Oggi è raro regalare fiori, e tranne alcuni uomini vecchio stile – o quelli che vogliono fare colpo – i fiorai hanno visto un calo drastico di vendite, rispetto a una volta. Intervistare i più anziani spalanca un mondo di racconti, alcuni talmente grandiosi da sembrare usciti da un film. Quello che ho scoperto è che ogni fiore ha un significato nascosto ed è una sorta di alfabeto non solo emotivo, ma epico, ed era un corollario all’istruzione elementare.
Quando l’85% della popolazione era analfabeta, non c’erano nemmeno mezzi di comunicazione a compensarli. Gli spasimanti dovevano per forza scriversi o trovare un modo per comunicare. Sono famose le lettere sgrammaticate dei nostri soldati al fronte durante la Grande guerra, dove i più fortunati riuscivano a dettare – e a farsi leggere le risposte – dai preti militari o i commilitoni più istruiti. Non c’era grande privacy, per forza di cose.
I fiori, però, erano una sorta di alfabeto segreto.
Si tramandava di madre in figlia una generazione dopo l’altra, ma per il principio del telefono senza fili bastava una minima aggiunta o variazione perché nell’arco di tre generazioni cambiasse significato. E ogni famiglia ha al suo interno personaggi che adorano ingigantire o sminuire i dettagli che gli garbano.
Regalare dei fiori a una donna ha uno scopo unico e inequivocabile, oggi come allora. Ma duecento anni fa era pericoloso; il padre vedeva l’omaggio floreale e voleva sapere chi fosse l’autore. Se non era di suo gradimento, il poveretto rischiava anche una revolverata. Ma d’altra parte le donne passavano buona parte della loro vita tra casa e chiesa, quindi occasioni per conoscere spasimanti erano rare. Gli venivano presentati dal padre, eventualmente, così da avere il pedigree garantito.
Chi non aveva la fortuna di essere introdotto s’era inventato l’alfabeto dei fiori; li spediva a casa della ragazza senza scrivere né mittente né dedica, lasciando che i fiori componessero una sorta di indovinello.
Questo mandava nel panico le famiglie.
L’arrivo di un mazzo di fiori diventava una grande riunione di hacker ante litteram che tra nonne, madri, zie, sorelle e serve analizzavano il mazzo di fiori nei dettagli, mettendo a disposizione la loro conoscenza dell’alfabeto e cercando d’interpretarlo per capire chi li aveva mandati.
Spesso i fiori avevano riferimenti epici.
C’era la leggenda di Clizia, una ninfa innamorata di Apollo (il sole) il quale a lei preferiva Leucotoe, una ragazza mortale. Una notte Apollo, travestito, era riuscito a entrare in camera di Leucotoe e farle la festa. Clizia l’aveva saputo, e indignatissima l’aveva detto al padre di Leucotoe, che per salvare l’onore della casa aveva fatto seppellire viva la figlia.
In teoria ora Apollo era libero, ma il Dio rimase disgustato dalle azioni della spasimante e non volle avere più niente a che fare con lei. Disperata, Clizia rimase a disperarsi e guardare l’amato sorgere e tramontare, finché il suo corpo aderì alla terra e si trasformò in un fiore condannato a seguire il corso del sole per sempre.
Un girasole poteva significare ossessione – nel senso buono, all’epoca – ma poteva anche significare gratitudine e ammirazione; dipendeva da com’era disposto nel mazzo e da cos’era circondato. Erano pomeriggi lunghi, pieni di ipotesi, analisi, cantonate e colpi di genio, con tentativi di corruzione del fioraio che spesso andavano a buon fine. Forse oggi queste tradizioni sembrano tristi e ridicole, ma se siamo qui direi che hanno funzionato.
Un piano che funziona non è mai un piano stupido.