Cinesi, impostori, magia nera e la Londra di fine 1800

La storia di due illusionisti, di un impostore, di una pistola che non spara e di un epilogo misterioso.

Cinesi, impostori, magia nera e la Londra di fine 1800

Nel 1918 il teatro Wood Green Empire così pieno che molti spettatori devono stare in piedi. Una donna cinese sale sul palcoscenico, mostra alla platea una pistola dentro cui uno spettatore ha caricato un proiettile, poi la punta al petto di suo marito Chung Ling Soo, uno dei più grandi e famosi illusionisti del mondo. Il suono del cane che viene armato risuona nel silenzio absidale. Chung Ling Soo ha 56 anni ed è imperscrutabile.

C’è un altro uomo sul palco, ma non lo vede nessuno.

William E. Robinson nasce a New York nel 1861 da una famiglia di imbonitori e attorucoli, il cui padre campa facendo il mandolinista con la blackface – all’epoca un successone – mentre sua madre fa il vaudeville, una specie di prequel dei musical; William s’appassiona al mondo dello spettacolo fatto di sipari, misteri, amori, liquori e bugie. Sceglie la strada dell’illusionismo in un’epoca in cui religione, poca informazione e tanta letteratura rendono la vita dopo la morte una certezza. Le persone credono o vogliono credere al sovrannaturale, al fatto che lontano dalle prime automobili, i lampioni elettrici e i giornali stampati esistano luoghi esotici ed esoterici.

A 14 anni William è già in grado di compiere trucchi da professionisti e si guadagna da vivere nei teatrini Vaudeville, ma ha un problema: la personalità. In un mondo che sogna paesi lontani a William manca il phisique du role, e il titolo “Robinson, l’uomo del mistero” non riscuote grandi aspettative, quindi nemmeno risultati. Va a vedere lo spettacolo di un illusionista tedesco, Max Auzinger, che lavora nei teatri di tutta Europa sotto il nome di Ben Ali Bey, uomo dalle misteriose origini mediorientali, maestro di occultismo e magia nera. William ne rimane estasiato.
Gli rubandogli nome, aspetto, modi di fare e trucchi.

Nei suoi vent’anni apre gli spettacoli di Harry Kellar e Alexander Herrmann.

Ascoltando i discorsi del pubblico nei fumoir e nelle hall nota che il pubblico reputa i mistici egiziani meno suggestivi dei fachiri indiani, così cambia personaggio e diventa Nana Sahib, negromante indiano. Studiando con Herrmann, impara che il maestro non apprezza né indiani né egiziani, ma ha una venerazione per gli evocatori di Costantinopoli. Allora William diventa Abdul Khan, ma è ancora inutile. I trucchi sono già visti, i personaggi anche: solo i teatrini di burlesque accettano di fargli fare uno spettacolo da solo e incassano pochi soldi.

Quando nel 1898 conosce Ching Ling Foo, cambia tutto.

Chung Ling Foo

Il suo vero nome era Zhu Lian Khui, e prima di mettersi a viaggiare per l’Europa era stato l’illusionista personale dell’imperatrice della Cina. Si incontrano perché William sta facendo praticantato da Alexander Herrmann e il suo maestro voleva assolutamente incontrare questo illusionista cinese. Quando arriva, Herrmann per impressionarlo gli mostra il trucco degli anelli cinesi, ma quello se ne va tutt’altro che impressionato: è roba che lui faceva molti anni prima. Nei giorni seguenti i giornali raccontano come il cinese sia in grado di fare il trucco degli anelli in maniera molto più elaborata, facendo materializzare oggetti in aria e sputando fuoco.

William ne resta allibito.
È un alieno, molto più avanzato di chiunque abbia visto.

Ching Ling Foo si trasferisce negli USA e sfida l’intera comunità di maghi americani; scommette 1000 dollari (circa 31,000 di oggi) che saprà far apparire una boccia di vetro piena d’acqua dal nulla e che nessuno saprà replicare quel trucco. William lo insegue e va a tutti i suoi spettacoli, finché capisce il meccanismo e impara a replicarlo. Ne dà dimostrazione e ovviamente Ching si guarda bene dall’onorare la scommessa. William si rende conto di essere diventato bravo come l’originale: ora manca solo il successo. Nel 1900 viene a sapere che in Francia cercano un illusionista cinese. Lui ci si presenta con la sua assistente (e amante) Olive Path, ribattezzando lei Sue Seen e sé stesso Chang Ling Soo.

