Usa ultime notizie – Da settimane, il grido di protesta di Black Lives Matter che ha invaso le principali città d’America dopo l’assassinio di George Floyd si è concentrato su un obiettivo ben preciso: “Defund the police” (togliere fondi alla polizia). L’idea di fondo del movimento è che in America ci sia un problema di “razzismo sistemico” e il fatto che i neri abbiano una probabilità 2,5 volte più alta dei bianchi di finire uccisi dalla polizia, non fa che confermarlo. Il sindaco di New York Bill de Blasio ha appena annunciato un taglio da 1 miliardo di dollari da devolvere a servizi per i giovani ma all’interno del suo stesso partito democratico la misura è subito diventata terreno di scontro politico. Se da un lato la giovane stella nascente dei Democratici Alexandria Ocasio Cortez ha definito l’iniziativa un gioco di prestigio, il governatore Andrew Cuomo, convinto che i tagli non vadano fatti a monte ma solo a fronte di eventuali inadempienze, ha posto una serie di interrogativi: “Cosa significa esattamente “Defund the Police”? In che modo questa manovra aiuta Black Lives Matter? Vuol dire che saremo meno sicuri? Da dove sono stati presi i soldi? In che modo questa misura dovrebbe ridurre gli abusi della polizia?”. Domande che Cuomo ha indirizzato al Primo Cittadino di New York ma che andrebbero rivolte anche a Black Lives Matter visto che chiede di definanziare la polizia da settimane e ha portato lo slogan fino alla 16th strada a Washington DC dove campeggia a caratteri cubitali quasi sotto il naso di Trump.
Tagli alla polizia da New York a Seattle
Secondo il movimento di protesta, il problema degli abusi della polizia sui neri non si risolve di certo sbarazzandosi di “poche mele marce” come ha invece sottolineato Trump in più occasioni. Per Black Lives Matter poiché è l’intero sistema ad essere malato, il problema va affrontato alla radice dunque a partire dai fondi. Anche se non è molto chiaro come tutto questo vada poi tradotto concretamente, togliere fondi alla polizia è già diventato un imperativo categorico in molte città americane e l’elenco dei sindaci pronti a tagliare aumenta di giorno in giorno.
A Los Angeles, Eric Garcetti ha deciso di prelevare 150 milioni di dollari dal bilancio della polizia e devolverli alle comunità di afroamericani e ispanici. Tagli di 22 milioni anche a Baltimora, 15 a Portland, 14 a Philadelphia. Tagli del 10% a tutti i commissariati di Seattle mentre a Minneapolis, teatro della morte di George Floyd, si è andati persino oltre con il Consiglio comunale, a maggioranza democratica, che ha proposto di smantellare l’intero corpo di polizia locale.
“Defund the police” non convince i neri
Oltre che a far litigare i politici, l’idea di definanziare la polizia non sembra convincere nemmeno quella stessa comunità afro americana che Black Lives Matter dovrebbe in qualche modo rappresentare. Secondo i sondaggi realizzati da Yougov e Huffpost, solo il 33% degli afroamericani è favorevole all’idea nonché il 24% delle altre comunità di colore. La misura non gode nemmeno del supporto della maggioranza del paese ma solo di una percentuale di americani che oscilla tra il 16% (Yahoo/Yougov) e il 27% (HuffPost).
Il motivo principale di tale scetticismo sembra dipendere dal fatto che per molti americani lo slogan è ancora troppo vago e destabilizzante. Prova ne sia che quando nei sondaggi la domanda viene riformulata, se si mette da parte lo slogan e si chiede ai cittadini se siano d’accordo o meno con la possibilità che parte dei fondi pubblici anziché alla polizia venga devoluta ad esempio ad agenzie preposte alla gestione di emergenze sanitarie e abitative, il risultato cambia e il 70% dei neri si dichiara a favore. Come a dire, sì a considerare nuove best practices ma non a costo di essere penalizzati in termini di sicurezza.
Usa ultime notizie: la metà dei neri chiede più polizia
Che per gli afroamericani la sicurezza sia un tema da maneggiare con cautela lo si vede anche dalle risposte date su altri fronti come ad esempio la necessità di aumentare o ridurre il numero degli agenti. Secondo i dati raccolti da Yougov lo scorso 9 giugno, nonostante il 49% dei neri sostenga di sentirsi meno sicuro quando incontra un agente di persona, il 50% è convinto che “servano più poliziotti in strada”.
