Può succedere: il brano che ha acceso l’interesse sul mondo Hare Krishna
Con le sue circa 3000 visualizzazioni su youtube, “Può succedere” è il nuovo singolo musicale che in Italia sta riaccendendo l’interesse per la musica Hare Krishna.
L’Iskon – International Society for Krishna Consciousness, l’associazione religiosa Hare Krishna che conta nel mondo più di 400 centri, in Italia attivi soprattutto a Bergamo, Firenze e Roma, negli anni Settanta e Ottanta ha prodotto milioni di copie di album della cosiddetta musica “devozionale”, ovvero ispirata dalle tematiche spirituali della “Coscienza di krishna”.
Se credete che sia una qualcosa di simile ai madrigali cattolici e alle canzoni da Chiesa vi sbagliate di grosso: con l’etichetta Iskcon collaborarono tra gli artisti più insospettabili: dal chitarrista dei Beatles George Harrison ai Rasa, da Boy George ai Kula Shaker e Nina Hagen,passando per gli italiani Paolo Tofani, chitarrista degli Area, e Claudio Rocchi.
Hari Kirtana, l’autore del brano “Può succedere“, ha pensato bene di rompere il silenzio inquietante del lockdown, per lanciare al mondo un messaggio di speranza e soprattutto di riflessione. Si parla di “un subdolo veleno inchioda tutti e tutto…” – il coronavirus -, che risveglia però la nostra responsabilità di esseri umani: “in ciò che accade e non accade, sai, c’entriamo io e te”.
Non è il caso, però, di disperarsi, perché una soluzione Hari Kirtana e gli Hare Krishna sembrano averla trovata e vogliono comunicarla: “il mondo sembra una vignetta che non fa ridere… e tu ci sei finito dentro… ma ora sai l’uscita dov’è!”
Abbiamo incontrato Hari Kirtana per chiedergli come fosse nato l’idea del brano e da quali obiettivi fosse scaturito. Siamo stati talmente affascinati dalla sua storia che ci siamo fatti svelare i particolari del suo percorso di conversione spirituale Hare Krishna e di avvicinamento alla Coscienza di Krishna.
Mondo Hare Krishna: intervista ad Hari Kirtana su spiritualità e musica
Quale è stato il tuo percorso spirituale?
Per anni avevo cercato di ottenere risposte da persone di diverso orientamento religioso e filosofico (sacerdoti cattolici, buddhisti, musulmani, ma anche filosofi e spiritualisti). Con questi ho avuto sempre confronti costruttivi ma, nel cuore, sentivo profondamente di non riuscire a trarne completa soddisfazione. Fin dall’adolescenza, dai 14-15 anni, ho sempre ricercato delle risposte al mistero della vita e dell’esistenza. Facevo teatro filodrammatico all’età di 14 anni. Ricordo che recitavo il ruolo di San Giovanni e mio padre mi fece “perché non provi ad approfondire la figura di Giovanni?”, sollecitando la mia curiosità “spirituale” che poi non ho più abbandonato.
Sei di famiglia cattolica?
No, anche se frequentavo catechismo e ho i sacramenti. Lessi il Vangelo per curiosità personale. Quello che ho imparato, l’ho imparato per conto mio. Per un lungo periodo della mia vita sono stato anche ateo, perché non riuscivo a trovare risposte alle domande “perché si soffre?”, “perché se Dio esiste, permette tanta sofferenza?”. Non mi spiegavo perché se siamo tutti esseri umani uguali, alcuni nascono in condizioni agevolate ed altri nascono in condizioni di indigenza, in cui è difficile soddisfare persino i bisogni umani più elementari, in cui neanche il cibo è assicurato.
Hai trovato nell’idea di Karma la risposta a questa domanda?
Sì, esatto, perché ho scoperto il concetto di reincarnazione.
La tua insoddisfazione era dunque prevalentemente intellettuale?
Sì, ma non solo. Ho provato anche molto ad approcciarmi alla pratica. A 13 anni recitavo il rosario in latino, ho praticato poi per mesi. Ma mi resi conto che non poteva trattarsi solo di un beneficio spirituale ricavato dalla pratica, non esistono piloti automatici. Doveva anche esserci un sistema logico e coerente che spiegasse i misteri della vita e della sofferenza umana.
