Obamagate: ecco di cosa si tratta
In questi ultimi giorni sta impazzando sui social il tema dell’Obamagate, pochi però sembrano aver compreso cosa stia succedendo esattamente
In questi ultimi giorni sta impazzando sui social il tema dell’Obamagate: pochi però sembrano aver compreso cosa stia succedendo esattamente. Questo termine è diventato virale da quando lo ha twittato Trump, ma perché Trump lo ha scritto proprio ora? Cos’è cambiato negli ultimi giorni? E che c’entrano Renzi e l’Italia?
Obamagate: sicuri di aver capito di cosa si tratta?
La notizia degli ultimi giorni è la pubblicazione delle trascrizioni degli interrogatori fatti tra il 2017 e il 2018 dalla commissione “intelligence oversight committee” (sostanzialmente la commissione di controllo dei servizi segreti). In questi atti si fa riferimento a un coinvolgimento diretto di Barack Obama relativamente al caso delle indagini sul generale Michael Flynn in predicato di entrare nella amministrazione Trump in qualità di DNI (Director of National Intelligence).
Questi atti erano secretati e non si era mai riusciti a renderli pubblici per via di molte ostruzioni da parte di alcuni importanti personaggi, qualcuno di essi persino nominato da Trump. In particolare quello che negli ultimi tempi aveva cercato più di tutti di evitare queste pubblicazioni è stato Christopher Wray (repubblicano), attuale capo dell’FBI. Wray è nominato nel 2017 da Trump, su suggerimento di Sessions al quale era stato suggerito da Rosenstein, per sostituire James Comey (anche lui repubblicano, che era stato nominato da Obama).
La questione Flynn era legata al tentativo di palesare una collusione tra Trump e la Russia, in modo da dimostrare che le elezioni del 2016 erano viziate e quindi da cancellarne il risultato, come se non fossero mai esistite. In un modo o nell’altro volevano mandare via Trump dalla Casa Bianca. Dimostrare che Flynn era colpevole era un primo passo importante per cercare di dimostrare la colpevolezza di Trump. La scoperta di documenti fino a poco tempo fa tenuti segreti ha ribaltato il tavolo, e ora quello che rischia di più non è Trump ma Obama.
Informazioni da tenere a mente
Ci sono alcune cose molto importanti sul funzionamento della politica americana che molti non sanno, ma che bisogna conoscere per seguire gli eventi che ci accingiamo a raccontare: le elezioni Usa si tengono il primo martedì utile del mese di novembre di ogni anno bisestile. Il primo giorno del mese non è considerato utile quindi le date oscillano dal 2 all’8 novembre. Questo meccanismo funziona dal 1848, senza eccezioni.
Il vincitore viene dichiarato “presidente eletto”, ma non entra in carica fino al 20 gennaio dell’anno seguente, quando si tiene il giuramento. Trump è stato dichiarato presidente eletto il 9 novembre del 2016, ma ha iniziato il suo mandato il 20 gennaio del 2017. Fino a quel momento è rimasto in carica Obama con pieni poteri. Ci sono quindi circa due mesi e mezzo di “interregno”. Questo dettaglio che non tutti conoscono, come vedremo, è fondamentale per lo sviluppo dell’Obamagate, perché i fatti contestati relativamente al caso Flynn sono avvenuti durante questa finestra temporale.
A differenza di quanto si crede il Presidente (anche dopo il giuramento) non è affatto un monarca con pieni poteri. Certo ne ha molti, ma su molte altre cose deve ricevere l’approvazione delle Camere. In particolare lui può nominare chi vuole per una qualsiasi carica del suo gabinetto, ma la cosa deve essere ratificata dal Senato. La Camera (House of Representatives) invece agisce più su questioni di budget che di nomine ed ha altre caratteristiche. Questo tornerà utile per capire anche perché nel 2018, con le elezioni di “mid-term” (medio termine) Trump si è focalizzato solo sul Senato ignorando quasi del tutto il rinnovo della Camera. È importante sapere che pur avendo formalmente la maggioranza in Senato (51-49, diventati poi 53-47 dal 2019) Trump ha avuto non poche difficoltà a fare approvare i membri del suo gabinetto.
Trump è molto amato dagli elettori repubblicani (oltre il 90% lo approva), non dai politici repubblicani, ai quali, nel 2016, ha tolto la scena in modo completamente inatteso. Il fatto che un personaggio politico si dichiari repubblicano non vuol dire che sia certamente vicino a Trump, anzi. Questo è forse il punto più importante e al tempo stesso il più ignorato dalla stampa italiana. Il partito repubblicano (GOP) pur essendo il partito di Trump era ed è pieno di gente che letteralmente lo odia (never-trumpers). Dei nemici acerrimi che lui si è creato negli anni, soprattutto durante le primarie repubblicane. Se non si conosce questo fatto non si riesce a comprendere perché ci sia voluto tutto questo tempo per fare emergere questi dettagli, e non si comprende perché Obama abbia rischiato tanto. Evidentemente sapeva di avere le spalle ben coperte anche da alcuni repubblicani che non vedevano l’ora di vedere cadere Trump (senza che la responsabilità fosse attribuita a loro, ovviamente, altrimenti la base elettorale li avrebbe linciati). Ad uno sguardo esterno superficiale il GOP infatti sembra unito. Invece al suo interno c’è una lotta feroce tra correnti che ricorda un po’ la nostra Democrazia Cristiana. Chi non comprende questo punto essenziale non può capire cosa è successo davvero. Trump non ha lottato solo contro i democratici, gli uomini delle istituzioni nominati dai democratici, contro i media mainstream (CNN, MSNBC, Washington Post, NYTimes). Trump ha lottato soprattutto contro una parte consistente del partito repubblicano che ha cercato in tutti i modi di aiutare i democratici a farlo fuori, cercando di non uscire allo scoperto.
Come si arriva all’Obamagate – Le “carte” di Granell
Cosa dicevano esattamente quelle carte che Granell ha portato all’Attorney General (qualcosa di simile al nostro ministro della Giustizia) William Barr?
Cosa era stato chiesto in quelle udienze a porte chiuse della commissione sui servizi segreti? Le domande erano tutte a proposito del Russia-gate e della presunta collusione tra Trump e Putin. E che cosa si è scoperto leggendo queste audizioni segrete? Che nessuno dei protagonisti aveva la benché minima prova che Trump avesse avuto contatti con i russi, né lui ne i suoi collaboratori. Per dimostrare la collusione tra Trump e i Russi le indagini si erano concentrate su 4 collaboratori: Papadopoulos, Flynn, Carter Page, Manafort. Il nome in codice di questa operazione era Crossfire Hurricane (nome preso da un documentario sui Rolling Stones). Questa operazione inizia ufficialmente il 31 luglio 2016, prima quindi delle elezioni presidenziali. Di seguito il caso Flynn sarà separato dagli altri e la sotto-operazione a lui dedicata verrà denominata Crossfire Razor.