Le ambivalenze però non finiscono qui. Se da un lato 8 neri su 10 sostengono di essere il gruppo demografico più discriminato dalle forze dell’ordine, secondo un sondaggio della Monmouth University il 72% si dichiara molto o mediamente soddisfatto dell’operato della polizia locale, perfettamente in linea con la media nazionale di 7 cittadini su 10 pronti a esprimere parere positivo. Non solo, il grado di soddisfazione che nel 2015 si attestava attorno al 50% sarebbe aumentato proprio negli ultimi anni, praticamente durante l’amministrazione Trump.
Il perché di questo doppio binario di fiducia/sfiducia nei confronti della polizia non è stato indagato ma probabilmente riflette un dilemma intrinseco ad una comunità da tempo stretta tra due fronti: da un lato il controllo costante della polizia, dall’altro tassi di criminalità sia commessa che subita drammaticamente alti.
Afroamericani: vittime e carnefici
In questo periodo è stato spesso riportato come il 90% dei neri venga ucciso da altri neri. In realtà il dato è di per sé poco esplicativo dato che i crimini violenti sono quasi sempre intrarazziali tant’è che anche l’83% dei bianchi viene ucciso da altri bianchi.
Quello che invece merita di essere considerato è il cosiddetto tasso di vittimizzazione e quindi il rischio che un cittadino finisca vittima di crimini violenti o di omicidio. Ebbene, mentre tra i bianchi le vittime di crimini violenti sono 3 ogni 100.000, tra i neri il numero schizza a 20 su 100.000. I neri non solo subiscono più omicidi dei bianchi, ma sono anche quelli che ne commettono di più. Considerando che i neri sono il 13% della popolazione mentre i bianchi il 60%, il tasso di criminalità dei neri viene mediamente collocato tra le 3 e le 4 volte quello dei bianchi.
Usa ultime notizie – Dopo casi di cronaca virali impennata di crimini
Il triste primato di “vittime e carnefici”, sembra trovare conferma anche in questi ultimi 10 giorni a Seattle, con 4 sparatorie nella zona autogestita dai manifestanti antirazzisti, un morto e un ferito grave, entrambi neri.
Uno scenario di fatto anticipato dai risultati dell’ultimo studio dell’economista Roland Fryer. Secondo lo studioso, noto peraltro per essere il più giovane afroamericano ad aver ottenuto una cattedra ad Harvard, ogni volta che la polizia viene indagata sulla scia di un evento mediaticamente virale, nelle settimane successive i crimini si impennano in modo drastico e i neri sono quelli che pagano il prezzo più alto. Se in situazioni ordinarie infatti, le indagini sulla polizia portano ad una riduzione della criminalità, nel caso di eventi che diventano virali, quando le indagini d’ordinanza si traducono in una sorta di messa in stato d’accusa della polizia, con interventi punitivi scatenati da scontri di piazza dall’alto clamore mediatico, si ottiene l’effetto opposto perché la polizia finisce per ridurre le proprie attività.
La conclusione arriva dopo aver analizzato 5 tra i più clamorosi assassini di civili da parte della polizia di questi ultimi anni, da quello di Freddie Gray a Baltimora al caso di Michael Brown a Ferguson fino a quello di Laquan McDonald a Chicago freddato con 16 colpi in 15 secondi. Ebbene, dopo l’omicidio di McDonald a Chicago, le interazioni tra polizia e civili erano diminuite addirittura del 90%, stessa cosa a Riverside e a St Louis. Sempre nelle medesime città, nelle settimane successive ai casi analizzati, si erano verificati 200 omicidi in più e un totale di 34000 crimini oltre la norma.
La teoria sembra trovare conferma anche dopo il caso Floyd perché da fine maggio, crimini e omicidi sono aumentati “inspiegabilmente” in molte grandi città. Non solo a Seattle. Lo scorso 18 giugno Detroit registrava un aumento del 30%, picchi anche a New York e a Los Angeles dove solo tra il 31 maggio e il 6 giugno il balzo è stato del 250%.
Che fare? Secondo Fryer non ci sono soluzioni rapide. “Il cambiamento deve per forza passare attraverso il compromesso – spiega – tra l’esigenza di monitorare i comportamenti della polizia punendo quelli sbagliati e dall’altro quella di evitare che la condanna di discriminazioni e razzismo finisca per limitare troppo delle attività che dopotutto sono fondamentali se vogliamo ridurre i crimini e salvare le vite dei neri”.
Polizia razzista? Difficile trovare delle prove
Usa ultime notizie – La rapidità con cui i sindaci più solerti stanno annunciando tagli alla polizia sembrerebbe far pensare che questa è davvero la risposta giusta per combattere il razzismo della polizia, il che presuppone che da qualche parte ci sia una sorta di prova scientifica che permetta di sostenere che la polizia è razzista. Non è così. Se la polizia sia razzista o meno, in ambito scientifico è un problema tutt’ora aperto. Difficile anche stabilire a che livello agisca esattamente l’eventuale stereotipo razzista.
