Come spesso succede, nel linguaggio della vita quotidiana, ma anche talvolta in quello giornalistico, sono utilizzati termini ed espressioni di rilievo giuridico, come sinonimi, anche se nella legge, di fatto, sinonimi non sono. Ci riferiamo, ad esempio, ai concetti di “risarcimento” e “indennizzo“: l’uno si differenzia dall’altro, come di seguito avremo modo di vedere.
Risarcimento o indennizzo? Ecco i significati
Come anticipato, sussiste una differenza tra indennizzo e risarcimento, anche se entrambi sono suscettibili di valutazione economica. Fondamentalmente, il risarcimento è quella specifica tutela disposta dalla legge, per riparare ad un danno ingiusto, scaturito da un fatto illecito ed arrecato a colui che, pertanto, ha diritto di essere risarcito. L’indennizzo, invece, sussiste laddove non c’è un danno ingiusto, ma la legge considera comunque doveroso ristorare il soggetto leso, attraverso una somma di denaro che, a titolo di indennizzo, possa porre il citato soggetto al riparo da una situazione che, in un secondo tempo, potrebbe diventare ingiusta.
In altre parole, l’indennizzo o indennità, in diritto, è da intendersi come l’ammontare di denaro che è versato ad un soggetto, a titolo di ristoro di natura patrimoniale, in ragione del sacrificio imposto ad un suo diritto, che non scaturisce da un fatto illecito (come invece nel caso del risarcimento) ma da una condotta autorizzata, se non addirittura imposta dalla legge.
Differentemente, il risarcimento pur essendo anch’esso un ristoro, è versato nei confronti della vittima di un danno di natura patrimoniale o non patrimoniale, conseguente ad un atto o fatto illecito, che genera un’ipotesi di responsabilità civile. L’indennizzo, come detto sopra, non deriva invece da un illecito, bensì da un fatto che pur non essendo antigiuridico o contrario alla legge o ad un obbligo, produce comunque un pregiudizio. In quanto fondato sulle circostanze appena viste, l’indennizzo non reintegra appieno la sfera giuridica lesa (come invece accade nel caso del risarcimento danni).
Alcuni esempi pratici
Per meglio chiarire quanto appena detto, vediamo alcune ipotesi pratiche. Sussiste indennizzo, e non risarcimento, ad esempio laddove ricorre lo stato di necessità (di cui all’art. 2045 c.c.), che è considerato dalla nostra legge, come una giustificazione rispetto alla realizzazione di fatti dannosi e che perciò, in via teorica, sarebbero contrari alla legge (e fonte di risarcimento), ma che invece non lo sono, se colui che li compie vi è stato portato dalla stato di necessità di salvare la sua persona od altri dal pericolo attuale di un grave danno alla persona.
Il citato art. 2045 del Codice Civile, in caso di stato di necessità legato ad un pericolo che non è stato prodotto da chi in conseguenza di tale pericolo, ha realizzato il fatto dannoso e non evitabile, dispone infatti che al danneggiato non spetti un risarcimento, bensì un’indennità il cui ammontare è stabilito dal magistrato competente, con equo apprezzamento. Altri casi pratici di indennizzo come ristoro sono dati dall’art. 843 c.c., relativo all’obbligo di accesso al proprio fondo e dall’art. 834 c.c., relativo all’indennizzo legato all’espropriazione per pubblico interesse.
Concludendo, in ipotesi di risarcimento, sussiste invece il citato “danno ingiusto”, ovvero una qualsiasi lesione degli interessi tutelati dalla legge. Tra i moltissimi esempi concreti che conducono alla richiesta di risarcimento, vi sono la lesione dei diritti di credito, i danni causati dalla circolazione dei veicoli, la violazione di una o più norme contrattuali a danno di uno dei contraenti, il pregiudizio dei diritti reali oppure la turbativa delle trattative precontrattuali.
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