Vi invito a immaginare una scena. Ci sono due persone sedute una di fronte all’altra. Una è disabile. L’altra è un’assistente sociale. Una delle due è garantita ricevere un assegno tutti i mesi. Questo assegno è computato tra le spese a favore dei disabili che non possono essere toccate. Non importa se questa persona possiede palazzi interi o è ricchissima di famiglia, il suo assegno è intoccabile. L’altra persona invece ogni anno deve fare richiesta per ricevere dei soldi, ogni anno deve dimostrare di averne i requisiti. Ogni anno questi requisiti si fanno più stringenti e questa persona sa che se continua così presto non riceverà più nulla. Il problema di questa scena è che la persona che non sa se continua ad essere sostenuta è la più debole. I servizi sociali garantiscono in eterno i dipendenti che se ne occupano, garantiscono sempre meno i disabili, coloro che figurano come i destinatari del servizio. Finora almeno uno dei supporti che lo Stato offre (l’assegno di accompagnamento, meno di 500 euro al mese) era immune da tagli. Non è detto sarà ancora così.
Infatti, aprendo Repubblica ho trovato una notizia che ha catturato subito la mia attenzione. Titolo “Welfare, giro di vite per i redditi più alti”, sottotitolo “Saranno riviste le modalità di calcolo dell’Indicatore della situazione economica (Isee). Si tratta di ridurre le prestazioni socio-assistenziali a chi è più ricco per aumentarle a chi ha di meno.”.
A leggerla così sembra un’ottima notizia. Ma, come si sa, sono i dettagli che contano, e leggendo i dettagli si scopre che “sotto i 15 mila euro di reddito Isee gli assegni di invalidità resteranno intatti, sopra ci saranno delle riduzioni proporzionali al reddito”. Visto che gli “assegli di invalidità” non esistono, l’articolo può riferirsi a due cose: la “pensione di invalidità”, ma quella già decade se si ha un reddito superiore ai 4500 euro, o l’”assegno di accompagnamento”.
Fissare una soglia di 15 mila euro per erogarlo significa colpire tutti i disabili che lavorano e non evadono le tasse. Significa ottenere l’effetto contrario a quello voluto: diminuire il reddito di chi vive al limite può portare la persona a non farcela più e a dover accettare l’idea di venir ricoverato (a quel punto a spese dello Stato, visto che non avrà più un reddito). Per risparmiare pochi soldi si rischia di spenderne 10-20 volte tanto. Un disabile che guadagna e paga più tasse di quanto sia la cifra dell’assegno di accompagnamento (quindi un cittadino che è in attivo, che per lo Stato è una risorsa economica) passa a diventare un costo (un disabile in casa di cura costa allo Stato 4000 euro al mese).
L’aspetto economico dovrebbe già essere sufficiente a chiudere il discorso.
Pensiamo però anche, per un attimo, all’aspetto umano. Si può vivere così? Ogni singola prestazione che i disabili ricevono è soggetta a rinnovo annuale. Uno non può programmarsi la vita oltre i 12 mesi. Non c’è mai una certezza che sia una. L’unica prestazione che è garantita è l’assegno di accompagnamento. Si può vivere senza avere nemmeno più quella certezza? Uno può vivere senza essere certo che avrà i soldi per pagare chi lo imbocca o chi lo accompagna in bagno? Davvero è necessario scatenare questa guerra tra poveri tra i disabili? Davvero per alleviare le sofferenze di chi sta malissimo è necessario eliminare ciò che allevia le sofferenze di chi sta soltanto male?
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