119 nel rapporto 2018, 187 in quello 2019, 134 secondo i dati diffusi a maggio 2020. Sono i casi di omofobia in Italia riportati dalla stampa e censiti da Arcigay. Riguardo le aggressioni fisiche vere e proprie si evidenzia un andamento analogo: 57 nel 2018, 83 nel 2019 e in calo a 32 nell’ultimo rapporto. Oltre ai casi finiti sulle cronache, per ogni adolescente che denuncia vi sarebbe una sessantina di altre vittime che non hanno la forza per farlo. Per avere un ordine di grandezza del fenomeno omotransfobia, si conta una media di 50 telefonate alla Gay Help Line per raccontare le violenze subite, anche in famiglia, in aumento nel periodo del COVID-19.
Diffamazioni e violenze indubbiamente sono reati e già puniti ai sensi del codice penale italiano. E già nella Costituzione della Repubblica Italiana, anche se non esplicita l’orientamento sessuale o l’identità di genere, afferma che
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Costituzione della Repubblica Italiana, art. 3
Oltre a ciò si riconosce che «compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli […] che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana». Così ha ribadito anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella:
Le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale costituiscono una violazione del principio di eguaglianza e ledono i diritti umani necessari a un pieno sviluppo della personalità umana.
Dichiarazione del Presidente Mattarella in occasione della Giornata Mondiale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia, 17 maggio 2020
Su questo tutti dovrebbero concordare. Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica chiede di evitare, nei confronti di uomini e donne omosessuali, «ogni marchio di ingiusta discriminazione» (CCC 2358). Come accogliere allora l’invito del Presidente della Repubblica per promuovere e valorizzare le persone LGBT+, «anche nelle relazioni interpersonali e affettive […] nella condizione di esprimere la propria personalità e di avere garantite le basi per costruire il rispetto di sé»? Lo si vuole davvero fare? Questa è la domanda che ciascuno dovrebbe porsi. Ogni dialogo per fronteggiare l’omotransfobia deve partire da questa precondizione.
Omotransfobia: un nuovo tipo di aggravante?
Con questo non vorrei essere arruolato però tra i sostenitori di una proposta o di un’altra, come il pdl Zan in discussione alla Camera. Anzi, penso che l’eccessiva tipizzazione delle aggravanti per i reati (attualmente se commessi «per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso», 604ter c.p. italiano) sia abbastanza deleteria, perché innumerevoli potrebbero essere le tipologie di odio non menzionate. Forse preferirei una formulazione più inclusiva, del tipo «condizioni/caratteristiche/idee personali o sociali», ma chiedo ai giuristi di trovare la migliore. Alcuni amici esperti in materia segnalano comunque che, se si vuole mantenere la coerenza logica della legge, non si capisce perché se c’è l’aggravante di odio razziale non ci dovrebbe essere anche quella di omotransfobia. Ultimamente però si parla sempre più anche di sessismo (spesso a senso unico), di ageism (odio verso persone di età diversa, giovani VS anziani), e altre divisioni sino alle più pretestuose per nascondere la vera frattura sociale che si acuisce nell’attuale sistema economico. Per quanto tipizzate, le aggravanti restano poco determinate spetta poi sempre al giudice definire i margini della discriminazione: se una persona commette violenza su una vittima africana riceve l’aggravante; cosa fare se invece fosse una persona a subire violenza in quanto “terrona” o “milanese untore”, come alcune recenti minacce che ho notato scritte sui muri? Si tratta forse di odio etnico, nazionale o razziale? Qui penso al penalista Alessandro Spena che si è occupato di tali problematiche. Sempre che si concordi sul fatto che una violenza con motivazioni ideologiche sia più grave rispetto a una violenza “ordinaria” – e pure qui ci sarebbe da discutere – non si tratta degli elementi costitutivi del reato, ma delle cause soggiacenti.
Discorsi di omotransfobia: un nuovo tipo di reato di opinione?
Sopporto quindi ancora meno le leggi (come il 604bis c.p.) che reprimono i cosiddetti “reati di opinione”, punendo chi propaganda/istiga qualche tipo di idea o ideologia, seppur delirante, negazionistica, complottistica, antiscientifica, discriminatoria… e non sto qui a tipizzarle, perché davvero sarebbero infinite. D’altro canto, non esplicitarle tutte crea una sorta di ideologia pubblica di ciò che si può pensare e ciò che invece è reato per il solo fatto di manifestare la propria follia. In alcuni paesi erano giunti a prevedere persino il carcere per il solo fatto di possedere simboli o libri di una data tendenza politica; di certo non è il massimo dello stato di diritto: la libertà di espressione – anche della più assurda opinione – è indicatore della salute di una democrazia, e non solo di un diritto del singolo. Estendere ulteriormente i “discorsi d’odio” (hate speech) anche a quelli di “omotransfobia” crea inoltre un’ambigua commistione tra morale e diritto, che si muovono su piani distinti: tutto ciò che è immorale deve essere reato? Il prof. Massimo Donini ha esplorato il tema. In questo caso specifico, sembra piuttosto una vendetta rispetto ai tempi in cui ad essere immorale non era l’omotransfobia ma l’omosessualità, e si poteva essere puniti penalmente per questo. Chiariamo che comunque nel testo consolidato attualmente in esame in Parlamento è stata rimossa la modifica al 604bis c.p. che inizialmente prevedeva tale nuovo “reato di opinione”.
