I dati statistici degli ultimi anni parlano piuttosto chiaro: insieme alla scelta delle libere unioni come percorso alternativo al matrimonio, sono in costante crescita le convivenze prematrimoniali, che spesso contribuiscono a rinviare le nozze a età più matura. Ciò di cui vogliamo occuparci di seguito è proprio la convivenza di fatto: dal 2016 anche le persone che decidono di convivere, ma non di sposarsi (o quanto meno non subito), ricevono una tutela dalle norme del diritto civile, che andremo a vedere più nel dettaglio. In particolare, vedremo come si può provare la convivenza di fatto, dato che dimostrarne la sussistenza è condizione essenziale per ottenerne la registrazione in Comune, e i conseguenti benefici. Facciamo chiarezza.
Convivenza di fatto: di che si tratta e dov’è oggi regolata
Poco sopra abbiamo accennato che dal 2016 la convivenza di fatto ha ricevuto disciplina giuridica. Ciò è avvenuto grazie alla nota legge Cirinnà, ovvero la legge n. 76 di quell’anno (“Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze“): tale provvedimento, oltre a istituire formalmente le unioni civili e a prevedere la possibilità di contratti di convivenza (di cui abbiamo già parlato diffusamente qui), sancisce la tutela giuridica verso la convivenza di fatto che, sebbene non sia equiparabile in toto a quella tipicamente matrimoniale, è comunque un balzo in avanti – rispetto alla situazione di vuoto normativo anteriore a detta legge del 2016 – che garantisce l’attribuzione di diritti e doveri anche alle coppie conviventi. Ma che cos’è in concreto una convivenza di fatto?
Ebbene, oggi tale situazione non deve intendersi come una mera e semplice relazione sentimentale tra due persone non sposate, ma piuttosto la situazione di “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinitào adozione, da matrimonio o da un’unione civile“. Come anche per le unioni civili, per aversi una convivenza di fatto il sesso dei conviventi non è elemento rilevante, potendo infatti trattarsi sia di coppia eterosessuale, che omosessuale. Come anticipato sopra, occorre che però i conviventi attestino in qualche modo questo legame affettivo e la convivenza sotto lo stesso tetto (che nel matrimonio è invece scontata e presunta), come vedremo tra poco.
Come si attesta lo status di conviventi di fatto? La prova della convivenza
Ebbene, per poter ottenere i benefici disposti oggi dalla legge anche a favore dei conviventi di fatto, è necessario che questi ultimi formalizzino il loro “status”. La citata legge Cirinnà prevede in proposito che la convivenza di fatto può essere ufficializzata da un’autocertificazione, scritta in carta libera e fatta avere all’ufficio preposto del proprio Comune di residenza, vale a dire il luogo in cui i conviventi di fatto dichiarano di abitare presso lo stesso indirizzo. In tale autocertificazione, con assunzione di responsabilità, chi la redige autocertificherà che le persone conviventi nella stessa abitazione, hanno un legame affettivo stabile. L’autocertificazione in oggetto è firmata dall’interessato (o dagli interessati) alla presenza dell’addetto al registro dell’anagrafe del Comune. È comunque possibile anche firmare la dichiarazione scritta e presentarla in seconda battuta insieme ad una copia fotostatica non autenticata di un documento di identità di colui che appone la firma. In base alle norme vigenti, l’autocertificazione citata può anche essere spedita al proprio Comune di residenza attraverso raccomandata a/r, oppure con fax o ancora con posta elettronica certificata (PEC). Ma in ognuno dei tre casi, è necessario comunque allegare una copia del proprio documento d’identità.
Di seguito, sarà compito del Comune di residenza dare il via a tutti i necessari accertamenti e controlli, attraverso i quali capire se davvero una data coppia rispetta tutti i requisiti della legge Cirinnà: in caso di esito positivo della verifica, il Comune emetterà il certificato di residenza e lo stato di famiglia.
Questa appena vista è l’ipotesi generale, attraverso la quale ottenere il riconoscimento del proprio status di conviventi di fatto, e quindi la relativa tutela giuridica. Ma è anche vero che l’autocertificazione non è obbligatoria, dato che la convivenza di fatto può essere dimostrata anche con mezzi diversi. Infatti, insieme o in alternativa all’autocertificazione è ammesso di dare altre e differenti prove, come ad esempio documenti scritti (contratto di mutuo, foto, polizza assicurativa rc auto ecc.) e testimonianze (che possono anche essere richieste dal Comune) dei genitori della coppia, degli amici ecc.
Cosa comporta il riconoscimento di questa situazione?
Chiarito che cos’è la convivenza di fatto e come si può attestare per ricevere tutela dalla legge, vediamo ora quali sono i diritti e doveri che scaturiscono da tale formalizzazione della convivenza:
- il convivente superstite succede nel contratto di locazione al convivente deceduto, e può anche essere incluso nelle graduatorie per l’assegnazione delle case popolari;
- al convivente di fatto che impegna durevolmente le proprie energie per il profitto dell’impresa dell’altro convivente, spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare, ai beni acquistati con essi, e agli incrementi della stessa impresa;
- in ipotesi di malattia grave tale da compromettere la capacità di intendere e volere, il convivente malato può delegare l’altro a rappresentarlo nelle scelte che lo riguardano nel settore della salute. E, in caso di ricovero, al citato convivente è concesso anche il diritto di visita e di assistenza all’ospedale;
- i conviventi possono sottoscrivere il cd. contratto di convivenza, in modo da mettere nero su bianco i rapporti patrimoniali;
- in ipotesi di cessazione del periodo di convivenza di fatto, il magistrato determina il diritto del convivente di ottenere dall’altro convivente gli alimenti (per un lasso di tempo collegato alla durata della convivenza), nel caso si trovi in stato di bisogno e non possa mantenersi autonomamente;
- il convivente di fatto può visitare l’altro che sia detenuto in prigione, proprio come per le coppie sposate;
Concludendo – come si può ben vedere – si tratta di un ventaglio di tutele non irrilevanti che, sebbene non sia pienamente comparabile a tutte le tutele matrimoniali, rappresenta comunque un importante passo in avanti rispetto alla situazione anteriore al 2016, in cui la convivenza di fatto non era garantita affatto.
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