Coronavirus: altro che influenza! L’Istat rivela dati trimestrali preoccupanti
L’Istat ha appena pubblicato un rapporto “Impatto dell’epidemia Covid-19 sulla mortalità totale della popolazione residente-Primo trimestre 2020“, risultato di uno studio congiunto dell’Istituto Nazionale di Statistica con l’Istituto Superiore della Sanità (Iss). L’obiettivo. si legge, è quello di “fornire una lettura integrata dei dati epidemiologici di diffusione dell’epidemia di Covid-19 e dei dati di mortalità totale acquisiti e validati da Istat”.
I risultati di questa relazione trimestrale sono presentati a livello provinciale (anche in modo aggregato) secondo criteri amministrativi (regioni, ripartizione in province) e in base alla diffusione del coronavirus all’interno delle province stesse.
L’indagine ha riguardato ben 6.866 comuni (87% dei 7.904 complessivi) e la base dati si riferisce all’86% della popolazione residente in Italia, consentendo di valutare gli effetti dell’impatto della diffusione del coronavirus sulla mortalità totale per genere ed età nel periodo di più rapida diffusione del contagio, appunto marzo 2020.
Il ruolo della Sorveglianza integrata dell’Iss è stato fondamentale, perché si è potuto raccogliere e confrontare i dati individuali dei soggetti positivi al Covid-19 (ad esempio informazioni anagrafiche, sul domicilio e/o residenza, stato clinico del paziente – come il fatto che sia stato ricoverato o si sia curato a casa – fattori di rischio pregressi, quali patologie croniche e decorso della malattia o decesso) con variabili ecologiche/territoriali.
Ebbene. Dal rapporto – che ricostruisce la genealogia della diffusione de coronavirus a partire dal primo caso italiano di Codogno il 20 febbraio 2020 – si evince che l’epidemia in Italia è avvenuta per trasmissione locale attraverso dapprima vari focolai per poi diffondersi a macchia di leopardo in tutto il territorio nazionale in modo eterogeneo: molto contenuta nelle Regioni del Sud e nelle Isole, mediamente più elevata in quelle del Centro rispetto al Mezzogiorno e molto elevata nelle regioni del Nord.
Coronavirus: le novità del rapporto su dati e statistiche
Il rapporto registra il lento decrescere della curva epidemiologica, a partire dagli ultimi giorni di marzo, come effetti tardivo delle misure di lockdown e di distanziamento sociale intrapresi a partire dall’8 marzo.
Se all’inizio dell’epidemia, il contagio riguardava prevalentemente uomini, ora la percentuale è leggermente invertita: il 52,7% dei casi (104.861) è di sesso femminile. L’età mediana è di 62 anni (range 0-100).
Nel dettaglio, la Sorveglianza integrata ci mostra come nelle fasce di età 0-9 anni, 60-69 e 70-79 anni si registri un numero maggiore di casi di sesso maschile, mentre nella fascia di età over-90 il numero di soggetti di sesso femminile è più del triplo rispetto a quello di soggetti di sesso maschile, dovuto probabilmente alla netta prevalenza di donne in questa fascia di età.
I soggetti maschili sono altresì i più vulnerabili: rispetto alle donne, la letalità negli uomini è più elevata, ad eccezione dei bambini e ragazzi di 0-19 anni.
Sempre riguardo alla letalità, il rapporto mostra come il 34,7% dei casi letali corrisponda a pazienti con una patologia pregressa (diabete, obesità, deficit immunitario e patologie cardiovascolari, respiratorie, oncologiche, renali o croniche); pazienti, cioè, morti con (e non per) il coronavirus o a causa del coronavirus come aggravante di una salute già compromessa da altre patologie.
Tuttavia, va detto che il rapporto tiene in considerazione il 96% dei decessi totali avvenuti entro il 31 marzo (quindi 13.710 su 14.324), sulla base delle informazioni fornite dai 6.866 Comuni selezionati dall’Istat.
Mortalità 2020 rispetto ad anni precedenti: record al Nord, al Sud si muore di meno
Considerando il periodo di tempo che va dal primo decesso di coronavirus (20 febbraio) fino al 31 marzo, il rapporto procede a comparare il dato sui decessi degli anni 2015-2019 (espresso in media) e quello sui decessi del 2020. Ebbene la media del periodo negli anni 2015-2019 è di 65.592 a fronte dei 90.946 casi di decesso registrati nel 2020.
Dei 25.354 decessi risultanti dalla differenza tra i due dati, il 54% è per una diagnosi di coronavirus (dunque 13.710 casi). Occorre però tenere in considerazione il fatto che i dati si riferiscono a un piano nazionale, mentre andrebbe valutato l’impatto dell’epidemia di coronavirus sulla mortalità totale, a partire dall’effettiva diffusione del fenomeno nei territori.
La maggior parte dell’eccesso di mortalità (il 91%), infatti, nel mese di marzo 2020, si concentra nel Nord e nel Nord-est, vale a dire nelle aree in cui più alta è stata la diffusione dell’epidemia di coronavirus.
Rispetto alla media del periodo 20 febbraio-31 marzo 2015-2019, nelle province lombarde, venete, emiliane-romagnole, piemontesi e in quella di Pesaro-Urbino i decessi per complesso di cause sono più che raddoppiate: si è infatti passati da 26.218 casi a 49.351 (vale a dire + 23.133).
