La Fiat, Torino, le automobili

Pubblicato il 21 Gennaio 2011 alle 14:38 Autore: Matteo Patané

Marchionne non ha nemmeno avuto bisogno di impegnarsi, di promettere qualcosa più dell’indispensabile mantenimento in esercizio dello stabilimento, perché gli operai di Mirafiori non avevano reali alternative.
Ma chi in Italia aveva il potere, il diritto ed il dovere di schierarsi dalla parte del lavoro e dei lavoratori? Chi poteva offrire un’alternativa al piano di Marchionne? Ovviamente la politica, locale e soprattutto nazionale.

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Così recita l’articolo 4 della Costituzione.
Eppure la politica italiana in questo frangente si è letteralmente dissolta, adagiandosi su impotenti (dal Partito Democratico) o interessate (Popolo della Libertà) esortazioni a cercare di salvare il lavoro votando SI e sterili comizi (Sinistra Ecologia Libertà) ai cancelli della fabbrica sul furto dei diritti.

“Torino produrrà auto, con o senza la FIAT.”
[ad]Questo avrebbe dovuto essere lo slogan di risposta al diktat dei vertici FIAT, il grido di una città che non vuole rinunciare a collegare lavoro e diritti, l’esortazione di un Paese che intende combattere affinché i dettami della Carta diventino realtà.
Come ottenere questo risultato?
In primo luogo polarizzando le masse. Il rapporto tra la FIAT e gli Italiani è un rapporto tra produttore e consumatore. Spesso i consumatori agiscono in maniera indipendente tra loro, e le aziende approfittano dell’assenza di reazioni coordinate da parte della massa; eppure la crescente sensibilizzazione, ad esempio, per la sostenibilità ambientale o contro il lavoro minorile dimostra che il popolo consumatore, se adeguatamente stimolato, è in grado di generare una selezione sul mercato premiando e punendo in maniera dirimente le aziende su parametri differenti da quelli strettamente legati al prodotto o servizio acquistato.
Una politica forte non si chiede se l’Italia può permettersi il modo in cui la sta trattando la FIAT. Si chiede se la FIAT può permettersi di scatenare una reazione dell’Italia. La semplice applicazione dell’articolo 4 della Costituzione avrebbe dovuto significare una mobilitazione politica totale, senza distinzioni, volta alla contemporanea difesa del diritto al lavoro e del diritto dei lavoratori marchiando a fuoco chi i diritti li usa a scopo ricattatorio.
Perché si dovrebbe comprare una macchina prodotta in un’azienda dove non sono riconosciuti certi diritti rispetto ad altre dove invece questi vengono garantiti? Certo, occorrerebbe una degna campagna di sensibilizzazione e di informazione, ma la politica nazionale è proprio nella posizione più indicata per prendere posizione.
Purtroppo per i lavoratori, il Governo ha scelto una posizione differente, ha scelto la linea di minor resistenza al potere economico della FIAT, giocando un’asta al ribasso, rinunciando a far sentire la propria voce proprio per permettere alla FIAT di portare a casa il massimo risultato con il minimo sforzo e inaugurare una pericolosa diffusione a macchia d’olio di deroghe e limitazioni a quanto i lavoratori avevano conquistato nelle generazioni precedenti. Il Governo ha scelto di non stare dalla parte di chi lavora e di chi paga più pesantemente l’attuale frangente di crisi internazionale.
Ma se una campagna di sensibilizzazione e boicottaggio avrebbe potuto far recedere la FIAT, o costringerla a offrire ai lavoratori maggiori garanzie, la politica avrebbe dovuto iniziare a preparasi all’eventualità di un abbandono di Mirafiori da parte della FIAT. Il mercato italiano, ad oggi, necessiterebbe di colmare l’eventuale vuoto lasciato dalla FIAT? Se sì, esistono prospettive per attitare investitori, anche stranieri? O in alternativa è possibile pensare ad un’industria pubblica sul modello di realtà virtuose e funzionanti dal punto di vista economico come Finmeccanica o Terna? In caso contrario, esiste lo spazio per una riconversione che possa massimizzare i livelli di occupazione e minimizzare i danni all’indotto? Forse sarebbe stata una ricerca vana, ma una strada che chi governa, amministrazioni locali – Comune, Provincia e Regione – in prima fila, avrebbe dovuto battere.
Purtroppo, anche in questo gli operai sono stati lasciati soli.

Ed è stato questo assordante silenzio della politica a far vincere, in ultima analisi, il SI al referendum.

Matteo Patané

(Blog dell’autore: Città Democratica)

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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