Alla base di questa operazione, per giustificare l’apertura di queste indagini, oramai è chiaro che c’era solo il deprecato Steele Dossier. Dossier creato da un ex agente segreto britannico, Christopher Steele, su richiesta di una società legale chiamata Fusion GPS, il cui capo si chiama Glenn Simpson (personaggio misterioso e molto difficile da interrogare). Per Fusion GPS lavora anche Nellie Ohr moglie di Bruce Ohr, all’epoca numero 4 dell’FBI, che avrà un ruolo importante per reinserire in circolo il dossier che era stato inizialmente rifiutato dall’FBI.
La Fusion GPS viene pagata 12 milioni di dollari da Hillary Clinton e dal DNC (partito democratico americano) per fare una ricerca (opposition research) contro Trump. Curiosamente la Fusion GPS aveva iniziato questo suo lavoro nel 2015 per mandato del Washington Free Beacon, finanziato da Paul Singer che al tempo stesso ha finanziato la campagna elettorale presidenziale di Jeb Bush e Marco Rubio. Dietro il famigerato Steele Dossier c’erano inizialmente la famiglia Bush e Marco Rubio, rivali di Trump alle primarie repubblicane. Solo in un secondo momento sono subentrati i Clinton, apportando denaro fresco alla causa (i famosi 12 milioni).
Il dossier contiene materiale non verificato a detta dello stesso autore, e proveniente da agenti segreti russi pagati da Steele coi soldi ricevuti da Simpson a sua volti avuti da Hillary Clinton. Se già a questo punto vi chiedete come mai un dossier pagato da un avversario politico (e non verificato) possa essere usato per una indagine segreta dell’FBI e per una campagna di diffamazione a mezzo stampa durata per anni, senza che nessuno si chieda la legittimità di tutto questo, non siete i soli. Glenn Simpson si trova al centro anche di un altro episodio chiave. Il meeting alla Trump Tower
Obamagate: Il meeting alla Trump Tower
A metà del 2016 il figlio di Trump, Don Junior, incontra una avvocatessa russa che promette di avere prove contro la Clinton. Ovviamente era solo un adescamento, lei non aveva assolutamente nulla da dire. Questa avvocatessa di nome Natalia Veselnitskaya cena con Glenn Simpson sia la sera prima che la sera dopo l’incontro alla Trump Tower. Una curiosa coincidenza che fa sospettare l’ennesima trappola. Anche qui ci sarebbe da chiedersi come mai se Hillary Clinton può pagare 12 milioni per fare creare un dossier da agenti segreti inglesi e russi, Don Junior non possa incontrare qualcuno che promette di avere documenti contro la Clinton. Perché se lo fa la Clinton pagando agenti russi si chiama “opposition research” ed è legale, mentre se lo fa il figlio di Donald Trump senza pagare nessuno si chiama collusione e tradimento ed è illegale?
Anche questa è una bella domanda e la risposta è sempre la stessa: dipende dal proprio “colore” politico. Per i nemici le regole si applicano, per gli amici si interpretano. Chi è spettatore esterno e disinteressato può farsene una propria opinione.
Dalle carte de-secretate si capisce che i vari componenti dei dipartimenti di giustizia uscente, DOJ FBI e CIA, scelti da Obama, la mattina venivano interrogati sotto giuramento in sessioni segrete dalla Commissione di controllo dei servizi segreti della Camera e dicevano di non avere prove; la sera andavano in TV sulla CNN e sulla MSNBC a dire che le evidenze erano chiare e inequivocabili contro Trump.
Nessun hackeraggio dai russi
C’è la conferma che nessuna agenzia ha mai verificato che il server di posta del DNC (partito democratico) sia stato hackerato dai russi, perché a nessuna agenzia pubblica è mai stato permesso di metterci le mani sopra. Ad essere incaricata è stata la società privata Crowdstrike (che qualcuno ricorderà perché Trump aveva chiesto aiuto al presidente Ucraino a proposito di questo). Il capo di Crowdstrike si chiama Shaun Henry e lui non ha mai detto di avere le prove che fossero stati i russi. Praticamente non esiste alcuna prova da nessuna parte che le email di John Podesta (che ricordiamo dimostravano come il partito democratico americano avesse truccato le primarie per favorire Hillary Clinton contro Bernie Sanders) siano state hackerate dai russi. Assange di Wikilieaks, che ha reso pubbliche quelle email, ha sempre negato di averle ricevute dai russi. Più probabilmente si è trattato di un’attività interna. Una perizia che è filtrata stabiliva che il tempo di download era di 87 secondi per 1976MB di dati. È più simile al tempo di trasferimento dati su una chiavetta USB, piuttosto che un hackeraggio trans-oceanico. È più probabile quindi che sia stato un impiegato del partito democratico furioso per il fatto che Bernie Sanders fosse stato trattato in quel modo. Alcune teorie cospirative collegano questo evento alla morte misteriosa di tale Seth Rich.
Obamagate: mentivano tutti
Di sicuro dai documenti ufficiali una cosa si capisce: quando dicevano di essere sicuri che fossero stati i russi mentivano. Tutti.
Uno di quelli che più sosteneva questa tesi sul coinvolgimento dei russi era proprio Adam Schiff, democratico, membro senior del comitato di controllo dei servizi segreti della Camera dei deputati americana. È lui ad interrogare Shaun Henry, ma in TV va a dire qualcos’altro. Messo spalle al muro da Tucker Carlson in un memorabile scontro, accusa Carlson di essere al servizio dei russi e gli dice che Ronald Reagan si starà girando nella tomba guardandolo, per come tradisce gli Stati Uniti in favore della Russia. Guardate bene questo video.
Tucker Carlson è stato il primo, tra i conduttori televisivi più importanti (è da tempo quello con lo share maggiore in prima serata, e nel mese di aprile ha superato in numeri assoluti persino Hannity) a tirare fuori il tutto la sera del venerdì 8 maggio chiedendo le dimissioni di Adam Shiff e accusando pesantemente alla fine del video alcuni esponenti del partito repubblicano a lui particolarmente invisi come Mitch McConnel, Lindsey Graham e Richard Burr (trascurandone curiosamente altri ben più direttamente coinvolti, come poi vedremo).