Quindi poi hai incontrato direttamente gli Hare Krishna?
Non ci crederai, ma l’incontro è avvenuto proprio quando avevo perduto qualsiasi speranza di trovare con soddisfazione quella che io definisco una “scienza spirituale”. Ero diventato ateo e materialista. Ero scettico, ma continuavo, con curiosità, a porre domande e ottenere risposte sensate.
Ricordo il primo incontro con un devoto che bussò alla mia porta, proponendomi un libro che è la Bhagavadgītā; lo guardai e mi fece: ‘Hare Krishna– ed io: ‘e voi chi siete? Certo che l’uomo se le inventa proprio tutte!’. Con tanta pazienza il devoto ha sfidato il mio scetticismo. Mi invitò a una festa in un tempio vicino Manduria, dove vivevo all’epoca, nel 2005, e lì feci la conoscenza degli Hare Krishna.
L’accelerazione del mio percorso di avvicinamento agli Hare krishna è avvenuta a seguito della dipartita di mio padre, qualche mese dopo. La morte di mio padre è stato un evento significativo nella mia vita. Quando seppi che mio padre aveva lasciato il corpo, feci alcune telefonate quella sera, tra cui una al devoto che mi ha guidato poi nel percorso di avvicinamento alla Coscienza di Kirshna, il quale mi ha aiutato a modificare totalmente il mio sguardo. “Sta tranquillo – mi fece – l’anima è eterna. A causa del karma, per via delle sue azioni passate, tuo padre ha subito questa sofferenza e, sempre a causa karma, la stai subendo anche tu che sei in relazione con lui. Ma non preoccuparti, non è morto. L’anima è eterna, non può morire’. La sua naturalezza mi ha dato il coraggio necessario ad affrontare il lutto e la forza per approfondire più operativamente la scoperta della coscienza di Krishna.
Come è accaduto che da ateo hai abbracciato una religione, come quella Hare Krishna, che contempla l’esistenza di un Dio persona?
Il Dio-persona degli Hare Krishna è la “Causa prima” (causa di tutte le cause). Krishna è una persona, tutto da lui emana: come siamo persone noi, così è persona anche lui, perché del resto non si potrebbe emanare qualcosa che fosse diverso da ciò che si è. Questa semplice argomentazione ha spazzato via tonnellate di pregiudizi, di materialismo di cui mi ero nutrito per anni.
Alla Persona Suprema non dobbiamo chiedere proprio nulla, perché già sa cosa di cui abbiamo bisogno. Possiamo rivolgerci a lui, per chiedergli di aiutarci a impegnarci in suo servizio. Io scrivevo già canzoni, facevo musica. Allora ho pensato che avrei potuto comporre della musica devozionale per Krishna.
La musica ti ha aiutato ad avvicinarti a Krishna?
Nella prima stesura di “Può succedere” (il pezzo è stato composto parecchi anni fa), c’era una strofa che diceva: “un giorno noti che c’è un padre in meno sotto un tetto e odi tutto quello che è formato-family”. I miei si erano separati da poco ed io avevo questa percezione di disgregazione, di frammentarietà delle relazioni e profonda solitudine. Con i devoti, invece, ho finalmente capito cosa significa “famiglia”, il focolare. Ed è grazie ai devoti che ho cominciato a sentire la presenza di Krishna, grazie all’affetto di chi lo ama. Attraverso l’amore di chi già era in relazione con Krishna, si è risvegliato in me il desiderio di avvicinarmi alla Persona suprema. Né nel campo delle amicizie o sentimentale, né nel campo professionale ho mai trovato qualcosa di simile, che potesse avvicinarsi neanche vagamente a quella dolcezza inenarrabile che ho cominciato ad avvertire quando ho cominciato a percepire la presenza di Krishna attraverso le persone che l’amavano.
Perciò, la musica per te è importante in quanto attività corale, come forma di devozione di gruppo? Sarebbe lo stesso se componessi musica nel chiuso della tua stanza o in uno studio di registrazione?
