La battaglia navale di Azio poteva essere evitata, perché la guerra tra Marco Antonio e Ottaviano era già stata vinta su carta. I tre personaggi erano Cleopatra, regina d’Egitto e donna di inaudita bellezza, ex amante di Dio (chiamato dai mortali Gaio Giulio Cesare) da cui aveva avuto un figlio e che ora concedeva i suoi favori a Marco Antonio. Lui ricambiava con passione. Grazie alle risorse economiche di lei era riuscito a conquistare l’Armenia nonostante la sua campagna militare fosse stata mediocre, ma aveva iniziato a montarsi la testa: pensava a sé stesso prima che a Roma.
Dall’altra parte c’era Ottaviano, quello che molti romani reputavano degno erede di Cesare. Ottaviano non era un gran condottiero militare, era un politico ambizioso e dotato di un talento che nella vita spesso batte gli altri: sapeva scegliere gli uomini. Per scatenare la guerra contro Marco Antonio gli bastò corrompere un funzionario così da poter mettere le mani sul testamento del rivale. Come prevedeva, Marco nominava Cleopatra e suo figlio reggenti di Cipro e spartiva le terre che gli erano state affidate tra lei e i suoi figli. A quel punto gli bastò leggerlo in senato e in pubblico per scatenare ondate d’indignazione.
Ora bisognava solo uccidere il nemico della patria, ma evitando di chiamarla guerra civile. Così Roma dichiarò guerra a Cleopatra.
Antonio e Cleopatra agirono in fretta e con intelligenza, scegliendo come quartier generale Patrasso, che a livello strategico permette di minacciare l’Italia e contemporaneamente di essere protetto da due isolette, Cefalonia e Leuca. Poi allargò il fronte e fece in modo che i rifornimenti arrivassero dal nordafrica facendo un giro largo, e dalla disposizione si poteva dedurre la strategia di Antonio consistesse non nell’attacco diretto – tipicamente romano – ma nell’arroccarsi a difesa e fare rapide azioni d’attacco. Era pensata bene, per un dilettante. Purtroppo Ottaviano aveva Marco Vipsanio Agrippa.
Agrippa studiò le mappe, la disposizione delle forze di Antonio, e invece di attaccarlo salpò con tutta la flotta verso il nordafrica, dove i soldati di Antonio si arresero all’istante. I rifornimenti non potevano più passare via mare ma via terra, impiegando il quintuplo del tempo. Fatto questo, cominciò a fare minuscole azioni di guerra così da tormentare Antonio senza sacrificare molte navi o uomini: gli bastava torturarlo, il tempo avrebbe fatto il resto.
Antonio e Cleopatra arretrarono verso Azio abbandonando Patrasso, e Ottaviano – nei panni di Agrippa – avanzò senza problemi. A quel punto la guerra era finita, su carta. Mancava una closure, sì, ma si poteva evitare.
Invece Antonio decise per lo scontro finale.
I suoi ufficiali propendevano per la battaglia a terra, su cui erano superiori. Invece Cleopatra lo convinse a scegliere la battaglia navale per una ragione molto semplice: l’Egitto aveva fornito una manciata di guerrieri poco preparati, ma moltissime navi. In caso di vittoria il bottino veniva spartito a percentuali di chi aveva partecipato, e Cleopatra avrebbe avuto una percentuale più alta se venivano conteggiate le navi.
Le navi di Agrippa erano più moderne e manovrabili, ma molte meno.
Durante la battaglia accadde qualcosa per cui gli storici ancora si accapigliano. Secondo alcuni, a Cleopatra la battaglia sembrò vinta e abbandonò il campo per risparmiare i propri uomini. Secondo altri comprese fosse perduta e scappò via lasciando le proprie truppe venire massacrate. In ogni caso, Ottaviano (via Agrippa) trionfò mentre Antonio e Cleopatra si salvarono di un soffio, ripiegando ad Alessandria. Qui Antonio si suicida gettandosi sulla propria spada, forse per un shakespeariano equivoco – gli sarebbe giunta voce Cleopatra si sia uccisa.
Invece lei è viva, rinchiusa in un palazzo ad Alessandria.
Quello che l’aspetta non è gradevole. L’amante è morto, i sogni di gloria sono infranti, l’Egitto perduto e i suoi figli, molto probabilmente, verranno giustiziati. Così prova a fare quello che sa fare meglio: invita Ottaviano a cena, e lui accetta. Quello che si dicono e cosa succede è avvolto nel mito. Da Storia Romana di Cassio Dione sappiamo che lei tirò fuori le lettere che le scriveva Giulio Cesare, forse per ispirare compassione, forse desiderio. Sappiamo che chiese a Ottaviano di ucciderla, ma lui rifiutò. Sappiamo che rimase lì tutta la notte e uscì all’alba, convinto che Cleopatra l’avrebbe seguito a Roma.
Invece lei indossò il suo vestito più bello e si tolse la vita facendosi mordere – pare – da un serpente velenoso. A quella notizia, Ottaviano provò compassione e rispetto. Ordinò che venisse seppellita con tutti gli onori nello stesso mausoleo dove riposava Antonio. Un mausoleo che storici e archeologi cercano, incessantemente, da oltre duemila anni senza trovarlo.