Subito dopo Tucker Carlson sullo stesso canale ogni sera dal lunedì al venerdì c’è Hannity, che l’8 maggio del 2020 dedica ben due segmenti alla questione. Il primo intervistando Trey Gowdy (repubblicano),
e il secondo nel quale c’è anche Matt Gaetz (repubblicano, ma di una corrente politica molto diversa da quella di Gowdy). Questo secondo segmento è stato poi rimosso dal canale YouTube della Fox. Noi lo abbiamo trovato su un altro canale (dove sarà almeno fino a quando non lo cancelleranno per violazioni del copyright).
Intorno al minuto 23:30 del video, Matt Gatez dice che lui, Jordan, Nunes e Meadows cercavano di inchiodare i democratici attraverso l’uso delle “subpoena” (citazione in giudizio) ma che Trey Gowdy e Paul Ryan lo hanno impedito. Solo quest’ultimo in realtà aveva il potere di emettere questi provvedimenti essendo Speaker of the House (equivalente del nostro Presidente della Camera). Verso il minuto 24 si sente Hannity dire: “he made a mistake” (tradotto: ha fatto un errore) cercando di difendere Gowdy che era stato con lui fino a pochi minuti prima.
Diceva Ronald Reagan “mai parlare male in pubblico di un tuo collega repubblicano”.
Trey Gowdy è andato poi anche da Tucker Carlson a spiegare il suo punto di vista ammettendo di aver commesso molti sbagli e di essersi fidato di quello che gli dicevano Rod Rosenstein (anche lui repubblicano, di cui parleremo dopo) Wray e altri, senza andare a leggere i documenti per conto suo. Per uno che è famoso per non aver mai perso una causa in vita sua è davvero difficile credere che non si sia letto i documenti ora noti a tutti grazie a Grenell. Documenti segreti ai quali solo lui Devin Nunes e Adam Schiff avevano completo accesso.
Tornando alle accuse verso l’amministrazione Obama molti sostengono in sostanza che si è trattato di un tentativo fallito di colpo di stato da parte dell’amministrazione Obama, dell’FBI, della CIA, con l’aiuto di alcuni media amici (e col supporto velato di una parte dell’establishment repubblicano), contro Trump.
Obamagate: Colpo di Stato?
A parlare più esplicitamente di colpo di stato (coup d’état) è l’ex giudice Jeanine Pirro.
Chiariamo alcuni altri punti per comprendere meglio l’intera e complessa questione.
Queste interrogazioni sono avvenute quasi tutte quando la maggioranza era repubblicana. In particolare a fare le domande più argute c’era Trey Gowdy (come gli riconosce lo stesso Hannity in uno dei video postati sopra). Egli non è affatto un never-trumper, è un ex militare della South Carolina (quando gli chiedono qualcosa in TV lui risponde “yes sir!” con un atteggiamento da militare di carriera), ha i capelli bianchi non perché sia vecchio ma perché è quasi albino. Non odia affatto Trump ma era della corrente di Marco Rubio, che odiava e odia Trump come pochi (come dicevamo curiosamente Tucker Carlson non nomina mai Marco Rubio ma si accanisce spesso contro altri senatori). Trey Gowdy fa le domande più argute, capisce tutto sin dall’inizio, e invece di rendere la cosa pubblica sta zitto o fa uscire fuori solo cose che non aiutino troppo Trump e Devin Nunes (grandissimo alleato di Trump). Verrebbe da pensare che abbia ricevuto indicazione dal suo capo-corrente di non aiutare troppo Trump. Qualunque fosse il motivo di fatto non lo aiuta come avrebbe potuto e lascia Devin Nunes da solo a contrastare Adam Schiff (che nel frattempo andava raccontando in TV di avere delle prove schiaccianti contro Trump). La parola di Nunes contro quella di Schiff.
Trey Gowdy in TV diceva di fidarsi di quello che stava facendo l’FBI e che si fidava ciecamente di Rosenstein, che scopriremo essere un personaggio chiave della cospirazione.
Gli faceva eco lo stesso Marco Rubio, spesso ospite alla CNN, dicendo anche che nel FISA emesso su Carter Page c’erano altre ragioni oltre al deprecato Dossier Steele pagato 12 milioni da Hillary Clinton.
Ma viene subito contraddetto da un altro senatore, che secondo Tucker Carlson è il “barometro del GOP”: Lindsay Graham. Quest’ultimo è una banderuola ed è stato uno di quelli che ha più attaccato Trump all’inizio.
È un “never trumper” della prima ora che poi ha raddrizzato il tiro quando lo ha ritenuto necessario, e lui, che ha letto le carte senza “omissis” sul caso Carter Page, smentisce Rubio e dà ragione a Devin Nunes e al deputato John Goodlatte. Del caso FISA legato a Carter Page parleremo dopo.
La svolta di Graham
Lindsey Graham che inizialmente era contro Trump inizia a difenderlo: è il segnale che la maggioranza silenziosa del GOP è passata finalmente dalla parte di Trump. La corrente di Graham può essere paragonata in qualche modo a quella dei Dorotei di democristiana memoria. Da questo momento gli equilibri si spostano. Paul Ryan, speaker della Camera annuncia che non si candiderà più, e con lui nemmeno Trey Gowdy. Marco Rubio inizierà a parlare quasi solo di politica estera e non entrerà più in conflitto diretto con Trump. A differenza di Ted Cruz, anche lui acerrimo rivale di Trump durante le primarie del 2016, ma fedelissimo alleato dopo (al punto da implorare quasi Trump per fare un comizio con lui in Texas per aiutarlo a confermarsi nella carica di senatore nel 2018), Marco Rubio non ha mai fatto pace con Trump. Tuttora i due sembrano quasi evitarsi a vicenda.
Può essere interessante notare che Gowdy non si è ripresentato alle elezioni di mid-term del 2018 pur essendo uno dei deputati uscenti più importanti nella legislatura, ora fa il “contributor” (collaboratore esterno) della Fox News. Il suo era un collegio di quelli sicuri, il suo ritiro, pur essendo giovane, e considerato molto in gamba, è molto indicativo.
