Uzbekistan: l’eccidio di Andijan, un anniversario interessatamente dimenticato
DA LONDRA – Ricorre in questi giorni l’anniversario di quella che è una delle pagine più nere della recente storia centrosiatica: ossia l’eccidio di Andijan. Tra il 12 ed il 13 maggio 2005 una folla di dimostranti attaccò la locale prigione per liberare 23 detenuti – scapparono poi in 200 – e si riversò quindi nelle strade chiedendo le dimissioni del presidente Karimov e riforme sia politiche che economiche.
[ad]Quella che seguì fu una vera e propria mattanza condotta dalle forze speciali uzbeke; il conto delle vittime non è mai stato fatto ed il numero viene stimato secondo alcuni analisti addirittura nell’ordine delle migliaia. I 23 detenuti erano uomini d’affari locali accusati dalle autorità di essere membri del movimento Akramia, ritenuto una costola del partito panislamico Hizb ut Tahrir (partito della liberazione islamica), a sua volta accusato di legami con Al Qaeda. Andijan, capitale della provincia omonoma, si trova nella Valle di Fergana, la regione più densamente popolata dell’Asia Centrale nonché una delle zone dove è piu’ forte il radicamento religioso islamico, grazie anche alla presenza del già citato Hizb ut Tahrir (organizzazione dichiarata fuorilegge dalle autorità uzbeke) che professa il rovesciamento dei regimi esistenti e la costituzione di un califfato islamico centroasiatico.
Un momento della repressione dopo la strage
Ciò che accadde veramente quel giorno, e nei giorni successivi, nella popolosa città uzbeka, la quarta del paese, non si saprà mai. I media occidentali furono allontanati e confinati a Tashkent, e la repressione che seguì, spesso colpendo la popolazione indiscriminatamente senza risparmiare nemmeno i bambini, portò ad una fuga massiccia verso i paesi vicini, in particolar modo verso il Kirghizistan, con la conseguente chiusura delle frontiere, creando così una vera e propria emergenza umanitaria.
Il fondamentalismo islamico in Uzbekistan è questione complessa. Se sono innegabili le influenze in particolar modo wahabite tuttavia la mancanza di opposizione nella vita politica del paese e l’impossibilità di esprimere dissenso rendono difficile stabilire quanto l’adesione popolare ai movimenti islamici, radicali o meno, sia dovuta a convinzioni religiose e quanto invece a più laiche rivendicazioni sociali ed economiche. Lo stesso Hizb ut Tahrir si fa portavoce di istanze sia religiose che di riforma sociale, professando metodi di lotta non violenti; Hizb ut Tahrir che prese le distanze dai disordini di Andijani, individuandone le cause nella politica fallimentare e autoritaria di Karimov. Le accuse di fondamentalismo islamico sarebbero quindi uno dei mezzi che le autorità uzbeke usano per stroncare possibili opposizioni.
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