Questa settimana, sull’onda delle proteste negli USA, è stata chiesta la rimozione del monumento a Indro Montanelli a Milano. È l’ennesima volta che la statua finisce nelle cronache; era stata vandalizzata di recente dal movimento Non una di meno che l’aveva coperto di vernice rosa, ma era partita male fin dall’inizio, quando Oliviero Toscani – appena inaugurata – disse che con quell’obrobrio l’avevano gambizzato due volte.
Il motivo è che Montanelli, durante la seconda guerra mondiale, comprò in Etiopia una ragazzina di 12 anni per farne la propria schiava sessuale. Il tutto ammesso da lui in televisione senza segno di rimorso: «Scusatemi» gongola «Ma in Africa è un’altra cosa». Il fatto è che la statua di Montanelli non lo ritrae con una bambina di 12 anni.
Lo ritrae mentre scrive.
Indro Montanelli è passato alla storia come giornalista e come storico, non come soldato o stupratore. È stato anche questo, ma non è il motivo per cui gli è stato eretto un monumento. Lo stesso dicasi per Cristoforo Colombo; è passato alla Storia per aver sfidato l’impossibile e prima di ogni altro essere vivente ha attraversato l’oceano per scoprire un nuovo continente. Fu un’impresa titanica, ed è per questo che gli è stata eretta una statua. Poi, una volta lì, ha compiuto delle atrocità. Prendiamo i più grandi uomini dell’Umanità, quelli che tra duemila anni saranno ancora sui libri: Giulio Cesare, Il Macedone, Garibaldi, Napoleone, ognuno di loro ha compiuto immensità e al contempo abomini.
Cosa scegliamo di vedere, in loro?
Distruggere monumenti non è una cosa impensabile*.
È quello che fa l’ISIS, dicono nel centrodestra, ed è anche quello che hanno fatto i musulmani con le nostre chiese, e noi con le loro moschee. Gli imperatori romani quando salivano al potere radevano al suolo le statue degli avversari e ci mettevano le loro. Un’alternativa più conservatrice è quella di rimuoverli e metterli in un museo; se vai a vandalizzarle lì sei una bestia e vai fermato.
Ma la domanda è se a noi come società interessa celebrare una persona o un’azione. È possibile separare le due cose? È giusto farlo?
Nell’arte si discute da anni se è giusto separare l’opera dall’artista. L’arte travalica la persona? Susan Sontag era convinta di sì e venne ostracizzata per questo. Perché se non riusciamo a scindere le due cose si può fare una statua che celebri un’azione. Ritrarre tre minuscole caravelle in mezzo al mare in tempesta nel caso di Cristoforo Colombo, per esempio.
Quello che è interessante è come le atrocità commesse da molte persone ritratte dai monumenti fossero note da secoli. Qui sì vediamo che la società è cambiata: oggi non sceglie più di celebrare le grandi azioni, ma di condannare quelle infami. Alla ricerca di eroi ed esempi preferisce quella di colpevoli ed errori. Churchill sostanzialmente vinse la seconda guerra mondiale, ma aveva idee del suo tempo: e questo, secondo la folla, gli nega il diritto di avere un monumento.
È interessante.
Mi affascina un mondo dove la folla elegge rappresentanti mediocri senza badare al loro curriculum, ma analizza con cura quello dei grandi e li condanna post mortem. Mi viene in mente quel genio di Paolo Villaggio che raccontava di impiegati che accettavano ogni abuso, ogni schiavismo, e ogni giorno prima di andare a lavorare baciavano la statua messa dal megadirettore generale in onore della madre. Poi il più sfigato di loro, l’abusato dagli abusati, consapevole della propria impotenza, si toglie lo sfizio di sfogarsi sull’unica cosa che non può difendersi: la statua.
*Da questo discorso sono esclusi i monumenti ai caduti di qualunque nazionalità, schieramento o conflitto. Non esiste argomento, scusa o attenuante alla loro vandalizzazione, rimozione o sfregio.