In una conferenza stampa tenutasi a Roma il 21 ottobre il Segretario del Partito Democratico Pierluigi Bersani ha presentato una proposta di legge intitolata Disposizioni per il governo della risorsa idrica e la gestione del servizio idrico integrato, che riassume la posizione del PD sul tema dell’acqua e costituisce una risposta sia alla proposta del centrodestra di privatizzazione forzata della gestione dell’acqua (Decreto Legge 135/2009, convertito in Legge 166/2009), sia alle istanze referendarie di ri-pubblicizzazione di tali risorse (Quesito 1 – Quesito 2 – Quesito 3) proposte dalle società civile.
[ad]L’evento ha riportato in auge le vecchie ruggini tra il Partito Democratico ed il comitato referendario: per Bersani un referendum è una pars destruens senza pars construens, serve a rimuovere una legge senza metterne un’altra al suo posto; inoltre, il rischio di non raggiungimento del quorum, così come è accaduto per le ultime consultazioni, avrebbe nell’agone politico un effetto boomerang rispetto alle ragioni del comitato promotore.
Quest’ultimo, in un articolo sul proprio spazio web, replica ricordando a Bersani la proposta di legge di iniziativa popolare sulla gestione dell’acqua, lo strumento complementare al referendum per blindare la gestione pubblica dell’acqua.
In realtà tale proposta (Atto 2 alla Camera dei Deputati) giace dimenticata in Commissione Ambiente dal 22 gennario 2009, e non ci sono molte possibilità che la maggioranza parlamentare, malgrado gli appelli del comitato al PD, la calendarizzi nel prossimo futuro.
La proposta di legge del Partito Democratico ha tuttavia maggiori speranze nel corso del suo iter parlamentare?
Dal punto di vista dei contenuti, essa si pone a metà strada tra la riforma operata dal centrodestra e la proposta di legge di iniziativa popolare presentata da AcquaBeneComune, quindi ipoteticamente potrebbe raccogliere il consenso dei delusi del centrodestra.
Indipendentemente dalla fortuna di questo ddl, tuttavia, è importante sottolineare il fatto che il Partito Democratico si è messo in gioco con una proposta articolata che ne rappresenta il pensiero e le opinioni, permettendo di comprendere la reale posizione del partito sul tema.
Il ddl del Partito Democratico sarà sottoposto nell’immediato futuro al giudizio e alle proposte degli iscritti al partito, degli amministratori locali, delle associazioni ambientaliste e di quelle dei consumatori: la versione presentata costituisce l’idea del Partito e come tale deve essere analizzata, ma è bene ricordare, anche per dare un giudizio di metodo sull’operato del PD, che prima della presentazione in Parlamento è probabile che il testo sia modificato in qualche dettaglio per recepire le istanze della società civile.
Il tentativo di fondo della proposta del Partito Democratico consiste nel coniugare l’idea dell’acqua come bene comune dell’umanità (Art. 2, comma 1) e del servizio idrico come servizio di interesse economico generale (Art. 7, comma 1).
Il modo in cui il Partito Democratico tenta di superare la dicotomia senza cadere nel cerchiobottismo opera sostanzialmente in due direzioni. In primo luogo l’istituzione delle Aato (Assemblea di ambito territoriale ottimale), delle vere e proprie assemblee a livello comunale, provinciale o regionale relative a territori che scelgono di gestire la risorsa idrica nella medesima maniera. Ogni Aato sarà formata dai sindaci dei comuni coinvolti, ed avrà il potere di fissare la tariffa massima prevista per i cittadini, gestire la concessione del servizio in termini di assegnazione, rinnovo e revoca, disporre degli investimenti infrastrutturali e inviare le richieste di perequazione a livello nazionale all’Autorità apposita. Proprio tale Autorità, definita Autorità Nazionale di Regolazione del Servizio Idrico, costituisce la seconda gamba della proposta di legge: essa dovrà valutare il raggiungimento degli obiettivi minimi fissati a livello nazionale, gestire i processi valutativi dei gestori del servizio, stabilire a livello nazionale la necessità e l’urgenza degli interventi sulla rete territoriale e valutare la gestione delle Aato in termini di trasparenza e coinvolgimento della cittadinanza.
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[ad]Le concessioni autorizzate dalle Aato potranno cadere in mano a enti pubblici, privati o misti, e in questo passaggio ha quindi ragione il comitato referendario ad affermare che la proposta di legge del Partito Democratico non costituisce un impedimento alla privatizzazione.
Una percentuale delle tariffe, inoltre, verrà destinata ad un fondo di perequazione, gestito dall’Autorità, utilizzato per gli interventi necessari sulla rete idrica allo scopo di garantire ovunque il raggiungimento degli standard minimi di servizio. Vi sono poi infine alcuni provvedimenti di corollario, come l’introduzione di tariffe agevolate per i redditi più bassi e per le famiglie numerose.
Il PD non chiude quindi alla gestione privata, come il comitato referendario, né la impone, come la legge approvata dal centrodestra. La scelta della società di gestione spetta alla Aato, secondo gli obiettivi da essa stessa prefissati e con le metodologie di trasparenza previste dalla legge (Art. 9).
