Gilgamesh, il suo migliore amico e l’Omero che non diventò famoso

Pubblicato il 2 Luglio 2020 alle 18:05 Autore: Nicolò Zuliani

Due tizi si detestano, poi diventano migliori amici e vanno in giro a uccidere bestie e dar fastidio agli dei.

Gilgamesh, il suo migliore amico e l’Omero che non diventò famoso

Circa 1200 anni prima della nascita di Cristo, dalle parti della Mesopotamia esisteva uno scriba chiamato Sinleqiunnini. Come Omero, non è chiaro se fosse davvero una persona reale oppure uno pseudonimo dietro cui si nascondevano tanti autori. Comunque, diede alla luce una sorta di Odissea chiamata L’Epopea di Gilgamesh.

Il Re Uruk Gilgamesh costringe i giovani maschi del suo regno a fare attività marziali o giochi. I parenti protestano con gli dei e loro creano Enkidu, una sorta di Mowgli. Un guerriero selvaggio e potentissimo che vive solo nella foresta e passa le giornate a difendere gli animali dai cacciatori. I cacciatori riferiscono a Gilgamesh del problema: finché c’è quel tizio, procurarsi cacciagione è difficile. Gilgamesh ha un’idea semplice ma efficace: manda nella foresta Samhat, una prostituta.

Enkidu la prende molto bene.

Dopo sei mesi non ha più alcun interesse a difendere gli animali dai cacciatori, anzi. Samhat lo convince a uscire dalla foresta e presentarsi al re. Gilgamesh appena lo vede lo sfida a duello per dimostrare la sua superiorità, ma fallisce. Dopo un’estenuante battaglia Enkidu lo sconfigge, pur riconoscendogli valore e onore.

Invece di uccidersi diventano grandi amici e insieme partono per il mondo a caccia di avventure, nelle quali uccidono creature mitologiche. Le dee vanno matte per questi due, tanto che Istar, la dea del sesso, scende sulla Terra e chiede a Gilgamesh di sposarla. Lui rifiuta perché sposare una dea porta sfortuna, e si sa che non esiste collera al mondo come quella di una donna respinta.

Istar torna in cielo e chiede al dio An di scatenare sulla terra un toro celeste, in grado di uccidere Gilgamesh ed Enkidu. An non ne avrebbe la minima voglia, ma Istar minaccia di spalancare i cancelli dell’inferno e rovesciare i morti tra i vivi. A quel punto An libera il toro che devasta la Terra finché Gilgamesh ed Enkidu non riescono a ucciderlo.

Lo scorno di Istar e degli dèi è altissimo, perché di Tori sacri ne giravano pochi. Per far soffrire Gilgamesh fanno ammalare Enkidu, che dopo giorni di agonia muore. L’amico veglia il corpo del compagno di lotta per sette giorni, poi parte per l’ultima, grande e importante ricerca.

Il segreto della vita eterna.

Girano voci, in Mesopotamia. Si dice da qualche parte viva Utanapistim, l’unico sopravvissuto al diluvio universale a cui gli dèi avevano concesso di non morire mai. Per arrivarci, Gilgamesh oltrepassa la montagna protetta da uomini scorpione, attraversa il Mare della morte e trova l’uomo che cerca, ma la risposta è meno allegra. Non si può ottenere il suo dono.

Nessun uomo può, ma esiste una pianta in grado di far tornare giovane chi la mangia. Gilgamesh la trova nel profondo degli abissi e dopo aver sconfitto altri mostri la porta in superficie: esausto, si ferma vicino a una pozza per purificarsi e prendere fiato. In quel momento, un serpente scatta fuori e mangia la pianta tanto ricercata. Sotto gli occhi del re, il serpente vecchio cambia pelle per uscirne giovane.

Non si può sfuggire alla morte.

Il finale è mediamente allegro: Gilgamesh ritrova Enkidu negli inferi e la tavola termina, lasciando libero il lettore di immaginarli ricominciare le loro avventure in un mondo assai più vasto, e più pericoloso.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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