Tornando alle “carte” di Grenell
I documenti segreti sono stati resi pubblici grazie a Richard Grenell: ambasciatore USA in Germania (e, incidentalmente, unico gay dichiarato della amministrazione Trump). È stato nominato da Trump come direttore nazionale dell’intelligence (DNI) ad interim, dopo le dimissioni di Joseph Maguire, che aveva sostituito Dan Coats (repubblicano, che Trump ha identificato come “never-trumper” troppo tardi). In realtà Trump voleva nominare John Ratcliffe, deputato texano vicino a Jim Jordan, ma una quindicina di senatori repubblicani (probabilmente legati alla famiglia Bush, al senatore Marco Rubio, più altri che odiavano Trump per altri motivi come Mitt Romney) gli hanno fatto capire che avrebbero votato contro negandogli la fiducia. Quando c’è uno stallo politico dopo delle dimissioni, per non lasciare il posto vacante, sale ad interim il secondo in comando che in quel caso era Maguire (altro never-trumper ma più guardingo). Il secondo in comando pero non può restare in quel ruolo troppo a lungo senza essere ratificato dal Senato e quindi dopo un certo numero di mesi decade, lasciando di nuovo il posto libero per un altro interim. Scaduto il tempo di Maguire questa volta Trump nomina Grenell, in attesa di poter fare passare finalmente John Ratcliffe. La prima cosa che fa Grenell è inserire nel suo team Kash Patel, che aveva già lavorato con Devin Nunes.
Grenell, sorprende tutti, non guarda in faccia a nessuno, prende questi documenti segreti e li rende pubblici, forzando la mano all’attuale direttore FBI Christopher Wray (rimasto oramai quasi l’unico nemico interno visto che quasi tutti gli altri sono stati scoperti e sostituiti). Wray è considerato ostile a Trump alla stregua di Rosenstein da molti commentatori.
I documenti desecretati da Grenell, dicono tra l’altro che il 4 gennaio del 2017 – durante il periodo di transizione tra l’amministrazione uscente e quella subentrante – gli agenti dell’FBI (tra i quali persino lo zelota anti-Trump Peter Stzrok, di cui parleremo dopo) dichiarano il caso Flynn sostanzialmente chiuso e Flynn innocente. A quel punto al 7 piano (dove risiede Comey, capo dell’FBI) si manda il chiaro ordine di tenere tutto aperto e di cambiare il verdetto. Il giorno dopo Obama chiama a sé tutti i suoi (Clapper, Brennan, Comey, Stzrok, McCabe, Sally Yeats e ovviamente anche Joe Biden) per organizzare quello che a destra definiscono l’agguato al generale Flynn. Nelle riunioni che si susseguono e che sono documentate nelle carte Obama chiede a tutti come procedono le ricerche per incastrare Flynn, col quale lui aveva avuto pesanti screzi nel 2014.
Che cosa aveva fatto Flynn?
Di che cosa è accusato Flynn? Di aver parlato con Sergey Kislyack, ambasciatore russo, pochi giorni prima. Loro lo sapevano perché lo stavano intercettando (anche lui con un ordine FISA che non trovava giustificazioni). Nelle telefonate i due non si dicono niente di strano, infatti nessuno contesta il contenuto in sé la telefonata. Va anche detto che Flynn in quei primi giorni di gennaio, sapendo di dover diventare DNI (ruolo poi preso da Coatts e ora di Grenell ad interim) parla con ambasciatori di mezzo mondo. Nelle note raccolte dall’FBI gli ordini erano precisi: confonderlo in modo che si potesse dire che aveva mentito per fare si che non diventasse DNI o che si dimettesse quanto prima e possibilmente che finisse sotto processo. Altra cosa che va precisata: c’è una legge che prevede che quando un cittadino mente all’FBI è passibile di condanna penale, anche se non è sotto giuramento. Però dovrebbe essere almeno avvisato di essere sotto interrogatorio e questo non avvenne, inficiando l’intero impianto di accusa.
Il 24 gennaio 2017 gli agenti dell’FBI, Pientka e Strzok, lo approcciano senza avvisarlo che lo stanno interrogando; nei film di solito c’è la frase “hai il diritto di restare in silenzio, quello che dici potrà essere usato contro di te”. In quel caso invece gli dicono che non c’è bisogno che ci sia un avvocato, quindi di fatto lo ingannano.
Gli chiedono se ha parlato con l’ambasciatore Kislyak suggerendogli di non fare escalation (perché la Russia non aveva reagito alla espulsione di 35 russi su ordine di Obama), lui risponde “non proprio” (not really). In realtà dalla intercettazione si evince che lui aveva parlato della cosa sconsigliando ai russi di reagire in modo spropositato, facendo capire che se lo avessero fatto la nuova amministrazione non avrebbe potuto fare altro che rilanciare l’escalation (non la conversazione che ci si sarebbe aspettata tra due presunti cospiratori). Forse Flynn non si voleva sbottonare con loro, infatti i due non prendono inizialmente la cosa come una menzogna diretta. Fatto sta che dopo un consulto coi piani alti qualcuno dell’FBI va dal vice presidente Mike Pence e gli dicono che Flynn gli ha mentito perché non gli ha detto questo dettaglio della conversazione con Kislyak, facendo intendere che ci fosse una trama con la Russia. Pence interviene e chiede che Flynn si dimetta quanto prima. A quel punto l’FBI lo interroga di nuovo e viene accusato di aver mentito con quel “not really”. Lui non ricordandosi cosa aveva detto e intimorito (pare che abbiano minacciato anche di fare arrestare suo figlio se non avesse confessato) e senza poter nemmeno parlare con un avvocato confessa di aver mentito sul fatto che avesse sconsigliato ai russi di reagire. Confermerà successivamente la cosa una seconda volta davanti a un giudice (lui ha sostenuto poi di averlo fatto perché minacciato).
Per completare l’informazione va detto che era stato Kislyak a chiamare Flynn (come molti altri ambasciatori del resto) per congratularsi della nomina, e che di seguito ci fossero state altre tre telefonate il 29 dicembre 2016 proprio a seguito delle sanzioni imposte da Obama contro la Russia che avevano portato alla espulsione di 35 russi.
Flynn viene accusato di aver mentito all’FBI, non di aver complottato con la Russia. La scelta di fare esclation in caso di reazione dei russi era una scelta perfettamente legittima, ogni amministrazione ha diritto a scegliere come gestire i rapporti con gli altri paesi, e quello era esattamente il suo ruolo. Oltretutto è chiarissimo dalla telefonata che Flynn era stato anche velatamente minaccioso con Kislyak, segno che non c’era alcuna intesa tra i due. Il senso della sua frase era “vedete di non esagerare con la reazione a queste sanzioni imposte da Obama contro di voi altrimenti alziamo la posta pure noi e non si da dove si va a finire”. Nessuno, tranne Adam Schiff (ma di lui c’è poco da meravigliarsi), ha detto che in quella telefonata ci fossero i segni di un accordo tra Putin e Trump.
