimenti.
Concludendo, l’assegno alimentare di solito è versato ogni mese e con una misura proporzionata rispetto alle condizioni economiche del soggetto tenuto al versamento ed allo stato di necessità e bisogno del titolare. Va rimarcato che tuttavia l’ammontare dell’assegno alimentare non deve oltrepassare quanto strettamente necessario all’acquisto dei beni di prima necessità, vitto ed alloggio (come i canoni di affitto, le utenze e le medicine), sempre tenendo conto che tale misura è mirata a garantire la sola sopravvivenza del beneficiario (ad es. persona invalida che non riesce più a trovare lavoro o persona sommersa dai debiti).
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