Nelle ultime settimane, il tema dei test sierologici per coronavirus è tra i più dibattuti. A fine aprile è stato infatti reso noto uno studio scientifico (pubblicato sulla rivista Nature Medicine) che dimostra che tutti coloro che hanno avuto la malattia da Covid-19, hanno – in conseguenza di essa – sviluppato anticorpi mirati a proteggere l’organismo da una eventuale seconda infezione. Certamente una buona notizia, ma che però – come accennato – non ha impedito il protrarsi di un dibattito sui test sierologici, su cui è dovuto intervenire recentemente anche il Garante della Privacy. Vediamo allora più nel dettaglio quali sono le ultime novità in merito.
Test sierologici: cosa sono e a che servono
Effettuare test sierologici significa letteralmente effettuare una ricerca degli anticorpi citati, ovvero delle immunoglobuline presenti nell’organismo dell’essere umano, che possono rafforzare le difese immunitarie contro una seconda infezione da SARS-CoV-2. Insomma, i test sierologici sono utili a mappare la popolazione colpita dal virus, per approfondire e dettagliare le dinamiche del contagio, e per meglio orientare le scelte politiche e della categoria dei medici, nei prossimi mesi.
Differentemente dai notissimi tamponi, ovvero gli esami di laboratorio mirati a scoprire la presenza del coronavirus all’interno nelle mucose respiratorie, i test sierologici sono orientati – in un secondo tempo rispetto alla fase di infezione – a identificare tutti coloro che sono entrati in contatto con il famigerato virus. Pertanto mentre i tamponi sono una sorta di “istantanea” sull’infezione, i test sierologici – che avvengono tramite prelievo di sangue – ci informano sulla storia della malattia. Ricapitolando: con i test sierologici è possibile scoprire se ci sono anticorpi, creati dal nostro sistema immunitario in contrasto al virus ormai vinto da chi li ha sviluppati.
È chiaro che questo tipo di test è di importanza strategica cruciale nella lotta al Covid-19, dato che molte persone – come ben sappiamo – hanno avuto sintomi blandi o addirittura sono state asintomatiche. Insomma, una ulteriore ragione giustificativa dei citati test. Come vedremo tra poco, tuttavia, non sono mancate alcune polemiche circa lo screening sierologico, specialmente nel mondo lavorativo.
Il punto del Garante Soro: il datore di lavoro può solo domandare i test
Come accennato, l’argomento dei test sierologici ha destato alcuni dubbi e sono emerse critiche, in ragione delle quali è dovuto intervenire anche il Garante della Privacy. Infatti, nelle ultime settimane ci si è domandati se l’effettuazione dello screening è davvero compatibile con la disciplina in materia di privacy dei lavoratori. Specialmente sono emersi dubbi sulla legittima applicabilità dei test sierologici, laddove sia proprio il datore di lavoro, privato o pubblico, a domandarne lo svolgimento.
Ebbene, la risposta del Garante della Privacy non si è fatta attendere: Antonello Soro ha stabilito che il datore di lavoro – sia pubblico che privato – non può direttamente fare o imporre test sierologici ai dipendenti. Infatti, a seguito dell’accordo di protocollo firmato in data 14 marzo 2020 tra il Governo e le parti sociali per la continuazione delle attività lavorative in stato di emergenza Covid-19, successivamente integrato in data 24 aprile 2020, sono state rese note Linee Guida ad hoc per tutelare il trattamento dei dati personali dei dipendenti sia di enti pubblici che di aziende private, in questa delicata fase.
Da tali Linee Guida emerge un quadro di regole di sicurezza e prevenzione sui luoghi di lavoro, sulla base delle quali il Garante è intervenuto a precisare che il datore di lavoro (ente pubblico o azienda) può esclusivamente domandare ai propri dipendenti di fare i test sierologici, ma non può obbligarli ad esami diagnostici. Peraltro, il test in oggetto può essere disposto soltanto dal medico competente (o da altro esperto di ambito sanitario), seguendo l’apparato di norme varato contro l’emergenza Covid-19.
In particolare, il Garante ha sottolineato che soltanto il medico del lavoro, nell’ambito della sua attività di sorveglianza sanitaria, può indicare la necessità di specifici esami clinici e biologici dei dipendenti di un ente o di un’azienda, dato che lo scopo di prevenzione della diffusione e del contagio del morbo deve essere perseguito da figure professionali che esercitano le loro funzioni in modo qualificato ed in via istituzionale, ovvero esperti della medicina.
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Concludendo, l’emergenza sanitaria da Covid-19 non può comunque costituire una deroga alle regole in tema di privacy, e pertanto il medico incaricato è tenuto a non rivelare le eventuali patologie del lavoratore. Anzi, vanno in ogni caso osservati tutti i principi in materia di protezione dei dati personali (dei lavoratori), come ribadito anche dal Ministero delle Salute. Piuttosto, il medico può comunicare al datore la condizione di debolezza del lavoratore, ma soltanto per tutelarne al meglio la salute, al fine che il lavoratore stesso venga di seguito adibito a mansioni o impiegato in luoghi in cui il rischio di infezione o malattia risulti più basso rispetto alle mansioni o ai luoghi precedenti. Insomma, riassumendo quanto dichiarato dall’Authority, il datore di lavoro non ha alcun effettivo potere in materia di test sierologici (può solo domandare o suggerire i test), spettando piuttosto al medico incaricato l’ultima parola.
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