Federalismo fiscale: il pezzo mancante del meccanismo democratico
Di cosa si sta discutendo in questi giorni quando si parla di decreti sul federalismo?
Questa settimana (insieme alle prossime) dovrebbe servire a delineare una cornice indispensabile per la grande riforma del federalismo fiscale, mai realmente attuata nel decennio appena trascorso, ovvero nell’intervallo di tempo trascorso dalla riforma federalista del Titolo V della Costituzione (2001). Sebbene il Ministro Calderoli si dica convinto che questa settimana sarà decisiva per l’approvazione del decreto sul federalismo municipale, possibile secondo il Ministro sulla base di un testo in parte modificato e di comune accordo con il Governo, il Parlamento e l’Anci (Associazione nazionale Comuni italiani), appare evidente che il terzo polo e il Pd abbiano scelto la partita del federalismo quale pretesto per mettere in scacco la Lega, pressandola tra due alternative: Berlusconi o il federalismo. Potrebbe infatti essere questo il senso della richiesta di slittamento dei tempi della riforma che, sebbene al momento siano delimitati alla data del 4 febbraio, potrebbero protrarsi ulteriormente. Ad ogni modo, il testo del decreto legislativo riguardante il federalismo municipale è al vaglio della Commissione Bicamerale, nella quale pare che il Governo non possa più contare su una maggioranza, e si attende il suo parere: la trattativa è in pieno corso e vede protagonisti il centro sinistra, il terzo polo ed i sindaci.
[ad]Il nobile obiettivo che tutti si propongono è quello di far sì che le amministrazioni locali non dipendano più da scelte operate dal centro (o, come direbbe la Lega, da “Roma ladrona”): tra i 2008 e 2009, la fonte principale di finanziamento per questi livelli di governo è infatti consistita nei trasferimenti da parte dello Stato e, ora, si tenta di invertire questo meccanismo attraverso l’assegnazione ai Comuni di c.d. tributi propri. Il principio democratico che è alla base del federalismo fiscale, e ne costituisce l’idea ispiratrice, vorrebbe vedere il cittadino sovrano nella valutazione bilanciata tra l’ammontare delle tasse pagate ed il livello e la qualità del servizio offerto dall’amministrazione. Se infatti è vero che ormai dal 2001 l’ordinamento italiano vede un “tipo di Stato” federale quanto a livelli di governo direttamente eletti dal cittadino, affinché il metodo democratico sia realmente concretizzato nelle amministrazioni delle cose locali, allora si riscopre la valenza di quel motto americano sulla base del quale si conquistò l’indipendenza oltreoceano: “no taxation without representation”. Dunque, poiché complesso e alto è l’obiettivo, pare potersi apprezzare la scelta di dedicare maggiore tempo alla discussione relativa ad un decreto di così grande rilevanza, a maggior ragione se si considerano le obiezioni che negli ultimi giorni sono state sollevate dai Comuni rispetto alla prima bozza del decreto, che a detta loro rischiava di tagliare risorse al punto tale da costringerli a pesanti aumenti delle tasse locali.
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