Soltanto il 52% di questi 23.133 casi in più è stato registrato come morti per coronavirus dal Sistema di Sorveglianza Integrata (ovvero 12.156 decessi).
Se si esamina il dettaglio provinciale, il rapporto mostra come soprattutto le province lombarde ed emiliane-romagnole hanno registrato notevoli incrementi percentuali dei decessi nel marzo 2020, rispetto al marzo 2015-2019. Solo per citarne alcuni, la provincia di Bergamo mostra un incremento dei decessi del 568%, Cremona del 391%, Lodi del 371%, Brescia del 291%, Piacenza del 264%, Parma del 208%, Lecco del 174%, Pavia del 133%, Mantova del 122%, mentre solo Pesaro e Urbino del 120%.
Molto più contenuto (come c’era da attendersi) l’incremento dei decessi registrato nel periodo 20 febbraio-31 marzo 2020 rispetto al medesimo periodo nella media 2015-2019 nelle aree in cui la diffusione dell’epidemia è stata mediamente inferiore (1.778 comuni, 35 province prevalentemente del Centro-Nord).
Nel periodo considerato, nel 2020, si registra un incremento dei decessi (sempre per un complesso di cause) di solo 2.426 casi in più (17.317 decessi in media nel periodo 2015-2019 a fronte dei 19.743 casi nel periodo 2020).
Di questi 2.426 casi, solo il 47% è attribuibile direttamente al coronavirus (vale a dire 1.151 persone).
Nelle aree in cui la diffusione del coronavirus è stata fortemente limitata o bassissima (ovvero 1.817 comuni, 34 province per lo più del Centro e del Mezzogiorno) i decessi nel periodo considerato (sempre 20 febbraio-31 marzo 2020) sono stati addirittura inferiori (dell’1,8%) alla media del medesimo periodo negli anni 2015-2019.
Sesso e fasce di età. Chi muore di più?
È possibile riscontrare complessivamente l’eccesso di mortalità più consistente negli uomini over-70: rispetto al periodo 20 febbraio-31 marzo del quinquennio precedente (2015-2019), nel 2020 i decessi tra gli uomini della fascia 70-79 anni sono aumentati di circa 2,3 volte, mentre tra quelli della classe di età 80-89 di circa 2,2 volte. Più contenuto l’incremento della mortalità nelle donne, a prescindere dall’età: nel 2020 si riscontra il 20% dei decessi in più rispetto alla media degli anni 2015-2019 per tutte le donne over-70.
Ma quanti muoiono di coronavirus (e non con il coronavirus)?
È dall’inizio dell’epidemia che sentiamo cronisti ed esperti porre questa domanda. Il report dell’Istat e del Sistema di Sorveglianza Integrata finalmente adesso ci fornisce una risposta, seppure da prendere con le pinze e, in ogni caso, sempre limitatamente al periodo 20 febbraio-31 marzo.
Ebbene, i decessi, la cui morte è attribuibile direttamente al coronavirus, ammontano a fine marzo a 13.700. Si tratta delle sole diagnosi confermate.
Esiste tuttavia una quota ulteriore di circa altri 11.600 decessi non diagnosticati direttamente riconducibili al coronavirus, per la quale si può oggi ipotizzare una forte correlazione.
Potremmo sostenere che si tratta di casi “sommersi” di decessi per coronavirus.
Si tratta in primo luogo di decessi di persone alle quali non è stato mai fatto un tampone.
In secondo luogo, di decessi la cui mortalità è probabilmente indirettamente connessa al coronavirus (si tratta per lo più di decessi provocati da disfunzioni di organi quali cuore o reni, probabili conseguenze della malattia scatenata dal virus).
Infine, di decessi la cui mortalità indiretta non è propriamente correlata al virus, ma causata dalla crisi del sistema ospedaliero (cioè dall’incapacità del sistema sanitario di rispondere alla domanda in un siffatto momento di emergenza) o più semplicemente dal timore da parte del paziente di recarsi in ospedale nelle aree maggiormente affette.
Comparando i dati sulla mortalità: marzo 2017-marzo 2020
Confrontando i decessi del marzo 2020 con i decessi del marzo 2017, il rapporto evidenzia come, nelle aree ad alta diffusione dell’epidemia, il numero di morti per coronavirus a inizio di marzo superi di gran lungo il numero di morti registrato nel 2017 per altre malattie come il diabete, l’Alzheimer e altre demenze senili.
Confrontando poi i dati relativi alla metà del mese (metà marzo 2017 – metà marzo 2020), il numero dei morti per coronavirus supera la somma dei decessi causati dall’insieme delle malattie respiratorie e dei tumori.
Se si estende il confronto fino alla fine della seconda decade del marzo 2020 con l’intero mese di marzo 2017, i decessi quotidiani per coronavirus arrivano addirittura superare il numero giornaliero di morti per tutte le cause dell’intero mese di marzo 2017.
Il report chiarisce infine che “solo l’analisi di tutte le cause di morte del 2020 consentirà di valutare quanto l’eccesso di mortalità osservata nel 2020 sia attribuibile anche ai decessi di persone non sottoposte al test ma certificate dai medici sulla base di una diagnosi clinica di Covid-19 (che al momento non sono conteggiate nella sorveglianza) e quanto agli effetti indiretti correlati o non all’epidemia”.
Segui Termometro Politico su Google News
Scrivici a redazione@termometropolitico.it