La scienza non è una religione: smettiamo di trattarla come tale
Ci attacchiamo alla sottana della comunità scientifica come se fosse la sacra sindone. Non finisce mai bene.
Per tollerare la mortalità e avere una risposta – anche flebile – alle grandi domande, l’Uomo ha cercato risposte dovunque. La religione è l’unica a dare risposte incoraggianti. È di gran lunga più bello pensare che una volta morti rivedremo le persone care piuttosto di immaginare i nostri atomi rientrare nel ciclo del carbonio e la nostra coscienza scomparire nel nulla.
Ma la religione ha bisogno di molti gradini che oggi vengono a mancare, o meglio, vengono facilmente aggirati. Il mistero ha la soluzione su Google, l’anima è nei social, e la Grande Verità è nella scienza.
Una volta dicevamo amen, oggi diciamo “lo dice la scienza”.
A parte che spesso “la scienza” sono tre studenti pieni di canne, forse c’entrano anche i social, che hanno azzerato il dialogo e sfumature dividendo il mondo in quelli che la pensano come noi e gli idioti da sopprimere, ma abbiamo cominciato a guardare ai laboratori di ricerca come fossero chiese, facendo lo stesso errore. Una cosa è avere fiducia nei professionisti, un’altra è venerare un’entità.
La religione fa presa perché è semplice.
Ci sono il bene e il male, regole facili e inequivocabili, ricompense o punizioni. Nel mondo reale non è che se spunta un nuovo demone improvvisamente i sacerdoti-ricercatori conoscono la formula magica per sconfiggerlo facendo esorcismi. Se così fosse avremmo la cura per il cancro, l’AIDS e l’elisir dell’eterna giovinezza da secoli.
Per trovare una cura devono studiare, capire, fare tentativi, sbagliare, litigare, riprovare e migliorare. Serve tempo e tecnologia, servono risorse e personale, servono esperimenti, cavie e storie cliniche.
Eppure oggi gli scienziati non sono più professionisti che svolgono un lavoro complesso: sono trattati alla stregua di stregoni che grazie ai loro poteri magici scacciano lo diabolo, e se questo non avviene – e presto – vanno soppressi perché indegni. È stato il caso dei sismologi con il terremoto del 2015, dei metereologi nell’estate del 2018, oggi è il turno del dottor Burioni accusato di avere sminuito il Covid19 nel primo periodo.
Ma Burioni non è san Pietro.
La scienza sbaglia, a volte molto male: è il caso dell’eroina nata per curare la tosse, è il caso del Talidomide che doveva essere un sedativo ma creava focomelici, non parliamo dei tempi in cui “la scienza” diceva che bere acqua radioattiva faceva bene.
All’inizio della pandemia nessuno sapeva granché del Covid19, tanto che ci furono grandi festeggiamenti quando si riuscì a isolarlo – anche – in Italia. Non si sapeva se e quanto resistesse sulle superfici, non si sapeva se chi veniva infettato sviluppava l’immunità. Se alcuni farmaci funzionavano. Si doveva andare per tentativi basandosi su campioni, previsioni, intuizioni, inaudite botte di culo e puntuali sfighe cosmiche.
“La scienza” sono solo persone che lavorano.
Ed è questa la sua epica.