Sul decreto milleproroghe potrebbero incombere dubbi di legittimità costituzionale.
Il Consiglio dei Ministri, nella riunione del 22 dicembre scorso, ha approvato il decreto legge c.d. milleproroghe per l’anno 2011 (d.l. 29 dicembre2010, n. 225); la denominazione non è certamente casuale ma si rifà al contenuto “tipico” di questo provvedimento, ovvero la proroga di disposizioni legislative, le più disparate, la cui efficacia altrimenti “scadrebbe” alla fine dell’anno corrente, nel caso di specie il 31 dicembre 2010.
[ad]Come da alcuni anni a questa parte, ormai il c.d. milleproroghe segue a distanza di breve tempo le leggi di stabilità (ex finanziaria) e di bilancio; in un certo senso, è quindi definibile “una piccola finanziaria bis”. L’aggettivo “piccola” può apparire fuorviante, ma serve a rendere l’idea per cui, sebbene il provvedimento in questione investa non poco la materia economica, costituisce pur sempre un tentativo di prolungare disposizioni di diverso tipo già in essere e, spesso, contenute proprio in precedenti leggi finanziarie.
Dunque, anche quest’anno il Parlamento si appresta a convertire in legge, entro il termine ultimo del 27 febbraio 2011, il decreto legge milleproroghe che, emanato dal Governo alla fine di dicembre, già contiene nel testo delle norme in materia di: sicurezza sul lavoro, trasporto pubblico locale, tasse automobilistiche e Irap, energia, acqua, rifiuti in Campania, quote latte, turn over nel pubblico impiego, televisione, immigrazione, Abruzzo e molto altro ancora. Dato il carattere estremamente diversificato delle disposizioni legislative che sono così introdotte, non pare inappropriato definire il decreto in esame quale decreto omnibus: in sostanza, non si tratta di una legge disciplinante una certa materia del diritto volta a riformare, quanto piuttosto di un atto avente forze di legge adottato dal governo in via d’urgenza (pertanto seguendo un procedimento abbreviato) e vertente su oggetti tra loro eterogenei, teoricamente tutti bisognosi di un intervento legislativo al fine di prorogarne la vigenza e l’efficacia. L’eterogeneità delle norme del decreto milleproroghe, evidente chiaramente già dal titolo (“Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie”) costituisce elemento che contrasta nettamente con i presupposti di necessità ed urgenza sanciti all’articolo 77 della Costituzione[1] per la decretazione d’urgenza e all’articolo 15, comma primo, della legge 23 agosto 1988, n. 400[2].
(per continuare la lettura cliccare su “2”)
[ad]Così, nonostante l’iter di conversione del decreto in oggetto sia solo agli inizi, già alcune riflessioni costituzionali possono svolgersi. In particolare, l’articolo 1, concernente le c.d. proroghe di termini e “regimi giuridici” non onerose, fissa al 31 marzo 2011 il termine di scadenza di quelle disposizioni che perderebbero la loro efficacia in data anteriore al 15 marzo 2011. Inoltre, al comma 2, la stessa norma prevede che “con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, può essere disposta l’ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2011 del termine del 31 marzo 2011 di cui al comma 1 […]”. A riguardo, oltre a riflessioni sull’ancor più fondato dubbio di sussistenza dei requisiti di necessità ed urgenza di cui all’articolo 77 della Costituzione, laddove si tratta di una sorta di proroga in procedendo, si rileva l’inidoneità dell’articolo 17, comma 3[3] a conferire un potere sostanzialmente delegificante, laddove sottrae al Parlamento la possibilità di prorogare le norme in scadenza dopo il 31 marzo 2011, attribuendo tale facoltà al Governo tramite l’utilizzo di regolamenti da adottare con “decreto ministeriale” sulle materie di competenza del ministro. Poiché fonte normativa gerarchicamente subordinata alla legge, i regolamenti governativi devono seguire un regime garantistico, dettato dallo stesso articolo 17 della legge n. 400 del 1988, che al comma 2[4] impone l’adozione di Decreti del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia. Dunque, l’articolo 1, comma 2 del decreto milleproroghe deroga al regime generale di delegificazione dettato dalla stessa legge n. 400 del 1998, cui pure si richiama, configurando una probabile violazione costituzionale.
[1] Art. 77 Cost.: “Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti”.
[2] Art. 15, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400: “I provvedimenti provvisori con forza di legge ordinaria adottati ai sensi dell’articolo 77 della Costituzione sono presentati per l’emanazione al Presidente della Repubblica con la denominazione di “decreto-legge” e con l’indicazione, nel preambolo, delle circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l’adozione, nonché dell’avvenuta deliberazione del Consiglio dei ministri”.
[3] Art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400: “Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del Ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità’ di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione”.
[4] Art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400: “Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari”.