Obama rompe il silenzio
Interessante notare che Obama ha poi detto in pubblico che riteneva uno scandalo che fosse assolto uno spergiuro, ma come qualcuno (Johnatan Turley, giurista democratico) gli ha fatto notare Flynn non aveva parlato sotto giuramento, e poi lo stesso Obama aveva fatto graziare l’ex senatore Ted Stevens (dell’Alaska) proprio in circostanze simili, tra l’altro per un processo proprio di fronte allo stesso giudice Sullivan. Memoria corta? Lo stesso giudice Sullivan (anche egli democratico), parla apertamente addirittura di pena di morte per Flynn, per quello che lui definisce addirittura alto tradimento. Ribadiamolo ancora una volta: a domanda, apparentemente informale da parte di un agente dell’FBI, su se avesse in qualche modo parlato coi russi per convincerli a non reagire alla espulsione dei famosi 35, ha risposto “non proprio” (not really), mentendo, perché in realtà se i russi non avevano reagito era stato merito suo. Per questa ragione il giudice Sullivan, che lo vorrebbe giudicare a tutti i costi anche se il dipartimento di Giustizia (DOJ) ha chiesto formalmente l’archiviazione, si auspica che lo si possa condannare a morte…
Questo dà la misura del clima di isteria collettiva generato dai media contrari a Trump: quasi nessuno alza il dito per dire che è una caccia alle streghe e chi lo fa viene accusato di essere un traditore e un agente russo (abbiamo visto come Adam Schiff in diretta accusi Tucker Carlson proprio di questo). Altrettanto stranamente nessuno si è mai sognato di accusare Obama di complottare coi russi malgrado fosse stato colto a parlare di nascosto con Medvedev di “maggiore flessibilità” dopo la sua rielezione. Anche qui sembra esserci una doppia morale, avranno pensato omnia munda mundis…
Che questo processo a Flynn fosse una montatura se ne era già accorto qualcuno nel febbraio 2018. Non troppo stranamente, invece, nessuno in Italia aveva mai sentito parlare di articoli come questo. Qui arrivano solo mere traduzioni di servizi della CNN, del Washington Post, e del NY Times. Senza nessuna vera analisi.
Il caso dell’Unmasking e leaking
C’è un altro problema legato alla questione Flynn, e questo sarà probabilmente il fatto per il quale qualcuno dell’amministrazione Obama, rischia davvero la galera: l’Unmasking+leaking (da noi corrisponde alla fuga di notizie). In pratica nel gennaio 2017 qualcuno della amministrazione Obama ha tolto il segreto sul nome di Flynn (unmasking) ed ha fatto trapelare (leaking) tutta la storia, nome dell’accusato compreso, alla stampa. In particolare fu comunicato tutto a David Ignatius del Washinton Post. Secondo il racconto di Adam Entous nella redazione del WaPo erano divisi sul se pubblicare o no questa storia. Per una cosa del genere l’informatore segreto rischia fino a 10 anni di carcere. Fino a qualche giorno fa si credeva che fosse stata Sally Yates, ma dai documenti de-secretati sembra invece che lei ne fosse all’oscuro, come di molte altre cose (cosa molto strana per un Attorney General, ma come abbiamo visto anche Jeff Sessions, suo successore, venne ignorato completamente). Chi è stato quindi a fare Unmasking+Leaking? Grenell ha dichiarato di aver dato a William Barr la risposta sull’unmasking. Per capire chi ha di fatto trasmesso la cosa al Washington Post è invece molto più difficile. Si tratta di un crimine grave perché compromette le indagini in modo pesante. Se si vuole fare condannare qualcuno in tribunale è un errore gravissimo. Se lo si vuole fare condannare dalla pubblica piazza fomentata dalla stampa allora è un altro discorso, ma resta un crimine, e in questo modo si dimostra che non si sta cercando giustizia ma un linciaggio mediatico. La cosa più interessante che è venuta fuori è che le richieste di unmasking sarebbero venute da decine di membri della amministrazione Obama, compreso Joe Biden. Ma la cosa più sorprendente sembra essere che un gran numero di esse sarebbe stata richiesta da Samantha Power, ambasciatrice all’ONU ai tempi di Obama. Sarebbe da chiedersi per quale motivo la Power, che si occupava di tutt’altro, fosse così interessata a Flynn. La cosa si fa ancora più misteriosa quando si capisce che la Power, sotto giuramento, sostiene di non ricordare nessuna di queste richieste. In totale ci sono decine di richieste di unmasking contro Flynn, apparentemente chieste da 39 persone diverse a poche ore una dall’altra. Il sospetto a questo punto è che qualcuno le abbia attribuite a persone ignare per poter reiterare le richieste senza destare troppi sospetti o per depistare qualsiasi indagine. Per completare il quadro si è poi scoperto che queste richieste multiple di unmasking iniziano a fine novembre 2016, ben prima che sia avvenuta la prima telefonata tra Flynn e Kislyak. Se non c’era mai stato ancora alcun contatto per quale motivo hanno fatto partire tutte queste richieste? Il normale corso della giustizia inizia con una “notitia criminis”, qui l’unica ragione per la quale sembrano averlo preso di mira era per essere stato scelto da Trump, il che configura il tutto come una indagine con scopi politici. Se qualcuno volesse sapere di più a proposito di questa pratica dell’unmasking e perché, sebbene entro certi limiti non illegale, fosse esecrabile può sentirne le motivazioni dallo stesso Joe Biden, che nel 2005 (con G.W. Bush presidente) fece un discorso alla camera su questo tema:
https://www.youtube.com/watch?v=bvfxc96wqTo
Riassumendo: secondo le accuse dei repubblicani Obama ha dato l’ordine diretto di incastrare un generale a 3 stelle (Flynn) in predicato di diventare DNI, forse per risentimento personale o forse perché altrimenti avrebbe scoperto tutto quello che era successo nei mesi precedenti contro di lui (operazione Crossfire Razor) e i gli altri 3 personaggi citati (operazione Crossfire Hurricane). Una volta fatto fuori Flynn, hanno messo fuori gioco Jeff Sessions, accusando anche lui di aver parlato mesi prima con Kislyak in un evento pubblico dove c’erano decine di ambasciatori quando era senatore (anche a lui chiedono se avesse parlato in passato con questo ambasciatore Kislyak e lui non ricordava). Insomma chiunque parli con questo ambasciatore russo viene fatto fuori politicamente. Verrebbe da chiedersi ma gli ambasciatori non sono li per comunicare coi politici? E le loro conversazioni non dovrebbero essere riservate? E’ evidente che si è creato un clima da caccia alle streghe degno del maccartismo.
