Proviamo a immaginare un mondo diverso – forse non molto
Il problema dell’essere scrittori è che immaginiamo un sacco di cose strane.
Provate a immaginare un mondo che per la stragrande maggioranza è composto e governato da regole basate su una religione. Il messia e i proseliti sono morti e non hanno lasciato eredi, solo fedeli. Uomini e donne che hanno accettato la religione, e l’hanno applicata al vivere di tutti i giorni. Si nasce, ci si sposa e si muore con un rito ben determinato, ufficiato da gente che si è specializzata nello studio di questa religione.
L’anno è disseminato di feste e celebrazioni relative al messia: la sua morte, la sua rinascita, i suoi insegnamenti. Queste ricorrenze alternano feste a mortificazioni, e attecchiscono perché rispondono agli istinti dell’uomo che brama il controllo, ma è attratto dal caos.
Poi gli anni passano, e la fede nel messia si affievolisce.
Il mondo cambia, tanto da essere irriconoscibile rispetto a quello in cui il messia era nato. Quelle festività e quei riti diventano obsoleti, spesso ingenui, ma soprattutto inutilmente mortificanti. Ormai c’è da mangiare per tutti, a che serve fare banchetti? Ormai si sa come mantenersi in forma, a che serve digiunare? La scienza risponde in modo più comprensibile dei teologi. Gli psicofarmaci funzionano meglio della preghiera.
I riti si annacquano, diventano parodie e poi svaniscono nel dimenticatoio, riportando l’uomo a un’esistenza caotica, in cui ogni giorno è uguale all’altro e non c’è niente da aspettare se non il fine settimana o le vacanze, nelle quali si aspetta di tornare alla vita di ogni giorno.
Una vita senza regole né scadenze è un po’ come immaginare l’infinito: per un breve periodo di tempo inebria, poi stomaca, poi causa una depressione feroce. L’uomo ha bisogno di limiti e regole per poter sognare di sovvertirle, e trae un enorme piacere nel farlo – o nel sognare di riuscirci – perché gli dà uno scopo. Un’attesa, una speranza, un motivo per esistere. Rimosse o sovvertite le regole è preda di enorme gioia, vi sono grandi festeggiamenti, e poi l’uomo scopre di non avere altro motivo.
Quando le regole da sovvertire finiscono si rivolge a quelle passate. Tenta di riscrivere la Storia a modo suo, e quando gli riesce festeggia ancora, e ancora si sveglia senza uno scopo. Allora cerca dei nemici, purché diversi da lui. Una razza, un sesso, una nazionalità, una fede. Poi muore ucciso o invecchiato, e tutto ricomincia.
Ma c’è un modo per evitare che questo accada: ripristinare quelle feste che gli davano un’attesa. Una volta l’anno, per esempio, per due settimane e due giorni si potrebbe essere NON autorizzati, ma perdonati se ci si maschera e si sovverte l’ordine sociale protetti dall’anonimato. Le puttane si vestono da nobildonne e le nobildonne si prostituiscono, i pezzenti si conciano da gran signori ed entrano nei palazzi più prestigiosi, mentre i signori si vestono da straccioni e vanno in giro a elemosinare e fare umili inchini.
In questo mondo ideale sarebbe possibile mantenere l’ordine e le regole, non importa quanto ingiuste, perché questi giorni di follia permetterebbero ai membri più sfruttati di avere l’attesa di un cambiamento, che nelle anime semplici è il cambiamento stesso. Contemporaneamente permetterebbe ai membri più fortunati di avere un’emozione, qualcosa di diverso capace di farti apprezzare la normalità. Immaginate un mondo in cui cambiano usi, costumi, colori, tecnologia, ma questo meccanismo si ripete in eterno.
È solo un gioco narrativo, ovviamente.
Ma potrebbe venir fuori un bel racconto.