Uno dei refrain più comuni della proposta politica berlusconiana è la contrapposizione tra “vecchio” e “nuovo”, il vecchio dei politici di professione e dei loro giochi di palazzo ed il nuovo costituito dalla figura dell’imprenditore prestato alla politica, e come tale interessato solo al bene del Paese e all’interesse comune.
Se il confronto può andare bene nell’ottica, tanto cara a Berlusconi, della personalizzazione dello scontro politico, la sua applicazione in un’analisi comparata tra centrosinistra e centrodestra, o meglio ancora tra maggioranza ed opposizione, mostra invece risultati molto diversi.
Se si osserva infatti la composizione delle Camere, è possibie stabilire con estrema precisione l’anzianità politica dei parlamentari che le compongono, e stimare con efficacia la portata del rinnovamento della classe dirigente apportata da ciascuno schieramento nel corso degli anni. In questo primo articolo verrà preso in considerazione il Senato della Repubblica, con composizione e dati aggiornati al 11/02/2011.
Grazie ai dati reperibili su Open Parlamento è stato possibile individuare, per ciascun senatore, il numero di giorni in cui ha servito come parlamentare in una delle due Camere e la data di primo ingresso. I due valori non sono necessariamente correlati in quanto per molti senatori sono stati riscontrati dei buchi, in corrispondenza di tornate elettorali in cui non sono stati eletti o in cui non si sono presentati.
Esaminando la prima tabella, in cui sono riportati i dieci senatori con il maggior numero di giorni passati da parlamentare, si nota già da subito una netta prevalenza di membri del PdL: ben sette senatori sui dieci con più esperienza parlamentare appartengono infatti a questo schieramento, lasciando un elemento ciascuno a PD, FLI – un parlamentare comunque eletto nel 2008 nelle liste del PdL – e UDC-SVP. Il PdL è inoltre il solo partito a presentare senatori che hanno superato la soglia ideologica dei 10.000 giorni di permanenza in Parlamento, e lo fa con ben quattro elementi.
La situazione muta, anche se non in maniera radicale, se invece del numero di giorni di carica parlamentare si osserva la data di primo ingresso: in questo caso la presenza del PdL cala a cinque elementi, il PD sale a tre, mentre restano ad uno UDC-SVP e Misto – un parlamentare però eletto nel 2008 nelle fila del PD. Sono ben sei, equamentre distribuiti tra PD e PdL, i senatori entrati per la prima volta in Parlamento prima del 1980.
Entrando nel dettaglio dei gruppi parlamentari, la presenza media dei tempi di permanenza conferma pienamente come sia il PdL la formazione con il valore più alto, oltre i 3.500 giorni. Seguono UDC-SVP, FLI, Misto, PD, Lega e IDV.
Malgrado il PdL, grazie alla schiacciante vittoria elettorale del 2008, abbia potuto condurre in Parlamento un maggior numero di rappresentanti rispetto alla XV Legislatura, questo non si è tradotto in un vero ringiovanimento della sua classe politica: solo 39 senatori su un gruppo parlamentare di 134 elementi sono infatti entrati per la prima volta in parlamento nel 2008.
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Il fatto che FLI abbia valori medi e massimi inferiori a quelli del PdL è un ulteriore indice della difficoltà di rinnovamento che incontra il partito berlusconiano: ribaltando il refrain dei professionisti della politica, FLI è la dimostrazione dell’irrequietezza che scuote, nel centrodestra, proprio quelle persone con esperienza parlamentare minore.
Malgrado la sconfitta elettorale del centrosinistra nel 2008, la semplificazione del panorama politico si è tradotta per il PD in un incremento di seggi. Rispetto al PdL questo si è però tradotto in un vero innesto di nuove leve: ben 34 senatori su 110 sono stati eletti per la prima volta nel 2008, un numero non spiegabile con il solo incremento del numero di seggi, limitato alla decina.
[ad]L’Italia dei Valori e la Lega Nord hanno vissuto tra il 2006 ed il 2008 una fase di forte espansione. Dai grafici traspare per entrambi i partiti una classe dirigente mediamente molto giovane, ma, contrariamente al PD, non ha in questo caso senso parlare di rinnovamento. Se si osserva nel dettaglio la composizione dei gruppi parlamentari si vede come la forte prevalenza di senatori al primo mandato sia in realtà dovuta all’incremento di seggi a disposizione di queste formazioni: i vecchi non se ne sono andati, non hanno lasciato spazio; semplicemente le elevate percentuali ottenute dai due partiti hanno permesso che essi venissero affiancati da folte schiere di nuovi eletti.
Il gruppo UDC-SVP si presenta forse come il più anomalo: se per gli altri si vede infatti una struttura piramidale più o meno marcata, con un base ampia di senatori alla prima elezione e un assottigliarsi dei valori via via che si passa a parlamentari in carica da più tempo, in questo caso, complici le scarse dimensioni del gruppo, questo andamento a scalare non appare in maniera evidente, e la media dei tempi di permanenza in Parlamento viene di conseguenza sbalzata verso l’alto.
Il gruppo misto, naturalmente, non corrisponde ad un vero e proprio partito, ma consente di tracciare l’identikit di coloro che, successivamente alle elezioni politiche del 2008, si sono rivelati insoddisfatti di tutte le formazioni partitiche. La composizione di questo gruppo non vede in realtà una prevalenza di senatori alla prima elezione, lasciando trasparire l’impressione che l’uscita dalle rispettive formazioni di partenza fosse dettata più da calcolo politico che da motivazioni ideologiche.