Assolutamente no. Sarebbe un modo non naturale di vivere il mio rapporto con la musica. Prima di avvicinarmi alla Coscienza di Kirshna, quando scrivevo lo facevo da solo, nel chiuso della mia stanza, senza avere rapporti con nessuno; però mi resi conto nel tempo che non mi appagava assolutamente, perché era un semplice sfogo egoico ed autoreferenziale, tra l’altro fatto per perseguire l’obiettivo di diventare famoso, tutt’altro insomma che un atto d’ amore. La mia creatività e il mio appagamento sono aumentati esponenzialmente da quando ho cominciato a suonare, assieme ad altri devoti, musica devozionale che glorifica l’Artista Supremo, Dio.
Come è nata l’esigenza di riscoprire la tua vocazione di musicista, oltre a quella di devoto? O meglio, c’è stato qualcosa che ti ha spinto a recuperare il brano “può succedere”, riposto in un cassetto per tanto tempo?
È avvenuto in modo assolutamente inaspettato. È stato il lockdown e la drammaticità dell’emergenza del coronavirus a farmi venire in mente di recuperare questo vecchio brano per poter farne un inno di resilienza. Mi sono detto: proviamo a utilizzarlo come strumento di comunicazione. Le canzoni parlano sempre di affanni della vita, delle sofferenze, indipendentemente se siano “d’amore” o socialmente impegnate. Non offrono, però, soluzioni. Hanno successo per via dell’identificazione che l’ascoltatore instaura nei confronti dell’autore, perché la sua musica gli parla delle stesse sofferenze che sta sperimentando. Nel testo di una canzone, l’ascoltatore vi si ritrova empaticamente e si riconosce. Così, però, la musica diviene una catarsi che poi subisce un aborto, perché è un processo catartico a metà che non va oltre l’empatia. Ma ognuno di noi cerca una soluzione, cioè quello che le canzoni non offrono.
Con “Può succedere” ho cercato di unire la mia vena cantautorale con la mia devozione Hare krishna, utilizzando la forma canzone come strumento per veicolare dei contenuti e fornire spunti di riflessioni importanti, suggerendo proposte e risoluzioni. Senza pretenziosità e paternalismi.
Qual è l’obiettivo?
Stimolare interesse nei confronti della proposta che da millenni la Bhagavadgītā offre, semplicemente questo. Un effetto grimaldello, diciamo…
Hai progetti musicali per il futuro?
Sto lavorando già ad altri brani, alcune dei quali composti parecchi anni fa e che sto riadattando per l’occasione, sempre con lo stesso intento di produrre musica devozionale Hare Krishna.
Per ora il tuo pezzo, che ha riscosso parecchie visualizzazioni e apprezzamenti, è solo su youtube? Hai intenzione di utilizzare anche altre piattaforme e di pensare ad un investimento di natura commerciale?
Sono pronto a tutto, pur di diffondere e condividere il messaggio di Krishna. Il nostro maestro spirituale, Bhaktivedanta Swami Prabhupada, diceva “spremete le meningi”, soprattutto in un’epoca come la nostra in cui la condivisione attraverso canali “virtuali” ha superato le esperienze reali.
Pensi che quest’emergenza pandemica possa presentare una qualche forma di spiritualità negli esseri umani?
Se coloro i quali hanno un messaggio genuino si impegnano con ancora più forza a diffondere il messaggio di un’alternativa di vita, si può evitare che le persone si limitino ad attendere che questo momento passi, per ricominciare a fare le stesse cose che facevano prima, senza rilevare il nesso tra le loro azioni e le conseguenze. È l’“apateismo”, una via di mezzo tra apatia, passività, e l’ateismo, ovvero il condurre una vita meramente materialista, a produrre le sofferenze umane, perché è l’irresponsabilità degli uomini a produrla. Il karma può essere inteso come “programma di recupero”, anche quando è collettivo: è la possibilità che abbiamo di costruire la nostra esistenza in modo responsabile. Come dico in “Può succedere”: “dobbiamo essere responsabili di ciò che accade e anche di ciò che non accade nel mondo”
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