Non di rado dai rapporti di lavoro possono nascere attriti, tensioni e divergenze che trovano nei tribunali il luogo idoneo ad una soluzione, favorevole al lavoratore oppure al datore di lavoro. Di seguito vogliamo segnalare una recente ed interessante pronuncia della Corte di Cassazione, con la quale è stato chiarito se davvero può ritenersi legittimo il licenziamento per fumo a lavoro. Vediamo più nel dettaglio.
Fumo a lavoro e legittimità del licenziamento: rilevano le circostanze concrete
La sentenza a cui ci riferiamo è la n. 12841 del 2020, dalla quale emerge un dato significativo: non è la sussistenza del divieto di fumo, a costituire – in ogni caso – il presupposto per il licenziamento del lavoratore; in altre parole, sono le circostanze concrete – e diverse di volta in volta – a giustificare, o meno, la scelta del licenziamento per fumo a lavoro. In particolare, nel caso esaminato dalla Suprema Corte è stata confermata la decisione della Corte d’Appello di reintegrare il lavoratore licenziato per fumo a lavoro, in considerazione del fatto che il mancato rispetto da parte dello stesso del divieto di fumo, valevole nei locali della ditta committente, non ha comunque fatto emergere – tenuto conto del contesto e delle circostanze concrete – un comportamento idoneo a minacciare la sicurezza dei luoghi e l’incolumità delle persone. Insomma, il licenziamento per giusta causa dovuto al fumo a lavoro, pur nella presenza del divieto, può essere annullato, comportando la reintegra sul posto di lavoro. La Suprema Corte ha rilevato, nel caso recentemente affrontato, che il licenziamento appare giustificato soltanto nell’ipotesi in cui il dipendente sia trovato “a fumare dove può provocare pregiudizio all’incolumità delle persone o alla sicurezza degli impianti“. Insomma, se il dipendente – pur a lavoro – non fuma in luogo potenzialmente pericoloso, potrà se mai parlarsi di una mera contravvenzione, e non di licenziamento (che sarebbe illegittimo): la conseguenza sanzionatoria allora sarebbe rappresentata dall’ammonimento o dalla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.
Senza rischi per salute e sicurezza il licenziamento è illegittimo
È interessante far notare, in particolare, un dettaglio del ragionamento seguito dalla Corte di Cassazione, che ha determinato la pronuncia di illegittimità del licenziamento per violazione del divieto di fumo a lavoro. In base alla ricostruzione dei fatti, il lavoratore era stato trovato a fumare in una zona di intercapedine presente tra i vari uffici, senza impianti, bombole infiammabili e persone nelle vicinanze. Tanto basta a ritenere tali circostanze concrete come non idonee a costituire una minaccia per la salute dei colleghi e della sicurezza del luogo di lavoro.
Infatti, in materia di licenziamento per giusta causa, deve sempre rilevare il principio di proporzionalità tra responsabilità e recesso: ovvero, il comportamento – per essere ragione di licenziamento per fumo a lavoro – deve essere così grave e contrario alle regole aziendali, da ledere in modo irreversibile il rapporto di fiducia tra azienda e lavoratore stesso. Tale comportamento, nelle circostanze affrontate dalla Corte di Cassazione, non è stato rintracciato, in quanto il lavoratore ha optato per accendersi una sigaretta in uno spazio “riparato” e comunque non a stretto contatto con persone e/o fonti di pericolo. Nulla insomma che possa far seriamente dubitare della futura correttezza del lavoratore o che possa far pensare ad una sua scarsa inclinazione al rispetto dei doveri di buona fede, diligenza e correttezza, che debbono sempre caratterizzare il rapporto di lavoro.
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