Il punto sulla crisi politica: è possibile uno scioglimento unilaterale delle Camere da parte di Napolitano?
Dopo diversi rinvii, alla fine all’aula di Montecitorio è approdata la mozione di sfiducia individuale contro il ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, presentata tre mesi fa da Pd ed Idv e a cui si è aggiunta solo una settimana fa anche quella del terzo polo (Fli, Udc e Api).
Ebbene, potrebbe allora dirsi concluso un periodo tormentato di questa legislatura e appena iniziata una nuova fase caratterizzata da una efficace azione di governo ed un produttivo svolgimento dell’attività parlamentare? In realtà, pare proprio di no. Anzitutto si tratta di superare l’importante snodo del voto sul federalismo fiscale, atteso per questo giovedì in Commissione bicamerale. In secondo luogo, e collegato al primo punto, c’è la Lega che da tempo chiama alle urne e che pare non essere più tanto inflessibile nel difendere gli interessi del presidente del Consiglio. C’è poi ancora il caso Ruby, che investendo fortemente e in maniera diretta lo stesso Berlusconi, con i suoi sviluppi infuoca il palcoscenico del teatro politico, portandolo sempre più spesso sui toni più variegati fuorché politically correct o semplicemente politico-istituzionali nel senso più alto del termine. In sostanza, il generale clima da guerra di tutti contro tutti genera una paradossale situazione d’emergenza e di crisi anche dopo “l’ennesimo atto di fiducia” fatto dal Parlamento a questo Governo ed al suo Presidente. Come correttamente notato dal professore Paolo Armaroli, “siamo in uno scontro istituzionale senza precedenti, con il premier contro il Presidente della Camera, il Presidente della Camera contro il premier e contro il Presidente del Senato e il Ministro degli Esteri. E il Parlamento che non è in condizione di legiferare”.
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[ad]In un tale contesto, non del tutto marginale poteva e doveva essere la posizione ed il ruolo del Presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano, il cui primo interesse è chiaramente l’interesse del sistema Paese, si è mostrato giorno dopo giorno sempre più preoccupato del fatto che lo scontro politico, oltre a paralizzare l’attività istituzionale – come nei fatti sta già accadendo – travolga le stesse istituzioni democratico-parlamentari e con ciò determini un vero e proprio collasso del sistema. Si ricordi che il Capo dello Stato si è già mosso: a metà novembre ha infatti convocato i presidenti di Camera e Senato per stilare un calendario che fissava la verifica della maggioranza dopo il voto sulla finanziaria, così da garantire “stabilità e governabilità” almeno fintantoché non fossero stati messi a riparo i conti pubblici da una possibile crisi di Governo.
Ora si ripropongono voci circa un possibile intervento del Presidente della Repubblica volto allo scioglimento anticipato delle Camere e, a tale riguardo, sono opportune alcune precisazioni. Attenendoci infatti al dettato costituzionale, rileva anzitutto l’art. 88, comma 1 Cost., in base al quale “Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse”. Un precedente in tal senso è quello che risale ai tempi di Tangentopoli, quando il Governo tecnico di Ciampi venne “dimissionato” dall’allora Presidente della Repubblica Scalfaro e lo scioglimento delle Camere portò dritto alle nuove elezioni: si noti che ciò avvenne a fronte di una esplicita rinuncia all’incarico da parte del Presidente del Consiglio Ciampi, il quale ritenne di aver portato a termine il suo compito (ovvero tirar fuori l’Italia da quel marasma politico che fu Tangentopoli) e soprattutto aver varato la nuova legge elettorale (la c.d. Mattarellum). Stante ciò, fondamentale è anche l’art. 89 Cost. secondo cui “Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità”. È dunque proprio dalla lettura del combinato disposto di queste norme costituzionali che si può forse dissipare ogni dubbio circa l’eventuale possibilità che il Presidente Napolitano decida di sciogliere anticipatamente le Camere. A leggere il dettato costituzionale, e per quanto è possibile desumere dalle prassi, sembra infatti che i costituenti abbiano inteso attribuire un potere di scioglimento al Governo solo in momenti di “ordinaria amministrazione”, volendo invece far rientrare tale competenza nelle prerogative del Capo dello Stato per quanto concerne quelle situazioni di crisi del sistema dove essenziale è lo svolgimento della funzione di garanzia dell’assetto democratico parlamentare tutto da parte del Presidente della Repubblica. In definitiva, non è regge l’idea di un decreto presidenziale di scioglimento anticipato delle Camere, a meno che lo stesso Berlusconi non sia pronto a controfirmarlo, e tale prospettiva appare piuttosto improbabile.