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Esaminando lo spaccato per regioni, si notano alcuni casi particolari, in cui il tempo medio di permanenza in Parlamento supera i 3.000 giorni: Calabria, Emilia Romagna, Puglia, Sardegna (dove addirittura si superano i 4.000), Sicilia, Umbria e Veneto. In realtà solo in Calabria, dove la deviazione standard non raggiunge i 2.000 giorni, si può parlare di una classe dirigente veramente vecchia. Negli altri casi emerge invece una situazione diversa, in cui ad uno o più parlamentari storici si affiancano germogli di rinnovamento.
Particolarmente significativa a questo proposito è la tabella che per ciascuna regione ripropone lo spaccato dei gruppi parlamentari, ed è opportuno esaminare nel dettaglio in questo senso alcune delle regioni evidenziate poco sopra.
[ad]In Emilia Romagna spiccano i valori di Lega e IdV, che confermano la situazione di falso rinnovamento – in realtà espansione politica – vissuta da queste due formazioni. Colpisce poi il fatto che sia il PdL e non il PD ad avere il valore medio, minimo e massimo più alto: il PdL non ha portato in questa regione nessun nuovo eletto, e anzi continua ad affidarsi ad un sistema di potere di minoranza ormai senescente. Questo fattore è indice dell’incapacità della formazione berlusconiana di costruire una vera alternativa al centrosinistra in questa regione storicamente rossa. Dal canto suo il PD, con tempo medio che è circa la metà di quello del PdL, riesce a sfruttare in maniera accettabile la fidelizzazione dell’elettorato emiliano affiancando a figure storiche come Anna Finocchiaro una serie di new entry.
La differenza di comportamento tra PD e PdL emerge in maniera ancora più violenta se si esamina una regione tradizionalmente di destra come la Sicilia. Anche se qui è il PD a non essere riuscito a condurre in Senato alcun nuovo parlamentare, si vede come l’anzianità di servizio media dei senatori di questa formazione sia nettamente più bassa di quella che si legge alla riga del PdL, che pure può contare in questa regione su un numero quasi doppio di eletti. Anche dove domina dal punto di vista elettorale, quindi, il PdL non sembra in grado di fornire un adeguato rinnovamento della propria classe dirigente.
Esaminando invece la regione a maggiore trazione leghista, il Veneto, si vede in maniera eloquente l’efficienza del Carroccio. PD, PdL e Lega hanno potuto contare tutti su sette senatori eletti, ma tl’anzianità media di servizio passa dai 2.312,29 giorni della Lega ai 3.406,00 del PD ai 3.670,00 del PdL. Se per la Lega il basso valore può essere spiegato con la forte espansione elettorale (da tre a sette eletti), è evidente come sia il PD sia il PdL siano in forte difficoltà in questa regione, proponendo una classe dirigente con un’anzianità di servizio prossima (PD) o addirittura superiore (PdL) ai dieci anni.
Un’ultima tipologia di analisi riguarda infine il sesso. Se desta preoccupazione il fatto che le donne siano solo 58 su 315 – circa il 18,5% – ancora più preoocupazione deve destare il fatto che l’anzianità media di servizio delle senatrici sia solo cinquecento giorni più bassa di quella dei colleghi di sesso maschile.
Il dato che emerge è infatti che le ultime due tornate elettorali, 2006 e 2008, non siano state in grado di fornire un adeguato rinnovamento alla composizione femminile del Senato, che trova in figure ormai storiche come la Finocchiaro, la Bonino o la Poli Bortone ancora i suoi punti di riferimento.
Osservando lo spaccato per sesso legato ai singoli gruppi si vede come la questione delle quote rosa sia l’unica dove il PdL riesce, sia pure in modo forse controverso, a sopravanzare il PD: se è vero che il gruppo femminile del PdL è composto da soli 11 elementi su 134, a fronte dei 33 su 110 della compagine di Bersani, è anche vero che l’anzianità di servizio media per le senatrici berlusconiane sia di meno di 2.000 giorni, a fronte degli oltre 2.500 di quelle del PD. L’impressione che se ne ricava è che il PdL abbia fatto i conti molto più tardi con la questione femminile ma che, correndo ai ripari, abbia superato invece un Partito Democratico troppo adagiato sugli allori, che ha in qualche modo interrotto il trend positivo degli anni precedenti.
Nell’attesa di eseguire la medesima analisi per la Camera dei Deputati, i risultati offerti dal Senato smentiscono quindi seccamente la costruzione – ormai si può dire solo propagandistica – berlusconiana sullo scontro tra “vecchio” e “nuovo”: il PdL è il partito che colleziona i senatori da più tempo presenti in Parlamento, che ha il tempo medio di anzianità parlamentare più alto e che a livello regionale sembra meno di tutti capace di introdurre un rinnovamento; inoltre i dissidenti finiani paiono appartenere mediamente alla fascia più “giovane” degli eletti PdL, introducendo un nuovo ostacolo al futuro del partito berlusconiano, che solo a livello di presenza femminile in aula pare fornire risultati incoraggianti.
Matteo Patané
(Blog dell’autore: Città Democratica)