Arrivano a Parigi e si travestono da cinesi, per poi fare uno spettacolo che passa alla Storia. In Francia William fa fortuna, diventando talmente bravo da essere chiamato a Londra, all’epoca fulcro del misticismo mondiale.

Va avanti per anni senza che nessuno della comunità dei maghi sbugiardi la sua vera identità. Solo nel 1902, in una rivista del settore, risulta evidente che William e Ching siano la stessa persona. Ma viene preso per una di quelle voci malevole scritte da illusionisti invidiosi. Fino al 1904 William gira l’Europa diventando ricco, finché per una coincidenza si trova a Londra contemporaneamente al vero Ching.

Il pubblico va in confusione: i nomi sono quasi identici, lo spettacolo è lo stesso giorno, i due teatri sono a 30 metri l’uno dall’altro e per complicare le cose ci si mettono altri due illusionisti da strapazzo, ma anche loro cinesi: Pee-Pa-Poo e Goldin Poo.

Il primo spettacolo è un flop per tutti e quattro.

Il vero Ching Ling Foo se la prende e un giornalista del Weekly Dispatch ne raccoglie il commento. I giornalisti erano come quelli di oggi, e montano su una chiassata incitando i due a sfidarsi a un duello di magia. Ching Ling Foo raccoglie l’esca e scrive ai giornali la sfida: William – o meglio, Chang Ling Soo – dovrà prima dimostrare a una delegazione cinese le sue origini, poi replicare 10 dei suoi trucchi magici.

William non è stupido: conosce la folla e sa che la burocrazia l’annoia quanto l’emozionano i duelli, quindi decide di ignorare la seconda parte e invita direttamente Foo a teatro. Dato che non ha rispettato la prima parte della sfida il cinese non si presenta, e William ne approfitta per autoproclamarsi vincitore.

Ai giornali di ieri come di oggi interessano più i titoli della verità, e l’occasione di fare un gioco di parole sul fatto che un mago ne ha fatto sparire un altro è troppo ghiotta. Ching Ling Foo viene dichiarato perdente e la sua carriera va a rotoli. I suoi show vengono cancellati e quelli confermati sono un flop, e di lui si perdono le tracce. Nei seguenti 14 anni William fa il pienone in tutti i teatri del mondo, diventando ricco ed entrando nell’immaginario collettivo.

Il problema del mondo dell’illusionismo è simile a quello della pesistica: non appena qualcuno arriva a un limite, quello dopo lo deve superare. I trucchi di prestidigitazione non bastano. Il pubblico vuole avere paura. Quando nel 1915 in Cina c’è la rivolta dei Boxer, William s’inventa un trucco chiamato “Condannato a morte dai Boxer”.

Si chiede a uno tra il pubblico di segnare un proiettile, lo si inserisce nel tamburo di un revolver e poi si spara al mago a distanza ravvicinata. In teoria lui lo afferra al volo: a volte con le mani, altre coi denti, altre con un fazzoletto, per poi mostrarlo al pubblico. Oggi ci sono molti modi di fare quel numero – ormai in modo assai più elaborato – ma all’epoca i metodi erano due: mentre l’assistente raggiungeva il palco prendeva il proiettile e lo passava al mago, poi o sparava volutamente di lato, oppure aveva una pistola truccata che non sparava il colpo in canna, bensì quello in una camera secondaria caricato a salve. Data la precisione delle armi d’epoca, William aveva scelto il secondo.

Sul palco, Sue Seen preme il grilletto del revolver e la folla sussulta. Chang Ling Soo si porta la mano al petto e urla in perfetto inglese: «Calate il sipario, m’ha sparato!».

Cinque minuti dopo muore nel backstage con un polmone perforato.

Sulla sua morte si sono fatte molte speculazioni, e la realtà, come al solito, è banale: le armi hanno bisogno di pulizia e manodopera costante, anche quelle finte. Dei residui di polvere da sparo incepparono il meccanismo e la pistola sparò sul serio, uccidendo il personaggio Ching Ling Soo e l’impostore William E. Robinson nello stesso tempo.

Ching, intanto, era tornato in Cina e nessuno può dire se abbia mai saputo della morte del suo rivale. Erano anni difficili; la rivoluzione russa e milioni di persone di ogni nazionalità transitavano o scappavano attraverso la Manciuria, Shangai, Pechino e una strana e travagliata città di nome Tien Tsin. Ma questa, come si dice, è un’altra storia.

O forse no.

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