Quando nel 96 d.C. Domiziano (il re delle mosche) viene assassinato, perlopiù tutta Roma tira un sospiro di sollievo. Lo detestavano tutti: familiari, senatori, servitori di palazzo e romani. Gli unici ad adorarlo erano i pretoriani comandati dal prefetto Casperio, che venivano coperti d’oro per proteggerlo. Era stato possibile assassinarlo solo perché la gente sgomitava per far parte della congiura.
Ucciso Domiziano il potere passò nelle mani di un vecchio senatore, accanito tradizionalista e dotato di buon cuore: Marco Cocceio Nerva. Fin da subito l’anziano si dimostra capace e appassionato nel compito di riportare Roma agli antichi splendori. Rimette in sesto le casse dello Stato, blocca la piaga della delazione, ferma le persecuzioni sui cristiani e si prodiga nell’aiutare i poveri e i bisognosi.
Lo amano tutti, tranne i pretoriani di Casperio.
Del resto è logico: con Domiziano era l’unico alleato e amico, che poteva godere di somme sconsiderate e di un potere notevole in continua espansione. Nerva invece è talmente benvoluto che la sua protezione non richiede particolari attenzioni. Casperio quindi sfrutta la ricerca del colpevole dell’omicidio di Domiziano per prendere pian piano il controllo di Roma, ignorando avvertimenti e poi ordini dell’imperatore.
Un giorno irrompe a palazzo e sequestra due collaboratori di Nerva, accusandoli di essere coinvolti nella congiura di Domiziano. Non è vero; sono solo gli uomini più fidati e capaci che ha. Li fa torturare e uccidere mentre Nerva, vecchio e acciaccato, non ha le forze per opporsi né amici nelle forze armate.
È un gesto che mostra ai cittadini quanto sia un fantoccio e non un imperatore.
Nerva però ha ancora una carta da giocarsi. Sente la morte sul collo e non si può fidare dei militari della città, così pur avendo degli eredi scrive a un suo vecchio generale che da anni è lontano da Roma a guardia dei confini: Marco Ulpio Traiano. Nella lettera arriva a citare l’Iliade dicendogli “i Danai paghino le mie lacrime con i tuoi dardi”, poi lo nomina erede ufficiale dell’impero.
Il generale torna a Roma con Nerva già morto, ed è incazzato quanto intelligente: tace. Aspetta l’incoronazione mentre i cittadini e Casperio non sanno ancora cosa aspettarsi da lui. Anzi, ci sono dei segnali positivi. Traiano convoca a palazzo Casperio con i suoi uomini più fidati per ringraziarlo per i servigi resi a Roma, ma non usciranno mai.
Appena arrivati li fa assassinare.
Non perché rappresentino una minaccia, avrebbero potuto diventare ottimi alleati. Nemmeno perché avesse qualcosa contro di loro, nemmeno li conosceva. Poteva lasciar correre il desiderio di un uomo morente che gli aveva regalato un impero, dopotutto nessuno l’avrebbe saputo – e assassinare il capo dei Pretoriani, di contro, fa rumore. Ma ha scelto di portare a termine la vendetta di qualcuno per solo senso dell’onore. È questo che mi affascina, nelle teorie del complotto: non c’è mai l’elemento umano, sono tutti d’accordo, fanno tutti quello che devono, non hanno una personalità o degli ideali personali.
Nella Storia, invece, sono quelli che fanno muovere il mondo.