Un nuovo farmaco potrebbe dare una mano nella cura del Covid. Non si tratta di un composto pensato appositamente contro l’infezione da nuovo coronavirus ma bensì del Raloxifene già usato con successo nelle terapie per l’osteoporosi.
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Raloxifene: individuato dal supercomputer Marconi
Il Raloxifene potrebbe essere una nuova arma nella cura del Covid secondo un algoritmo messo a punto per individuare le molecole potenzialmente utili contro l’infezione da nuovo coronavirus Sars Cov 2. Il farmaco, infatti, è stato individuato, grazie al supercomputer Marconi, nel corso delle ricerche condotte dal consorzio farmaceutico pubblico-privato Exscalate4Cov – sostenuto dal programma per la ricerca Horizon 2020 dell’Ue – guidato dalla Dompé farmaceutici ma che vede tra i suoi 18 partner diverse aziende e istituti ospedalieri come lo Spallanzani.
In breve, il supercomputer (creato dal Cineca, consorzio interuniversitario italiano senza scopo di lucro) sta passando in rassegna 500 miliardi di molecole – ne riesce ad elaborare 3 milioni al secondo – alla ricerca di quelle che potrebbero essere utili contro il Covid. Attualmente, grazie al calcolatore è stata verificata la potenziale efficacia di 7mila molecole: circa 140 di queste hanno mostrato dei risultati contro il Sars Cov 2 in vitro o nelle cellule animali. La precedenza, però, è stata data a quelle già commercializzate, cioè quelle che garantiscono maggiore sicurezza e tollerabilità in fase clinica: quella del Raloxifene sembra la più promettente.
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Una nuova arma contro il Covid?
Il Raloxifene, in pratica, sembra essere efficace nel bloccare la replicazione del virus nelle cellule, quindi, potrebbe essere in grado di rallentare il progresso del Covid, in particolare, nei casi di diagnosi precoce o di soggetti asintomatici. Tra l’altro, uno dei vantaggi del farmaco è che le sue caratteristiche di tollerabilità sono ben conosciute dalla comunità scientifica visto che è già in uso nelle terapie per l’osteoporosi. Detto ciò, visto che il numero delle nuove infezioni è nettamente diminuito, in Italia ancora non c’è stato tempo di sperimentarlo contro l’infezione da nuovo coronavirus. D’altra parte, i primi studi provenienti dalla Corea del Sud ne confermerebbero l’efficacia nei casi meno severi.
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