Purtroppo non sempre il pagamento dello stipendio avviene con regolarità, ovvero secondo le tempistiche prestabilite. Talvolta, infatti, difficoltà economiche dell’azienda, se non una vera e propria crisi, oppure la mancata correttezza del datore di lavoro che di fatto non paga il suo dipendente, possono comportare una o più mensilità di stipendio non pagato. Ebbene, che fare in queste circostanze? come può tutelarsi il lavoratore, per porre rimedio ad una situazione non conforme a quelli che sono i doveri delle parti del contratto di lavoro? Facciamo chiarezza.
Stipendio non pagato e dimissioni: il punto della giurisprudenza
Laddove il datore di lavoro o l’azienda non versino quanto pattuito come corrispettivo per la prestazione di lavoro svolta dal dipendente, questi ha certamente diritto di tutelarsi. In altre parole, lo stipendio non pagato di fatto costituisce un valido presupposto per attivare le dimissioni per giusta causa (e senza obbligo di preavviso), oggi possibili però soltanto in modo telematico (di esse abbiamo già parlato diffusamente qui). Tale modalità di scioglimento del rapporto di lavoro permette comunque al lavoratore di ricevere l’indennità di disoccupazione Inps, ovvero la cosiddetta Naspi, altrimenti non spettante in caso di assenza di giusta causa. Infatti, alla base della scelta di andarsene, compiuta dal dipendente, c’è sempre un grave inadempimento da parte del datore di lavoro, che – in quanto grave – impedisce di proseguire il rapporto di lavoro.
Il punto è però capire come individuare il lasso di tempo superato il quale, il lavoratore può legittimamente far valere la giusta causa di dimissioni, ovvero entro quanto tempo l’azienda è tenuta a versare la busta paga nel conto corrente del dipendente. Si tratta di un problema delicato, in quanto la legge sul punto non dà alcuna risposta esaustiva: è stata piuttosto la giurisprudenza che – analizzando i casi pratici – ha stabilito alcune regole di riferimento e ha chiarito quando le dimissioni per stipendio non pagato hanno efficacia giuridica.
Il CCNL come normativa di riferimento in queste circostanze
In particolare, la Corte di Cassazione ha indicato che il termine di riferimento, entro cui va versato obbligatoriamente lo stipendio è di solito incluso nel CCNL di categoria (o anche nel contratto individuale di lavoro). Anzi, è ben probabile che in tale fonte normativa si possa trovare scritto che lo stipendio non pagato entro la data prevista, costituisce fatto idoneo alle dimissioni per giusta causa. Insomma, i giudici hanno chiarito che bisogna leggere con attenzione quanto disposto in merito dal contratto collettivo nazionale di categoria, applicabile allo specifico rapporto di lavoro. La risposta, quindi, non si trova in qualche legge, ma nel CCNL. In buona sostanza, se il datore supera il limite temporale fissato dal contratto collettivo, anche di un solo giorno – oppure se il ritardo supera il numero di giorni consentiti nel contratto – potrà far scattare le dimissioni per giusta causa con correlata richiesta di indennità disoccupazione Inps.
Concludendo, la questione potrebbe però complicarsi se oltre alla mancanza della norma di legge, si accompagnasse anche l’assenza di una disposizione ad hoc nel CCNL, o nel contratto individuale di lavoro. Ma è sempre la giurisprudenza ad aver offerto delle linee-guida sul come muoversi anche in queste circostanze: infatti, i giudici hanno sostenuto che una sola mensilità di stipendio non pagato, oppure il ritardo nel pagamento di un paio di giorni o poco più, non sono ipotesi che possono integrare il “grave inadempimento”, che – come accennato – sta alla base delle dimissioni per giusta causa. In pratica, al dipendente non resterebbe che aspettare un secondo stipendio non pagato, per poter contare su quelle ragioni di fatto che gli consentirebbero di recedere unilateralmente e di ottenere, in seguito, la Naspi.
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