Frode informatica: cos’è, come si manifesta e quand’è reato
Frode informatica: in cosa consiste e dov’è disciplinata dalla legge. Quando si è puniti e quali sanzioni rischia l’autore del reato. Alcuni esempi pratici
I delinquenti si sono adeguati alla diffusione capillare delle nuove tecnologie in tutto il globo. Ecco spiegato il fiorire delle frodi informatiche, ovvero di particolari subdole strategie, che permettono al malintenzionato di ingannare o truffare la vittima designata, sottraendolo non soltanto soldi, ma anche informazioni e dati utili. Proprio di questo vogliamo occuparci di seguito: vedremo cos’è di preciso la frode informatica, in che cosa consiste e come individuarla. Facciamo chiarezza.
Frode informatica: di che si tratta e dove è regolata
Come accennato, la frode informatica è quel particolare reato che viene compiuto e realizzato mediante strumenti tecnologici o informatici, servendosi quindi di pc fissi o portatili, smartphone e connessione internet. Il reato in questione, se ben congegnato e messo in atto, può davvero cogliere l’obiettivo prefissato dai delinquenti, tanto che la vittima o le vittime di tale illecito penale, molto spesso, si rendono conto dell’inganno soltanto molto tempo dopo. La frode informatica, a differenza delle più comuni e classiche frodi, ha anche la peculiarità di essere compiuta a distanza ed in modo anonimo: la tecnologia infatti consente al delinquente di mandare in porto la sua truffa, grazie all’utilizzo di una comune tastiera per pc o del touch screen dei cellulari delle ultime generazioni. Ma tale reato dove trova disciplina normativa?
Ebbene, anche il Codice Penale si è adeguato all’evoluzione della tecnologia e delle tecniche di truffa, prevedendo l’art. 640 ter, intitolato “Frode informatica“. In esso si trova esplicitamente sancito che chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico oppure intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procuri a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032.
Nel testo dell’articolo si trova indicato altresì che la sanzione è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 600 a euro 3.000 se il fatto è commesso con furto o indebito utilizzo dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti. In quest’ultimo caso, il legislatore ha voluto specificamente colpire la condotta di chi ruba l’identita o account altrui su internet, una prassi purtroppo oggigiorno assai diffusa e che trova nei social network un terreno facilmente “aggredibile”.
L’illecito penale in oggetto è un reato comune, e pertanto può potenzialmente essere commesso da chiunque; colpisce il patrimonio altrui ed è quanto meno astrattamente configurabile come tentativo. Nella generalità dei casi (ma non sempre), il reato di frode informatica è punito su querela della persona offesa.
Lo scopo della norma e il bene tutelato
Il legislatore ha previsto l’articolo citato, allo scopo di dare tutela al patrimonio individuale altrui, ed in particolare al regolare funzionamento dei sistemi informatici ed alla privacy, da garantire alle informazioni contenute in detti sistemi.
L’articolo in questione costituisce in pratica la versione applicata alla tecnologia del delitto di truffa, di cui all’art. 640 c.p, ma da quest’ultimo la frode informatica si distingue in quanto è diverso l’elemento causale: in queste circostanze infatti non è richiesta l’induzione in errore della vittima, dato che l’attività truffaldina colpisce in verità il sistema informatico della stessa vittima. Il comportamento sanzionato infatti si manifesta con atti che alterano il sistema, intervenendo senza alcun diritto o autorizzazione su informazioni, programmi e dati di proprietà altrui. Insomma, la frode informatica è nel cosiddetto “rapporto di specialità” con la truffa ordinaria: è escluso quindi che in tribunale una persona sia condannata per concorso di ambo i tipi di truffa (ordinaria di cui all’art. 640 c.p. e informatica di cui all’art. 640 ter c.p.). Pertanto, nell’ipotesi in cui oltre all’intervento indebito nel sistema informatico altrui, vi sia anche l’induzione in errore della vittima (tipica della truffa ordinaria), l’autore sarà condannato per il reato-base di truffa: ma ciò dovrà appunto essere accertato dal magistrato in corso di causa.
Come si manifesta nella realtà?
Molteplici le applicazioni pratiche del reato di frode informatica, nella vita di tutti i giorni. Pensiamo, ad esempio, a chi modifica il normale svolgimento di un iter di elaborazione o di trasmissione di informazioni sul web, ovvero interferisce in qualsiasi modo nella trasmissione di queste informazioni, provocando un danno nella finalità di averne un profitto economico. È il comportamento tipico degli hackers, ovvero dei criminali informatici che entrano indebitamente nei pc o smartphone altrui – grazie alle loro conoscenze e capacità in ambito informatico – allo scopo di prelevarne dati riservati, come credenziali d’accesso, password per social network, numeri di carta di credito ecc.
La Corte di Cassazione si è occupata frequentemente di frode informatica: per esempio, ha sancito che ricorre tale reato laddove un soggetto, utilizzando una carta di credito falsificata e un codice di accesso fraudolentemente ottenuto in precedenza, penetri abusivamente nel sistema informatico bancario e compia illecite operazioni di trasferimento fondi. Sempre la Suprema Corte ha stabilito che dà luogo a frode informatica il comportamento del dipendente dell’Agenzia delle Entrate che, servendosi della “password” in dotazione, manomette la posizione di un qualsiasi contribuente, compiendo sgravi non dovuti e non giustificati dalle evidenze in possesso dell’ufficio delle imposte.
Il malintenzionato, come ormai dovrebbe essere ben chiaro, può agire con un’ampia varietà di strategie, a patto che però sia ferrato nel settore informatico. Di solito il truffatore, in queste circostanze, si avvale di specifici programmi, detti “virus“, che gli permettono di penetrare nei dispositivi e nella rete altrui: i virus da un lato possono danneggiare informazioni e software della vittima del reato, dall’altro sottraggono informazioni anche delicate come i numeri di carta di credito, costituendo quindi il mezzo per ottenere l’ingiusto profitto di cui all’art. 640 ter c.p.
Concludendo, come sopra accennato, il reato di frode informatica ha la stessa struttura e quindi gli stessi elementi caratterizzanti della truffa ordinaria, ma se ne differenzia dato che la condotta truffaldina dell’autore del reato colpisce non la persona (soggetto passivo), di cui manca l’induzione in errore, ma invece il sistema informatico di pertinenza della vittima, con la manipolazione illegittima di esso. Pertanto la frode informatica – come la frode-base – è consumata nel momento in cui il responsabile ottiene l’ingiusto profitto con collegato danno patrimoniale della vittima. Queste infatti le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Cassazione in numerose sentenze.
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