Ideologicamente la proposta democratica si pone quindi lontana dalla proposta di iniziativa popolare depositata alla Camera: la gestione del servizio idrico può essere utilizzata come fonte di profitto, può essere demandata all’iniziativa privata ed, essendo un servizio, è soggetta ad una tariffa che va al di là della semplice copertura dei costi.
Sulla carta il ddl del PD risulta essere, tra i tre, quello meno ideologico e più liberale: sono le comunità locali, ciascuna con le proprie esigenze, a scegliere la forma di distribuzione dell’acqua più efficiente; sono le comunità locali a scegliere la tariffa massima che un cittadino può pagare per tale servizio, e il profitto di un’azienda, non potendo agire liberamente sul costo all’utente finale, deve passare necessariamente dall’efficienza; è un’Autorità nazionale, infine, a valutare la qualità del servizio sia dei gestori sia delle Aato e a definire gli standard minimi che devono essere garantiti ai cittadini.
Proprio tale delega alle comunità locali, tuttavia, rende il ddl più debole rispetto alla proposta di legge del comitato referendario: da un lato abbiamo infatti una legge che fissa parametri precisi, dall’altra una legge che stabilisce che tali parametri devono essere decisi da un’assemblea.
L’Autorità saprà agire in maniera imparziale, essendo composta in parte da persone indicate dal mondo politico nazionale ed in parte da rappresentanti delle amministrazioni locali, senza presenze da parte della società civile? Non si rischia di mettere nel ruolo di controllori persone che hanno interessi nel campo della gestione dell’acqua, solo perché hanno gli agganci giusti?
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[ad]Nella proposta di legge del PD ci sono alcuni passaggi che mostrano come il problema sia stato preso in esame: per quanto riguarda l’Autorità non sono possibili le riconferme, e i suoi componenti non possono esercitare, direttamente o indirettamente, alcuna attività professionale o di consulenza, essere amministratori o dipendenti di soggetti pubblici o privati né ricoprire altri uffici pubblici di qualsiasi natura, ivi compresi gli incarichi elettivi o di rappresentanza nei partiti politici né avere interessi diretti o indiretti nelle imprese operanti nel settore di competenza della medesima Autorità; inoltre per almeno tre anni dalla cessazione dell’incarico i componenti dell’Autorità non possono intrattenere, direttamente o indirettamente, rapporti di collaborazione, di consulenza o di impiego con le imprese operanti nel settore di competenza.
Resta invece aperto il problema delle comunità locali. I sindaci sceglieranno la tariffa migliore per i cittadini, oppure quella più comoda per l’azienda dell’amico, o per l’azienda portatrice di voti? Sceglieranno l’azienda che fa l’offerta migliore per i cittadini, o quella che fa l’offerta migliore per loro? Il PD rimanda alle generiche regole in voga per i contratti tra privato e pubblico, senza istituire specifiche discriminanti di ammissione delle società alle gare d’appalto, e sostanzialmente affidando la buona amministrazione dell’acqua all’onestà delle Aato e agli strumenti di trasparenza offerti dalla legge: dovendo essere resi pubblici i criteri di scelta negli appalti, e potendo la cittadinanza presentare esposti direttamente all’Autorità si creerebbe, negli auspici del PD, un sistema di autoregolamentazione in grado di assicurare un comportamento virtuoso. In realtà, poiché questa formula non si discosta molto dagli strumenti attuali, l’assenza di regole specifiche è una grave carenza della proposta di legge, una carenza che in realtà alcuni critici vedono come un favore alle cosiddette “municipalizzate rosse”.
Il ddl scivola quindi su alcuni dettagli di primaria importanza: oltre all’assenza di limitazioni precise all’accesso alle gare di assegnazione delle concessioni di cui sopra mancano infatti accorgimenti specifici che spronino all’efficienza: ad esempio, perché non far pagare alle concessionarie l’acqua estratta dalla fonte, invece di quella consegnata ai cittadini? In questo modo le perdite delle strutture sarebbero a carico del concessionario, che avrebbe tutto l’interesse ad una rete idrica efficiente… Puntare solo sul tetto tariffario massimo fissato dalla Aato è un azzardo sul portafoglio dei consumatori. È da augurarsi che, come spesso accade al Partito Democratico, le decisioni della società civile possano limare gli aspetti peggiori della proposta politica di questa formazione.
Il ddl presentato dal PD ha tuttavia l’ambizione di ridisegnare in maniera profonda la gestione delle risorse idriche sul suolo italiano; ha l’ambizione di superare le ideologie pubblico/privato per sostituire ad esse un metro basato unicamente sull’efficienza; ha l’ambizione di realizzare un federalismo idrico, in cui lo Stato fissa i parametri minimi di servizio e agisce come strumento di perequazione in favore delle realtà più disagiate, e consente a chi ha strumenti e possibilità di fare meglio.
Seppure in sordina, seppure con non trascurabili note stonate, il Partito Democratico tenta quindi di essere quello che Bersani ha ribadito più volte nei suoi interventi: un partito che, seppure all’opposizione, non approfitta di tale ruolo con proposte utopistiche e demagogiche, ma tenta di disegnare il Paese attraverso interventi mirati e realizzabili.
Matteo Patané
(Blog dell’autore: Città Democratica)