Abbiamo già parlato più volte di rapporti di lavoro e licenziamento, ricordando le norme che attengono ai diritti e doveri del datore di lavoro e del dipendente. Qui di seguito vogliamo affrontare una questione pratica che sicuramente interesserà molti di coloro che lavorano in modo subordinato: che cosa succede in caso di licenziamento illegittimo? quali sono le tutele che può azionare il lavoratore in ipotesi di licenziamento disciplinare non adeguatamente fondato e motivato? Dobbiamo infatti ricordare che anche la contestazione disciplinare può non essere sorretta da valide motivazioni e, nel nostro Paese, ben sappiamo che la legge non riconosce all’azienda la totale libertà di licenziare il personale, anche in assenza di una giustificazione. Vediamo quindi, più nel dettaglio, quali tutele sussistono per il lavoratore subordinato che ha subito un licenziamento disciplinare illegittimo e quando scatta il reintegro dopo tale licenziamento.
Licenziamento disciplinare: di che si tratta in concreto?
È ben noto che il lavoratore, quando firma il contratto di lavoro, si impegna a rispettare determinati obblighi durante il rapporto di lavoro. Analogamente, anche sul datore di lavoro gravano alcuni rilevanti obblighi, come quello di pagare lo stipendio e versare i contributi. In particolare, l’art. 2106 del Codice Civile (dal titolo “Sanzioni disciplinari“) prevede conseguenze sanzionatorie per il lavoratore che non adempie agli obblighi derivanti dal contratto individuale di lavoro, ma anche dalle norme del diritto del lavoro e dal CCNL di riferimento. Insomma, nei casi in cui il lavoratore viola doveri come ad esempio quello di fedeltà o quello di diligenza, l’azienda può ben servirsi del cosiddetto potere disciplinare per tutelarsi contro il proprio dipendente negligente o poco incline al rispetto delle regole. Tuttavia, come dice l’articolo citato e come ricordato più volte dalla giurisprudenza, deve sempre sussistere proporzionalità tra la gravità del fatto del lavoratore e la tipologia di sanzione disciplinare a lui inflitta.
È chiaro che il licenziamento disciplinare è la più grave sanzione disciplinare tra quelle esistenti, dato che è la sola punizione che comporta il venir meno del rapporto di lavoro in essere.
Tuttavia, il licenziamento disciplinare non può essere deciso all’indomani dell’infrazione commessa dal lavoratore: è necessario rispettare un iter composto di più fasi, al fine di garantire comunque l’esercizio del diritto di difesa del lavoratore. Perciò, avremo un procedimento disciplinare ad hoc che inizia con la cosiddetta contestazione disciplinare (ne abbiamo già parlato diffusamente qui), che prosegue con le difese scritte od orali del lavoratore e che può concludersi o con l’archiviazione del procedimento disciplinare o con l’emissione della sanzione. Se l’azienda opta per la sanzione, deve però attenersi a quanto solitamente previsto dal CCNL di riferimento ed in particolare deve attenersi alle regole del CCNL che prevedono una certa sanzione disciplinare piuttosto che un’altra, a seconda della gravità dell’infrazione commessa. Se il comportamento del lavoratore è ritenuto molto lesivo per l’azienda, il datore potrà decidere per il licenziamento disciplinare, che nel nostro ordinamento può essere o per giusta causa, o per giustificato motivo soggettivo (abbiamo già parlato qui, in dettaglio, della differenza tra i due tipi di licenziamento).
Come tutelarsi in ipotesi di licenziamento?
Il dipendente che ritenga di aver subito ingiustamente un licenziamento disciplinare, può – a seguito della ricezione della lettera di licenziamento disciplinare – impugnare il licenziamento, se valutato come infondato. Tale licenziamento è illegittimo se non è adeguatamente motivato e se, in particolare, segue ad una contestazione disciplinare non dettagliata, oppure se la contestazione disciplinare arriva in ritardo, oppure ancora se non viene rispettato l’iter formale del procedimento disciplinare (ad es. non viene spedita la lettera di contestazione disciplinare). Altri presupposti dell’illegittimità del licenziamento sono l’insussistenza del fatto che ha prodotto il licenziamento; l’incongruenza tra i fatti segnalati nella lettera di contestazione disciplinare ed i fatti segnalati nella lettera di licenziamento disciplinare; ed, infine, la mancanza di proporzionalità tra il fatto lesivo e la sanzione emessa. Ma come funziona, di fatto, l’impugnazione del licenziamento?
Ebbene, l’impugnazione è fatta con l’invio all’azienda di una lettera di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, da spedirsi entro 60 giorni a decorrere dal giorno nel quale il dipendente ha ricevuto la missiva contenente il licenziamento. Dal giorno nel quale è stata spedita la citata lettera di impugnazione all’azienda, scatta un altro termine, corrispondente a 180 giorni, entro il quale effettuare il deposito del ricorso contro il licenziamento disciplinare, in tribunale, affinché il giudice del lavoro si esprima, in maniera neutrale, sulla fondatezza o infondatezza del recesso unilaterale, da parte del datore di lavoro.
Cosa succede se il licenziamento è davvero illegittimo?
A questo punto, la domanda che potranno porsi in molti, è la seguente: quali conseguenze pratiche si verificano nel caso il giudice del lavoro acclari che si tratta di un licenziamento disciplinare illegittimo? Ebbene, le conseguenze non sono sempre le stesse, ma variano in considerazione della data di assunzione del lavoratore ed in relazione alle dimensioni dell’azienda presso cui era impiegata la persona licenziata. Possiamo schematizzare le conseguenze nel modo seguente:
- tutela reintegratoria piena: laddove a seguito della causa in tribunale, sia chiarito che il licenziamento disciplinare è nullo oppure caratterizzato da discriminazione (di cui abbiamo già parlato qui con riferimento alla violazione della “parità di trattamento tra i lavoratori”) o ritorsione;
- altrimenti, il reintegro per licenziamento disciplinare illegittimo si ha soltanto se nell’azienda lavorano almeno 15 dipendenti ed esclusivamente se in corso di causa è provata l’insussistenza del fatto contestato, ovvero la sua mancata realizzazione concreta oppure la sua irrilevanza come illecito.
Concludendo, non dobbiamo dimenticare però che il reintegro sul luogo di lavoro si accompagna sempre al versamento di un’indennità corrispondente alle mensilità di stipendio che il dipendente avrebbe incassato se non fosse mai stato licenziato, dal giorno di licenziamento fino al giorno di effettivo ritorno sul luogo di lavoro. Rimarchiamo però che il lavoratore potrà ottenere tutela solo se agirà con tempestività e rispettando le scadenze citate.
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