Va detto che Sessions è evidentemente affetto da demenza senile. Chi lo ascolta, anche se non conosce l’inglese, capisce che è ormai non è più tanto sveglio, nella migliore delle ipotesi. Trump dirà che aveva messo lì per riconoscenza, visto che era stato il primo senatore repubblicano ad appoggiarlo quando tutto il resto del partito era contro di lui. Sessions quindi ricusa sé stesso, ma non si dimette, e mette come suo secondo in comando Rod Rosenstein. Quest’ultimo di fatto diventa per due anni il vero Attorney General.
Nominalmente l’Attorney General era Jeff Sessions ma di fatto era Rosenstein. Anche lui repubblicano si scopre essere uno dei più feroci “never-trumper”. Secondo la testimonianza giurata di Jim Baker (all’epoca Consigliere Generale dell’FBI) Rosenstein era molto determinato a cercare di trovare sponda nella amministrazione Trump per farlo esautorare con il 25esimo emendamento della costituzione (quando un presidente non è più considerato in grado di intendere e di volere). Questa procedura non poteva essere iniziata da lui, ma da almeno un paio di membri del gabinetto Trump. Secondo la testimonianza di Baker, rilasciata alla commissione della Camera, Rosenstein era sicuro di avere già due membri del governo dalla sua parte: Jeff Sessions, che sembrava fare qualsiasi cosa lui gli dicesse di fare, e John Kelly (all’epoca capo dello staff della Casa Bianca).
Fallisce il piano di Rosenstein
Ma Mike Pence resta fedele a Trump e siccome la firma del vicepresidente era imprescindibile per cacciare Trump, il piano fallisce. Fallito il piano, Rosenstein negherà con veemenza di averlo anche solo pensato, e si dedicherà a portare avanti il lavoro che aveva iniziato l’amministrazione Obama rinnovando le richieste FISA contro i 4 target della amministrazione Obama ancora una volta (il Crossfire Hurricane). Successivamente nomina lo Special Counsel capeggiato da Robert Mueller (anche lui repubblicano, che aveva servito sia sotto Bush figlio che sotto Obama), dandogli uno scopo di ricerca molto ampio, al punto che fanno condannare Manafort per delle frodi fiscali risalenti a 12 anni prima. Ah, incidentalmente Manafort era già stato accusato nel 2008 di frode fiscale relativamente al periodo intorno al 2006, ma il prosecutor (pubblico ministero) che aveva indagato su di lui a quel tempo aveva deciso che era innocente. Chi era quel prosecutor? Si chiamava Rod Rosenstein e non è un omonimo. È la stessa persona che 10 anni prima lo aveva assolto (potremmo dire graziato) e ora lo condannava per lo stesso crimine. Secondo Alan Dershovitz, leggendario professore emerito di diritto costituzionale di Harward, il tutto era funzionale a spremerlo per estorcergli qualche testimonianza per fare fuori Trump, e se non sapeva nulla di inventarsi qualcosa. “to squeeze, to sing or compose”. Dershoviz aveva difeso presidente democratico Bill Clinton nel 1998 quando finì sotto impeachment, ed è sempre stato considerato un democratico anche egli. Il fatto che abbia usato lo stesso metro di giudizio sia con Clinton che con Trump lo rende quasi una rarità nel circo mediatico americano. Di quasi tutti gli abusi e complotti dei quali si accusano a vicenda democratici e repubblicani c’è sempre qualche video di qualche anno prima che dimostra una enorme ipocrisia a parti invertite. La lista sarebbe enorme e potrebbe diventare un libro a parte.
Manafort però non ha alcuna prova contro Trump. Potrebbe inventarsi qualcosa, e sarebbe la sua parola contro quella di Trump. Per i media forse basterebbe per fare abbassare il consenso degli elettori repubblicani verso Trump, ma Manafort non cede e lo condannano a 7 anni e mezzo di carcere. Trump potrebbe emettere il perdono presidenziale ma se lo facesse i sondaggi lo vedrebbero quasi certamente scendere. Con ogni probabilità lo farà scarcerare il 4 novembre, a urne chiuse.
10 anni prima Rosenstein e Manafort erano dalla stessa parte. Manafort è sempre stato considerato molto vicino alla famiglia Bush. Questi ultimi odiano Trump in modo particolare, G.W. Bush ha dichiarato pubblicamente di non avrebbe votato per Trump, pur essendo anche lui ovviamente repubblicano. Il ruolo di Manafort è stato importantissimo nella primavera del 2016 per fare scattare la nomination di Trump. Manafort ha infatti convinto moltissimi super-delegati repubblicani (delegati non eletti durante le primarie, ma per meriti speciali) a passare con Trump, facendogli scattare la soglia della nomination con largo anticipo. Coi soli delegati eletti sarebbe stato matematicamente impossibile.
Manafort era conosciuto per questa estrema capacità di fare lobby e di fatto consegnò la nomination definitivamente nelle mani di Trump. Inutile dire che i Bush e il vecchio establishment probabilmente videro la cosa come un tradimento. La sentenza, con la regia di Rosenstein, forse era anche una sorta di vendetta per aver contribuito a fare vincere Trump. Rosenstein sapeva benissimo cosa aveva commesso Manafort in quegli anni essendo stato proprio lui a graziarlo anni prima facendo finta di non vedere. E quindi volendo sapeva come fargli pagare il tradimento verso i Bush. Ovviamente una storia di tasse del 2006 non poteva essere usata per corroborare la narrativa di collusione con la Russia, ma a questo punto non importava più a nessuno.
Uno dei più grossi nemici di Rosenstein era Jim Jordan che lo accusava apertamente in pubblico:
C’era un odio palese tra i due. Poco dopo questo scontro anche Jim Jordan finisce sotto attacco. Viene accusato da alcuni suoi ex colleghi di essere stato a conoscenza e di aver taciuto a proposito di un episodio di abusi sessuali in palestra nei primi anni 90. Non sorprenderà nessuno sapere che queste persone che tutto a un tratto accusavano Jordan avevano scelto tutte la stessa agenzia legale: ancora la famigerata Fusion GPS. Le accuse saranno poi tutte ritirate poco dopo.
Obamagate e Italia – Cosa c’entra Renzi?
