Lunedì 1 giugno, a Napoli, in un cantiere abusivo composto da operai abusivi per costruire una casa abusiva sono morti Ciro Perrucci, 61 anni, e Daniel Thomas, un ivoriano di 20 anni. Stavano tirando su un muro di contenimento quando gli è crollata addosso il terrazzamento superiore. I Carabinieri li hanno trovati sotto le macerie abbracciati, in un ultimo tentativo di proteggersi l’un l’altro. La notizia viene riportata dai quotidiani locali e nelle agenzie stampa regionali, mentre la sfera social è impegnata a litigare per le proteste oltreoceano.
Ciro era un dipendente dell’ASIA, l’azienda dei rifiuti di Napoli, e come molti arrotondava facendo l’operaio in nero per mantenere la famiglia. Dopo il lockdown, l’occasione di lavorare in un cantiere è oro e non vai per il sottile. Probabilmente era la stessa cosa che pensavano gli altri tre ragazzini africani – tutti sui vent’anni – tra cui Daniel Thomas. Gli altri due, anonimi, si sono salvati solo perché non erano lì sotto.
Sono morti e vissuti come schiavi, né più né meno. Ciro costretto a vivere nell’illegalità, Thomas senza permesso di soggiorno, senza documenti, entrambi arruolati per lavori infami; pagati una miseria, che a volte muoiono di fatica come Paola Clemente. Dodici ore a lavorare nei campi per 27 euro.
Ciro e Thomas non hanno hashtag dalla folla, né considerazione da parte del governo.
Lunedì è iniziata la regolarizzazione di badanti e braccianti agricoli, mentre l’edilizia – settore che è luogo di sfruttamento e irregolarità quanto e più dell’agricoltura – non è nemmeno nominata. Per i morti nei cantieri non ci sono proteste né manifestazioni, non c’è nemmeno uno squittìo negli editoriali delle grandi firme. L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro nero, dove ai capicantiere non importa di che colore hai la pelle: gli basta tu non conosca i tuoi diritti e non possa scappare o andare dai Carabinieri. Dati e indignazioni alla mano, alla folla di Thomas Daniel non interessa, bianco o nero che sia.
Eppure è stato ucciso da schiavisti italiani a due ore di macchina da Roma.
Perché?
Perché “è Napoli”, dicono nei bar e pensano nei salotti, come se questo giustificasse ogni aberrazione della legge o rendesse i reati meno gravi. Ma posso assicurarvi per esperienza diretta che i cantieri sfruttano schiavi ed extracomunitari anche a Mestre, o a Treviso, o a Milano. O a Roma. Mi affascina e spaventa, questo meccanismo in cui quello che succede a 12 ore di aereo da Roma scatena ondate d’indignazione mentre quello che succede a due ore di macchina passa senza un sussurro.