È razzista il poliziotto che spara contro un nero, quello che decide di fermarlo per un controllo o il razzismo entra in gioco quando un dipartimento di polizia decide su quale quartiere concentrare le forze? Quanto incide sul numero di omicidi la frequenza con cui gli agenti incontrano sospetti violenti e armati?
Difficile rispondere a queste domande e a detta di tutti i ricercatori il problema numero uno dipende dal fatto che i dati disponibili sono pochi e parziali. Le informazioni vengono trasferite all’FBI su base volontaria e solo il 40% dei commissariati collabora fornendo rapporti e statistiche. Proprio per questo spesso vengono studiati “parametri spia” poco chiarificatori o non risolutivi. È il caso anche del controverso studio di Joseph Cesario secondo il quale i poliziotti bianchi non sono più “razzisti” dei loro colleghi neri.
Sicuramente i neri vengono fermati e controllati dalle forze dell’ordine con maggiore frequenza rispetto ai bianchi ma disparità e motivazioni variano da regione a regione. In una ricerca condotta nel 2014, Charles Epp e Steven Maynard-Moody dell’Università del Kansas hanno rilevato ad esempio che mentre bianchi e neri ricevevano lo stesso numero di “traffic safety stops” (controlli mirati al rispetto del codice della strada) i neri under 40 erano i target preferiti degli “investigatory stops” (controlli proattivi di cittadini sospetti), sia che si trovassero alla guida di macchine economiche sia costose. Lo studio di Justin Nix della University di Louisville si è invece focalizzato sulle disparità nel numero dei sospetti uccisi nel 2015 anche se disarmati. Anche qui il risultato è a sfavore dei neri perché i disarmati era il 15% contro il 6% dei bianchi.
Se queste differenze dipendano da discriminazioni razziste o da altri fattori, gli studiosi però non sono in grado di dimostrarlo. Anzi, è lo stesso Nix a precisare che questi risultati sono solo una sorta di “evidenza preliminare degli effetti di stereotipi impliciti”. In pratica, niente più di un indizio.
Usa ultime notizie: neri detenuti, pochi solo per razzismo
Una stima di quanto il “sistema” sia razzista o meno la fornisce a sorpresa il rapporto di Sentencing Project, ONG vicina alle sensibilità di Black Lives Matter. A titolo esemplificativo viene presa in esame la popolazione carceraria e dunque il fatto che i neri, pur essendo il 13% della popolazione, costituiscano il 34% dei carcerati con un tasso di carcerazione che la National Association for the Advancement of Colored People quantifica in 5 volte superiore a quello dei bianchi.
Ebbene, secondo gli studi citati nel rapporto, il coinvolgimento nella criminalità incide nel 61/80% dei casi. Non poco. Discriminazioni razziali e stereotipi invece, insieme ad altri fattori, inciderebbero sul restante 20/39% dei casi.
Insomma, se è vero che la maggioranza dei casi di incarcerazione è una funzione del tasso di criminalità, si dovrebbe dedurre che il razzismo di fatto è meno “sistemico” di quanto Black Lives Matter sostenga.
Che poi il tasso di criminalità sia a sua volta una funzione di condizioni di svantaggio economico, tassi di povertà e disoccupazione quasi il doppio rispetto alla media nazionale e che tutto ciò dipenda da un razzismo strutturale, è un’altra storia a meno che non si voglia iniziare a “defund” anche politici e amministratori.
Ora, se l’ondata di cambiamento chiesta a gran forza da Black Lives Matter dovesse finire per schiacciarsi sulla messa in stato d’accusa della polizia, se dovesse ottenere come unico effetto mosse politiche che sembrano utili più alla propaganda elettorale che non a intraprendere un vero percorso di cambiamento, il rischio è che il prezzo più alto lo pagheranno ancora una volta soprattutto gli afro americani dato che le vittime di omicidi e crimini violenti sono soprattutto loro.
La morte di Floyd offre agli Stati Uniti un’opportunità di riflessione profonda ma una riforma della polizia deve passare attraverso un percorso ragionato e paziente, non porsi come risposta emotiva alle pressioni della piazza e dei social. Non è certo sbarazzandosi in fretta dei “cops” che i neri potranno essere più sicuri e se come dicono i sondaggi, lo slogan “Defund the Police” non convince soprattutto loro, forse qualcosa vorrà dire.
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