Dall’Obamagate all’Italia – Il caso Italia-Renzi riguarda il caso Papadopoulos (il quale tra l’altro in quel periodo si è sposato con una italiana: Simona Mangiante). Questi era stato adescato nella primavera del 2016 da un professore, tale Mifsud (accademico maltese), il quale aveva fatto credere a Papadopuolos di poter avere informazioni sulle email cancellate della Clinton. L’accusa mossa dal dipartimento di giustizia, che all’epoca era quello di Obama, era che Papadopoulos tramite Mifsud avesse contattato i russi in quanto quest’ultimo appunto sarebbe stato un agente con importanti contatti. Mifsud fa persino credere a Papadopoulos di fargli conoscere una nipote di Putin (noi italiani potremo sorridere perché probabilmente si è ispirato alla famosa “nipote di Mubarak”). Il problema è che Mifsud non era un agente vicino ai russi, lui prendeva ordini dai servizi segreti occidentali, quindi era un agente della CIA, e la ragazza era solo una studentessa. Sembra chiaro a questo punto che Papadopoulos era stato adescato per essere poi accusato ingiustamente. Lo scopo era quello di trovare pretesti per dire che gli associati di Trump erano in contatto con i russi e uno di questi tramiti sarebbe stato proprio Mifsud. Peccato che, come abbiamo detto Mifsud fosse un agente dell’occidente e non avesse alcun contatto coi russi. Papadopoulos era visto come un anello debole, infatti gli mandarono anche Stephan Halper, un vecchio agente CIA molto legato alla famiglia Bush per cercare di fargli fare qualche sciocchezza per poi poterlo accusare, ma Papadopoulos rispose bene. Tanto che le sue risposte vennero poi nascoste nel rapporto in quanto sarebbero apparse come prove a sua discolpa.
Riescono a fare condannare Papadopuolos con la stessa accusa fatta a Flynn: di aver mentito all’FBI (non sotto giuramento ma durante un interrogatorio normale). Lo incastrano per aver fornito una data scorretta di una o due settimane mentre ricostruiva tutti i suoi movimenti (che loro sorvegliavano da tempo) e appena lui sbaglia a riferire una data gli mettono le manette ai polsi. Il giudice che lo ha giudicato ha tenuto a precisare, nella sentenza, che considerava l’evento davvero di pochissimo valore e pertanto gli dava il minimo possibile, 14 giorni di reclusione. Nella sentenza viene detto anche che questo non ha niente a che vedere con la Russia, esattamente come era successo con il caso Manafort. Gli agenti americani sembrano disperati nel cercare pretesti o generare sospetti che possano legare Trump ai russi. Ci provano in tutti i modi possibili, mandando in pasto ai media principali, sotto forma di rivelazioni anonime, storie completamente inventate, o costruite da loro, creando teoremi degni di una soap opera. Lo scopo era indebolire e possibilmente rovesciare Trump, a qualsiasi costo.
Ok tutto chiaro, ma cosa c’entrava Renzi? Quasi nulla in realtà, semplicemente i servizi segreti italiani si sarebbero messi a disposizione dell’amministrazione Obama per aiutare Mifsud e gli altri attori della CIA e dell’FBI a circuire Papadopoulos.
L’Italia ha dato supporto a questa operazione. Ma davvero avrebbe potuto fare diversamente? Quando poi nell’estate del 2019 William Barr, attuale Attorney General (successore di Jeff Sessions) ha chiesto dei documenti al governo Conte, nel periodo di transizione tra Conte 1 e Conte 2, gli hanno dato tutto, persino il BlackBerry di Mifsud dove certamente c’erano prove del coinvolgimento degli agenti di CIA e FBI nella cospirazione contro Trump. Le prove sono state consegnate allo “special prosecutor” John Durham, il quale dopo l’acquisizione di queste prove ha fatto cambiare lo scopo dell’indagine, da conoscitiva a criminale.
Questo vuol dire che forse alcuni di questi protagonisti durante l’era Obama finiranno alla sbarra col rischio di venire condannati per cospirazione contro il candidato Trump e successivamente contro il presidente eletto Trump.
Obamagate: cospiratori alla sbarra
Se questo scenario si materializzasse sarebbe uno scandalo senza precedenti e Obama stesso rischierebbe moltissimo, non certo la galera (magari qualcuno dei suoi si ma lui no) quanto piuttosto vedere passare alla storia la sua amministrazione come forse una delle peggiori di sempre. Ecco cosa è l’Obamagate.
Ovviamente in tutto questo Renzi non rischia praticamente nulla ed è stato chiamato in causa a sproposito.
Per concludere la carrellata dei bersagli dell’FBI targata Obama/never-trumpers resta Carter Page che viene chiamato in causa per primo e solo per il “FISA abuse”. Come abbiamo visto si è poi scoperto che non era solo lui ad aver subito questo trattamento ma che erano in 4 (Crossfire Hurricane). Era stato messo sotto sorveglianza durante il periodo 2016-2017 senza che ci fosse una reale giustificazione. Il rapporto Horowitz (nominato da Obama come Ispettore Generale e mantenuto in quel ruolo da Trump) mostrerà poi che erano stati commessi 17 abusi, uno dei quali commesso da tale Clinesmith dell’FBI, che lavorava sotto Peter Stzrok. Quest’ultimo passerà alla storia per i messaggi cospiratori scambiati con la sua collega ed amante Lisa Page, nei quali mostravano terrore verso l’ipotesi che Trump potesse vincere e si immaginavano come baluardi che avrebbero impedito in ogni modo che questo accadesse.
E se pure Trump avesse vinto le elezioni lui aveva una “insurance policy” (un asso nella manica) per risolvere comunque il problema. Parole inquietanti soprattutto se dette da quello che nei fatti era il numero 2 dell’FBI. Durante l’audizione alla Camera, sotto giuramento ha detto che “noi” intendeva “noi cittadini americani, col nostro voto”. Sta al giudizio del lettore farsi una propria opinione in merito.
Tornando a Clinesmith questi avrebbe modificato la mail ricevuta dalla CIA nella quale si diceva che Carter Page era un loro collaboratore affidabile, invertendo il significato della comunicazione, per poi inoltrarla al Tribunale del FISA (che autorizza lo spionaggio dei cittadini americani). In questo modo l’FBI ottiene l’autorizzazione del tribunale speciale dei FISA per poter spiare completamente Carter Page. Potrebbe sembrare una sciocchezza, in fondo chi è questo Carter Page? Un collaboratore marginale di Trump, quindi che segreti avrebbe mai potuto rivelare? Lui nessuno. Peccato che quando si autorizza l’intercettazione completa di un cittadino americano si autorizza automaticamente l’intercettazione di TUTTI quelli coi quali entra in contatto, quindi anche Trump… Insomma chiedere l’autorizzazione FISA su Carter Page significava di fatto chiedere l’autorizzazione a intercettare Trump e tutto il suo staff. Tutto questo avveniva nel 2016 prima delle elezioni, prima che Trump vincesse, ed è continuato fino a metà 2017, quando era già presidente, con la firma finale di Rod Rosenstein. In pratica spiando Carter Page l’FBI spiava il proprio presidente (cosa non proprio nuova a dire il vero).
