I rapporti di debito-credito sono fondati – come ben sappiamo – sulla presenza di due essenziali figure, creditore e debitore. Qui di seguito vogliamo però capire che succede se il creditore passa a miglior vita, ovvero se il suo credito si estingue e perde tutela da un punto di vista giuridico, oppure se invece si trasferisce per “successione del credito” dal creditore deceduto ad un altro soggetto. Facciamo chiarezza e vediamo se davvero il debitore, può dirsi “salvo” nell’ipotesi citata di creditore morto.
Creditore morto: i diritti patrimoniali non vengono meno
Per capire cosa succede in caso di creditore morto, occorre prestare attenzione ad un principio civilistico essenziale in materia di rapporti di credito-debito, ovvero il principio per il quale in caso di decesso del titolare di un diritto di credito, il suo diritto di natura patrimoniale – e capace quindi di incidere sul patrimonio di un altro soggetto – non viene meno, e quindi non si estingue. Anzi, il diritto in oggetto semplicemente transita verso altri, cioè si trasferisce agli eredi del creditore morto. Pertanto, sia che si tratti ad esempio delle rate di un’automobile, sia che si tratti dei canoni arretrati di un affitto, il debitore non sarà liberato dall’obbligo di pagare quanto dovuto al creditore che, in buona sostanza, assumerà le sembianze dell’erede o degli eredi. È ben chiaro insomma che le norme civilistiche tutelano il diritto di credito in quanto tale e lo conservano, anche oltre la morte del “titolare originario” del diritto stesso.
Cosa debbono fare gli eredi per poter rivendicare il credito?
Tuttavia, il principio del trasferimento del diritto di credito agli eredi non opera in via automatica: sono necessari un paio di specifici adempimenti da parte degli eredi – previsti nel Codice Civile – ovvero le cosiddette “pratiche di successione”:
- l’accettazione dell’eredità (art. 459 Codice Civile): con una dichiarazione espressa o tacita (ne abbiamo già parlato diffusamente qui), entro 10 anni dalla morte del creditore;
- la dichiarazione di successione (qui con maggior dettaglio) all’Agenzia delle Entrate, entro 12 mesi dal decesso del creditore.
In particolare la citata dichiarazione è fondamentale perché se il correlato iter non viene svolto e completato, nessun erede può domandare alcunché al debitore. In attesa che i citati requisiti siano eventualmente conseguiti dagli eredi, i crediti non scompaiono, bensì restano “congelati” o in “stand by”, fino appunto alla formale identificazione degli eredi, con i due requisiti appena visti. Ad essi, in quanto eredi, andrà il patrimonio del creditore morto – il de cuius – da suddividersi in quote, e composto non solo da crediti, ma anche da eventuali debiti. Attenzione però a svolgere le pratiche di successione con celerità: infatti, nel caso scatti la prescrizione del diritto di credito, ne conseguirebbe l’estinzione del debito. Tutti i diritti di credito sono caratterizzati da un termine massimo per la riscossione che oscilla tra i sei mesi e i dieci anni.
Nessuno accetta l’eredità: che succede?
Può ben succedere che nessuno degli eredi accetti l’eredità: abbiamo appena detto infatti che accettarla, significa ricevere crediti e debiti che furono del soggetto defunto. Ebbene, in caso di rinuncia di tutti all’eredità, il patrimonio del creditore morto viene ricondotto all’Erario, ovvero alle casse dello Stato. Quest’ultimo però otterrà i soli beni immobiliari (se sussistenti), mentre per quanto riguarda i crediti del creditore morto, è ben difficile che lo Stato prenda il posto degli eredi e si attivi per ottenere il pagamento del debito.
Concludendo, la legge – in ipotesi di creditore morto – tutela tuttavia il debitore, in una specifica circostanza: infatti, se il debitore aveva a sua volta dei diritti di credito da poter vantare proprio verso il creditore ora deceduto, potrà certamente continuare a vantarli verso gli eredi, che saranno obbligati a saldare il debito.
Segui Termometro Politico su Google News
Scrivici a redazione@termometropolitico.it