Affitto ufficio uso abitativo: come si fa e quando è consentito
Affitto ufficio per uso abitativo: la legge lo consente o no?ci sono rischi per il proprietario dell’immobile e contribuente? Ecco tutti i chiarimenti utili
È una questione certamente concreta: è possibile utilizzare un ufficio come abitazione? Oppure, è possibile il contrario, ovvero è possibile svolgere le mansioni impiegatizie all’interno di uno spazio classificato come abitazione? Non è raro che ci si imbatta in un immobile accatastato come “ufficio”, che però per molto tempo resta vuoto e non adoperato da nessuno: magari perché il canone richiesto è elevato, oppure perché la zona in cui è l’immobile è lontana dal cento città. Ecco allora che il proprietario potrebbe pensare ad un contratto di affitto non con un libero professionista, bensì con un inquilino. Vediamo di chiarire però se la legge consente questa “variazione”, e se è ammissibile anche l’operazione opposta (da casa ad ufficio): facciamo chiarezza.
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Da affitto ufficio ad affitto casa: è possibile? L’accatastamento
Certamente possono venire dei dubbi circa la liceità dell’operazione citata: c’è pericolo che le forze dell’ordine possano venire a conoscenza del fatto che in un luogo accatastato come attività commerciale o studio professionale, c’è invece un privato che ci vive? Si rischia qualche sanzione? In relazione a questo quesito, bisogna considerare la rilevanza dell’accatastamento, ovvero del censimento di un immobile, dovuto a scopi fiscali (come ad es. il calcolo dell’Imu). Insomma, l’accatastamento serve a identificare e categorizzare un certo immobile: la categoria assegnata, detta “categoria catastale”, è collegata alla destinazione tipica dell’immobile in questione, che emerge dalle caratteristiche tecnico-fisiche dello stesso. È chiaro che, come risulta dall’elenco categorie catastali, il negozio è in un categoria diversa dall’abitazione o dallo studio professionale.
L’accatastamento è operazione preliminare rispetto alla stipula del contratto di affitto vero e proprio: quest’ultimo va registrato (online) all’ufficio delle imposte, su iniziativa del proprietario, entro 30 giorni dalle firme. Per l’effettuazione della registrazione, è necessario però immettere anche i dati catastali dell’immobile, ovvero la sua classificazione al catasto. Solo per questa via sarà possibile calcolare l’imposta di registro da versare per la registrazione, ma anche la Tari sui rifiuti, a carico delle finanze del locatore.
È chiaro che la categoria catastale inclusa nella registrazione deve essere quella effettiva, altrimenti il rischio di vedersi contestata un’evasione fiscale è molto alto. In ogni caso, l’accatastamento – al momento della registrazione del contratto presso l’Agenzia delle Entrate – è operazione doverosa: non farla esporrebbe il responsabile al recupero a tassazione dell’imposta da versare e una sanzione pecuniaria oscillante da un minimo del 120% ad un massimo del 240% dell’imposta da versare.
Quali sono i rischi?
Veniamo ora al punto: è davvero possibile consentire all’affittuario di utilizzare come appartamento un luogo accatastastato come ufficio o negozio? Ebbene, nelle norme vigenti non si trova la risposta precisa a questo quesito, tuttavia alla risposta è possibile comunque pervenire. Infatti, l’interpretazione delle norme fiscali ci porta ad equiparare l’ipotesi del differente uso dell’immobile rispetto all’accatastamento, all’ipotesi della mancata o falsa indicazione della categoria catastale al momento della suddetta registrazione del contratto di affitto. Insomma si può dedurre che è implicitamente vietato dalla legge utilizzare un ufficio come appartamento, e il rischio è quello di vedersi infliggere le sanzioni di cui sopra. Insomma, la destinazione catastale va fatta, in modo corretto, e soprattutto essa vincola il contribuente proprietario dell’immobile, che non può affittare l’immobile come appartamento, se nel contratto di affitto è citato come studio o negozio.
Concludendo – per poter affittare un ufficio o negozio ad uso abitativo e quindi di residenza domestica, ma anche viceversa – sarà sufficiente che il proprietario effettui la variazione catastale, ma prima di sottoscrivere il contratto. Tale variazione di fatto comporterà il cambio di destinazione d’uso. Per questa via, il contribuente proprietario regolarizzerà la situazione con l’indicazione della nuova categoria catastale nel contratto di affitto e pertanto non sarà esposto ad alcuna delle conseguenze sanzionatorie viste sopra.
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