Il problema degli USA è nelle sue fondamenta, e non si può risolvere

Pubblicato il 5 Giugno 2020 alle 17:59
Aggiornato il: 11 Giugno 2020 alle 20:21
Autore: Nicolò Zuliani

Guardare gli Stati Uniti con gli occhi di un europeo non ci permette di capire appieno quanto sono sbagliati.

Il problema degli USA è nelle sue fondamenta, e non si può risolvere

L’episodio di George Floyd ha tirato una scintilla in una Santa Barbara dove si trovavano l’alt-right bianca che non vedeva l’ora di mettere in pratica i propri concetti di difesa armata individuale/tribale, i prepster armafiliaci ansiosi di poter girare come fosse il set di Fuga da New York, i cittadini in povertà assoluta, i figli della middle class felici di mischiarsi per divertimento, i pazzi che tentano stragi per gioco, la totale incapacità delle FF.OO americane di gestire l’ordine pubblico (“se vi tirano bottigliette d’acqua, investiteli” è roba che manco a Baghdad) e, per finire, la voglia generale di scaricare odio razziale, brama di violenza e caricatori di giocattoli militari accumulati negli anni.

E tutto questo viene semplificato dalla parola “razzismo”.

Basta pronunciare quella parola e la folla si divide immediatamente: bianchi contro neri, neri contro bianchi, bianchi contro bianchi che sono contro i neri, neri contro i meno neri, neri contro i bianchi che sono contro i bianchi e via dicendo. È straordinario. Negli Stati Uniti su 328,2 milioni di persone ce ne sono 38 milioni in povertà di cui oltre mezzo milione senza casa, cioè circa il 12% della popolazione (con la crisi dei subprime nel 2010 era il 15%) ma finché si parla di lotta razziale non si parla di lotta sociale, e a chi comanda non servirà assassinare Martin Luther King o Kennedy.

Finché i poveri sono convinti di essere diversi non sono pericolosi.

Continueranno a scannarsi tra loro e fare a gara a chi è meno diverso, a chi è migliore dell’altro, a chi vive meglio. In questo raffinato meccanismo del dividi et impera una parte importante la fanno rivolte e saccheggi. Sono previste fin dai tempi di Martin Luther King. Cos’è che saccheggia, il popolo? Televisori, cellulari, borse, scarpe, tutta roba fatta da altrettanti poveri dall’altra parte del mondo, pagati a bastonate e miseria, e che ai proprietari costano pochi centesimi. Quanto costa produrre un paio di Nike in Vietnam, o assemblare un televisore in Cina?

A nessuno di chi sta al vertice cambia nulla, anzi.

Se saccheggiano beni di lusso e status symbol è un buon segno: da un lato mostrano di dare ancora importanza agli oggetti che li tengono in catene, dall’altro permette alla destra di puntare il dito e dire “guardate, sono banditi” e la sinistra replica “razzisti”, per quello strano meccanismo mentale per cui più dai del razzista a qualcuno e più credi di dimostrare di non esserlo tu.

Ma gli Stati Uniti sono un paese marcio sin dalla nascita.

Fondati da pochi borghesi e nobili che gestivano una grande manodopera bianca venduta in servitù a contratto, la quale era composta da carcerati e/o idioti fuggiti dal paese d’origine quasi subito affiancati (e poi sostituiti) da schiavi rapiti o comprati in Africa; tutto questo basato su un sistema protestante, quando non di derive cristiane ancora più individualiste e/o utilitariste. Il loro è un modello con zero coesione sociale, individualismo assoluto, classismo o razzismo (sai che cambia…) in cui 40 anni fa se eri nero non ti potevi sedere con i bianchi e tutt’oggi non esistono salari minimi decorosi, ferie pagate, congedi di malattia o maternità, pensioni minime e l’assistenza sanitaria è un benefit per pochi privilegiati.

Un posto dove oggi se sei povero non hai la reale possibilità di votare (i seggi stanno a chilometri di distanza, i trasporti costano e impiegano tempo), la scala sociale è azzerata e sia destra che sinistra ti dicono che il punto è il colore della pelle. Che di sicuro gioca un ruolo, ma non è il principale e nemmeno il secondario.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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