In democrazia si scommette: la verità vincerà sull’idiozia
Finché i “discorsi d’odio” si mantengono sul piano delle opinioni – mentre ovviamente gli atti di violenza vanno puniti innanzitutto in quanto tali, e poi con eventuali aggravanti sulle motivazioni futili, ideologiche, premeditate – le persone veramente democratiche hanno gli anticorpi per fronteggiare anche i deliri più pericolosi. Se non li hanno devono farseli, e ciò deve avvenire non in tribunale, bensì sull’unico terreno possibile in questa laicità terrena: proprio l’agone pubblico della democrazia, che è una scommessa antropologica ed educativa. Se le idee sono così forti, un’idiozia può essere sconfitta dalla verità che è ancora più forte, anziché ricorrere alla violenza pubblica che alimenta insofferenze, risentimenti, vittimismi e vendette? In questo mi trovo d’accordo con i liberali.
L’uguaglianza costituzionale e l’utilizzo propulsivo del diritto penale
Una riflessione a parte andrebbe fatta per la vigente formulazione costituzionale di San Marino, per la quale «tutti sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, orientamento sessuale, condizioni personali, economiche, sociali, politiche e religiose». Lì si esplicita l’orientamento sessuale nell’elenco dei vari ambiti – senza però escluderne altri – in cui soprattutto si deve concretizzare questa uguaglianza davanti alla legge.
Nulla a che vedere con l’uso propagandistico, emergenzialistico e “propulsivo” del diritto penale – cui si fa sempre più ricorso soprattutto nell’ordinamento sudamericano ad esempio per i reati autonomi di femminicidio – ma che pure in Italia ha partorito “nuovi” reati come il revenge porn, già punito con altre norme, ovviamente. Svariati penalisti argomentano accademicamente contro questa strumentalizzazione del diritto penale per risolvere le disparità sociali mediante norme persino più repressive del fascista codice Rocco, eppure evitano di esporsi pubblicamente perché temono di essere associati a chi invece effettivamente è autore o complice di tali discriminazioni.
Se siamo giunti a questa deriva probabilmente è perché esistono effettivamente discriminazioni, ma non si è saputo o voluto fronteggiarle sul piano economico, educativo, famigliare, culturale, culturale, religioso. Anzi, purtroppo alcuni ambienti ecclesiali che hanno preso posizione a favore della “famiglia tradizionale” si sono rivelati persino incubatori di intolleranza e odio verso il diverso.
Cito un altro passaggio del Presidente Mattarella:
La capacità di emancipazione e di autonomia delle persone è strettamente connessa all’attenzione, al rispetto e alla parità di trattamento che si riceve dagli altri. Operare per una società libera e matura, basata sul rispetto dei diritti e sulla valorizzazione delle persone, significa non permettere che la propria identità o l’orientamento sessuale siano motivo di aggressione, stigmatizzazione, trattamenti pregiudizievoli, derisioni nonché di discriminazioni nel lavoro e nella vita sociale».
Dichiarazione del Presidente Mattarella in occasione della Giornata Mondiale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia, 17 maggio 2020
Lobbismo parlamentare o educazione all’incontro con la realtà?
Giungiamo quindi alla domanda fondamentale: ci sono altre vie differenti da quella penale per sconfiggere «ogni marchio di ingiusta discriminazione» verso le persone che di presentano come LGBT+? Probabilmente sì, soprattutto se si crede nella società civile. Se la parità di trattamento è un principio già fondamentale nel dettato costituzionale, attenzione e rispetto difficilmente possono venire imposte per legge votate a colpi di lobbismo contrapposto, utili prevalentemente a fidelizzare il proprio elettorato.
La sfida per sconfiggere l’omotransfobia è piuttosto di tipo educativo, e non per questo meno impegnativa. A partire dalla scuola, sarebbe prioritario favorire occasioni di ascolto, di dialogo e di confronto esperienziale con le persone in carne ed ossa, che possano esprimere pienamente e alla luce del sole le proprie personalità e le proprie relazioni, per quanto “diverse” si possano mostrare e ci possano sembrare. Ciò che è quasi impossibile quando ci si incaglia nei discorsi sui massimi sistemi, è invece attuabile nell’incontro con la realtà. Un cristiano non può che concordare su questo: persino Gesù ne uscì trasformato dall’incontro personale con la Cananea.
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