Versamento contanti: quando scatta la segnalazione e chi rischia
Versamento contanti in banca: i rischi per il contribuente/correntista cui si riferiscono i soldi depositati e i controlli del Fisco. Chi segnala l’operazione?
Qualsiasi correntista dovrebbe sempre fare attenzione quando decide di depositare dei contanti, ovvero quando effettua il versamento contanti in banca. E ciò indipendentemente dalla causa del versamento: ad es. il denaro frutto di una vendita, i soldi in eredità del parente deceduto, le banconote donate da un amico. Si tratta, infatti, di un’operazione che potrebbe portare a conseguenze con il Fisco. Vediamo allora in questo articolo quando scatta la segnalazione e chi davvero rischia un accertamento fiscale, nel caso l’Agenzia delle Entrate sia addivenuta al sospetto che dietro il versamento contanti ci sia un fenomeno di “nero”. Facciamo chiarezza.
Versamento contanti: quando c’è il rischio di segnalazione?
L’operazione di versamento contanti di certo non resta ignota agli occhi del Fisco. Anzi, i movimenti e le transazioni appaiono e restano memorizzate nelle banche-dati dell’Agenzia delle Entrate. Insomma, il pericolo di essere segnalati per versamento contanti sul proprio c/c scatta in tutti i casi nei quali il denaro depositato presso l’istituto di credito:
- non ha una provenienza dimostrabile dal correntista;
- non è indicato nella dichiarazione dei redditi.
Nelle ipotesi appena citate, l’ufficio delle imposte è libero di far partire gli accertamenti fiscali di cui alle norme in merito, ed anzi, in queste circostanze, l’Agenzia delle Entrate ha il potere di emettere l’atto impositivo e di notificarlo al correntista, sulla base del mero sospetto di evasione. In altre parole, per aversi l’atto, non c’è bisogno di convocare o chiamare il correntista/contribuente, affinché siano rese spiegazioni delle citate operazioni. Il punto allora è anche capire chi è il soggetto che fa partire la segnalazione per versamento contanti e da quale ammontare di denaro versato, scatta il rischio di accertamento fiscale.
In effetti su questo tema, l’articolo 32 di cui al DPR n. 600 del 1973 (ovvero il Testo Unico sulle imposte sui redditi) è molto chiaro. La norma prevede una sorta di presunzione a favore dell’Agenzia delle Entrate: il Fisco può infatti ritenere che ogni versamento contanti sul c/c bancario è in grado di costituire reddito imponibile, e perciò tassabile.
Di fronte ad un tale assetto normativo, il contribuente che di fatto effettua il versamento contanti, è posto davanti alle due alternative viste sopra: o fa emergere la somma in dichiarazione dei redditi oppure la giustifica come reddito non tassabile, perché già tassato da chi lo ha erogato (ad es. datore di lavoro) oppure perché esente da tassazione. Ma come si può notare, l’iniziativa – e l’onere della prova – grava tutta sul correntista/contribuente, che deve dimostrare la liceità dell’operazione di versamento: altrimenti il Fisco potrà presumere che tutto il denaro depositato sul conto corrente sia risultato di evasione fiscale e di pratiche elusive delle tasse, se questo denaro non viene appunto fatto “emergere” dal contribuente.
Il Fisco, in materia di versamento contanti in banca, è insomma in una posizione di vantaggio, gravando sul contribuente l’onere della prova di essere nel giusto, contestando così l’atto impositivo di accertamento, innanzi al giudice o all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate.
Chi comunica il versamento al Fisco?
La domanda seguente è questo punto ovvia: chi è che comunica all’Agenzia delle Entrate l’esatto ammontare dei versamenti contanti negli istituti di credito? Ebbene, sono le stesse banche che effettuano le segnalazioni nei confronti del Fisco, con cadenza annuale, e pertanto rendono noti all’Agenzia delle Entrate tutti i tipi di rapporti che intercorrono tra esse ed i propri correntisti (ad es. gestione titoli, libretti, conti, depositi ecc.). Insomma, l’Agenzia delle Entrate non trova tutte le informazioni sul correntista/contribuente in automatico sui propri computer, ma è necessaria un’attività di “intermediazione” da parte della banca, che comunica i dati in oggetto, i quali vengono così inviati in un data-base denominato “Registro dei rapporti finanziari“. Tale registro – che raccoglia tutte le movimentazioni in entrata (ad es. i bonifici e i versamenti) e in uscita (ad es. i pagamenti e i prelievi) – è incluso nell’Anagrafe tributaria e viene anche chiamato “Anagrafe dei conti correnti”, proprio perché in essa il Fisco può trovare, per ciascun contribuente, tutte le informazioni rilevanti dal punto di vista finanziario e fiscale.
Ecco allora che, a seguito dell’indicazione delle citate operazioni nel Registro dei rapporti finanziari, l’Agenzia delle Entrate può far partire tutte le verifiche del caso e capire se davvero il contribuente ha incluso le somme movimentate per versamento contanti, all’interno della dichiarazione dei redditi. Se è così, la verifica non comporta conseguenze per il contribuente, ma in ipotesi negativa l’ufficio delle imposte può emetter un atto impositivo di accertamento fiscale. In tale atto il Fisco da una parte indica la somma contestata “a reddito” e pertanto tassabile, dall’altra impone il versamento delle imposte evase e delle collegate sanzioni. Ribadiamo che tutto ciò avviene senza un previo confronto “chiarificatore” tra correntista/contribuente ed ufficio delle imposte.
La suddetta prova che si tratta di un reddito esente da tassazione oppure di un reddito già tassato alla fonte, va resa dal contribuente esclusivamente in forma scritta e con data certa.
Concludendo, ci si potrebbe domandare da quale somma oggetto di versamento contanti, sussiste il rischio di accertamento fiscale. Ebbene il citato Testo Unico e le altre norme fiscali non dicono nulla in merito, ma la è chiaro che il Fisco farà i controlli per somme piuttosto consistenti, ed almeno a tre zeri.
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