Ci sono cose che nel nostro popolo non sono mai cambiate, ma una sì: l’approccio alle persone competenti. La memoria non è una fonte affidabile – specie sul lungo termine – ma è innegabile che dal 1990 in poi il rapporto di noi italiani verso qualunque esperto è cambiato in peggio.
Oggi competenza, serietà, pacatezza sono diventati dispregiativi. Ispirano poca fiducia. Piuttosto di eleggere politici di carriera, con una lunga serie di successi e di attestati alle spalle, abbiamo preferito mandare al ministro del lavoro un disoccupato che vendeva bibite allo stadio.
Nella prima Repubblica era inimmaginabile.
Nella seconda già più verosimile – Craxi alle amanti regalava gioielli e case, non ministeri.
E quest’atteggiamento nelle urne si rispecchia nella società.
Non riguarda soltanto la politica, ma qualsiasi ambito che spazia dall’idraulica alla pasticceria, dalla medicina all’antiquariato. Chiunque sia certificato competente in una disciplina viene screditato e deriso, come se fosse una minaccia o un’ingiuria. Viceversa, chi s’improvvisa mestierante viene guardato con grande ammirazione e fiducia, sull’andazzo della cazzata grillina “è impreparato, quindi non sa fare un falso in bilancio”.
Le persone competenti sono lì per aiutarci.
È il loro lavoro, ne guadagnano sia in termini economici che in quelli di prestigio, eppure sembra che rivolgersi a specialisti sia come andare da una cartomante. Amici e conoscenti quando sentono frasi tipo “devo chiamare l’elettricista” ti guardano come fossi pazzo e ti dicono che è meglio guardarsi un tutorial, oppure domandano “ma serve? Ma ne vale la pena?”.
Gente che ha guardato Masterchef stronca uomini e donne con anni di carriera e stelle Michelin alle spalle ricevendo grandi pacche sulle spalle e like. “La laurea non serve”, “il curriculum non serve”, “l’esperienza non conta”. Ma allora cosa conta?
La simpatia?
I followers?
Non riesco a capire quest’odio feroce verso qualsiasi – e intendo qualsiasi – professionista non deceduto. È come se la loro esistenza mettesse in crisi l’esistenza altrui. Come se l’esistenza di una persona più qualificata di noi ci squalificasse o umiliasse invece di essere un’ispirazione, o un maestro. Se bisogna andare a processo cerchiamo di scegliere un bravo avvocato, perché quando si tratta di rapportarci al resto del mondo scegliamo apposta gente incapace di intendere e di volere che ci fa fare figure orrende?
Forse è il famoso disfattismo italiano che si legge fin dai diari della Grande Guerra, ma nel 1920 è ben documentato che quando una maestra o un professore parlavano, li si ascoltava. Oggi li si critica e diffama dall’alto di una connessione Internet. E se il motivo mi è incomprensibile, lo è anche come possiamo pensare che ci sarà un lieto fine.