A questi quattro si è aggiunto successivamente come bersaglio Roger Stone, vecchio consigliere di Trump, reo – a detta di chi lo accusava – di aver cercato di ottenere informazioni sulle solite 33000 email che la Clinton aveva cancellato dal suo server privato (e che lei diceva che parlavano solo delle lezioni di yoga e poco altro), ma questa è un’altra storia.
Se vogliamo ricapitolare su come abbia fatto Trump a salvarsi con tutti questi nemici possiamo provare a elencare chi gli è stato leale e ha impedito che le cose andassero peggio:
Michael Rogers, capo della NSA (National Security Agency) nominato da Obama, scopre i primi tentativi di abuso delle intercettazioni e riesce inizialmente a bloccarli. Nella audizione pubblica negherà che il conteggio dei voti negli stati chiave sia stato alterato da qualcuno per favorire Trump. Nel video che segue Joe Di Genova spiega perché:
Mike Pence: viene invitato da Rosenstein a tradire Trump sostituendolo sulla base del 25esimo emendamento, diventando lui presidente al posto di Trump, ma si rifiuta.
Devin Nunes: racconta prima di tutti quello che viene fuori dalle interrogazioni relative ai FISA abuse subendo critiche feroci da tutte le parti. Aveva ragione su tutto. Ci sono voci secondo le quali il ruolo di Kash Patel sarebbe stato determinante per portare a termine il “Nunes memo”
Jim Jordan: protagonista di un momento chiave dell’impeachment. Sondland parla di “quid pro quo” di Trump e Jordan lo smonta con un controinterrogatorio degno del finale di un film
William Barr: era Attorney General anche con Bush padre (quasi 30 anni fa), considerato fedele ai Bush viene approvato senza problemi dal Senato per sostituire Jeff Sessions. Si dimostrerà l’alleato più forte che Trump avrebbe potuto desiderare.
Richard Grenell: viene mandato per sostituire Maguire in attesa della conferma di Ratcliffe e in pochi giorni sbanca tutto svelando tutto il materiale secretato da esponenti del suo stesso partito.
Mark Meadows: Unico dei 4 cavalieri dell’Apocalisse di Trump che non avevamo ancora citato. Ha abbandonato il seggio alla Camera dei deputati per dirigere lo staff della Casa Bianca, in pochi giorni ha stanato “Anonymous” che aveva pubblicato editoriali sul NYTimes e scritto un libro contro Trump rivelando dettagli dall’interno della Casa Bianca. Si trattava di Victoria Coates, ora mandata da Meadows a pettinare la sabbia dell’Arabia Saudita. Qui tutta la storia
I 4 cavalieri dell’Apocalisse trumpiana
Adam Schiff ha coniato questo termine per i 4 suoi avversari più fastidiosi, appunto, i 4 cavalieri dell’apocalisse “trumpiana”:
- Devin Nunes – cavaliere della morte
- Jim Jordan – cavaliere della guerra
- Trey Gowdy – cavaliere della carestia
- Mark Meadows – cavaliere della pestilenza
Possiamo tranquillamente sostituire Gowdy con Matt Gaetz e il quadro è perfetto.
Un fatto curioso venne alla luce il 25 luglio del 2018, si scoprì che alcune persone legate in qualche modo a Trump avevano subito uno “shadow ban” su Twitter. Quando qualcuno viola il regolamento di Twitter o di un altra piattaforma social viene in qualche caso “bannato” ovvero espulso dalla piattaforma. Nel caso in questione questi che erano stati espulsi non avevano fatto nulla, e non apparivano realmente come espulsi da Twitter, ma non apparivano più nelle ricerche e nessuno poteva vedere cosa scrivevano esattamente come se fossero stati espulsi “de facto”. La cosa fu segnalata a Twitter che dopo una breve indagine si accorse del problema e si scusò, dicendo che era un “glitch” del sistema, un errore involontario e assolutamente imprevedibile (che fu risolto il giorno dopo la scoperta). Questo errore stranamente aveva colpito solo persone vicine a Trump, e tra questi anche 4 deputati. Nessuno dei 100 senatori era finito sotto questa mannaia, solo 4 deputati su 438. Volete sapere chi erano i 4 deputati? La risposta la lasciamo per esercizio al lettore.
Come sono divisi i blocchi del partito repubblicano americano (GOP)?
Guardando i voti espressi nelle camere possiamo dire che i trumpiani duri e puri sono circa il 25%, poi c’è il ventre molle della vacca, quelli che prima abbiamo definito “Dorotei” che hanno circa il 50% degli eletti, e infine c’è circa il 25% di deputati più vicini alla alleanza Bush-Rubio. Questi ultimi sono praticamente sovrapponibili, come politica estera, ai centristi democratici come Hillary Clinton. I leader di Camera e senato del GOP sono Kevin McCarthy e Mitch McConnell e appartengono al ventre molle del GOP. In questo momento, grazie al fatto che il consenso verso Trump della base elettorale repubblicana è sopra il 90% sono in stretta alleanza con il gruppo dei trumpiani. Per definizione stessa del gruppo, i trumpiani sono quelli che sono politicamente vicini a Jim Jordan, leader indiscusso della corrente e molto molto amato dalla base elettorale. Per molti il vero successore di Trump.
Al momento sembra reggere il patto Jordan-McCarthy-Graham-McConnell-Trump. L’altro 25% per ora si mimetizza col resto del ventre molle della vacca, ed esce fuori solo a Senato per mettere veti a qualche nomina a loro sgradita. Così sarà probabilmente fino a novembre, poi si vedrà.
Come ultimo dettaglio aggiungiamo la storia con la quale Adam Schiff viene ingannato da dei comici russi che gli fanno credere di avere foto di Trump nudo. Impressionante è l’ipocrisia con la quale egli aveva condannato Don Jr Trump per aver fatto la stessa identica cosa.
Lui ci casca al punto da fare mandare dal suo staff una email chiedendo di ottenere quel materiale compromettente, per poi essere deriso.
Nota dell’autore: tutti questi fatti sono stati raccontati sulla base di articoli pubblicati dalle più prestigiose testate sia di destra che di sinistra. Ci sono link ad articoli del NY Times, del Washington Post, della Associated Press, video della Fox News e della CNN e di moltissime altre testate giornalistiche. Questa versione dei fatti aderisce alle ricostruzioni fatte da grandi giornalisti di inchiesta, sia di destra che di sinistra, come John Solomon e Glenn Greenwald (premio Pulitzer). Molte cose ancora mancano, come il caso delle email di Hillary Clinton, ma di questo ve ne parleremo in un’altra puntata.
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