Nel maggio del 1945 i partigiani jugoslavi di Tito fucilano e seppelliscono un numero imprecisato di italiani tra cui donne e bambini. Alcuni storici dicono che il numero si può calcolare tramite misurazioni: il pozzo prima del 1945 era profondo 228 metri, dopo il 1945 erano 198, per un totale di 250 metri cubi di cadaveri. Altri dissentono dicendo che lì dentro furono seppelliti solo nazisti, cavalli e munizioni. Nel 1980 la foiba viene dichiarata monumento d’interesse nazionale, nel 1991 Cossiga ci va in visita e si inginocchia, l’anno seguente Scalfaro lo nomina monumento nazionale.
È uno dei tanti, troppi orrori della seconda guerra mondiale, ed è usato come bandiera dall’estrema destra per dimostrare le barbarie della dittatura comunista. È notizia di oggi che Mattarella abbia fatto visita alla foiba di Basovizza assieme al presidente sloveno, Borut Pahor. Due corazzieri in alta uniforme hanno deposto una corona di fiori di fronte ai due uomini, che hanno scelto di tenersi per mano. Ed è un gesto di una bellezza, semplicità, eleganza e potenza che ho visto di rado nei miei 40 anni di vita.
Uno dei posti più quieti e al contempo spaventosi che si possano trovare in Italia è il sacrario del monte Grappa. Fa gelare il sangue per la sua immensità, per la vista, per quello che rappresenta e specie per chi c’è sepolto dentro: italiani e austroungarici sotto la stessa terra e sotto le stesse pietre. In tanti all’epoca storsero il naso dicendo che era una mancanza di rispetto verso i nostri caduti, ma i caduti non hanno più fede, nazionalità, idee o schieramento. Sono esseri umani che hanno dato la vita per il loro paese e i loro ideali tanto quanto i loro nemici, pagando il prezzo più alto.
Sfregiarne i resti è un gesto d’ego(ismo) dei vivi, che probabilmente così vogliono dimostrare agli altri vivi quanto sono puri, quanto la loro causa sia alta e giusta, come se odiare i morti nobiliti chi è rimasto in vita. Ma non è così; nella realtà si dimostrano solo persone piccole, meschine e ignoranti. Questi passeranno alla Storia come gli anni dell’odio, e tutte le meschinità dette e compiute per riuscire a convincere uno sconosciuto a premere un tasto che fa apparire un pollice non fanno alcuna differenza ai morti.
Chi sfregia i monumenti ai partigiani è patetico e meschino come chi sfregia quelli a qualsiasi caduto, soprattutto perché dimostra di non capire il senso, l’essenza, della vita e della Storia. È giusto e facile dire che bisogna ricordare, ed è altrettanto giusto – ma più difficile – capire che il perdono è l’unica strada per il futuro. Non puoi andare avanti se continui a guardare indietro. Rimani bloccato in un incubo paranoico che alla fine, quando dovremo morire, ci farà domandare cosa abbiamo fatto della nostra vita a parte perseguire i morti.
I morti non gridano vendetta.
I morti riposano.
A Vittorio Veneto sono ancora vivi i ricordi di quello che accadde durante l’invasione austroungarica, ci sono aneddoti e fotografie, ma questo non impedisce agli abitanti di accogliere austriaci sotto il proprio tetto o trovarsi a scambiarsi fotografie. Perché la morte chiude ogni storia, recide ogni filo.
Andiamo avanti, impariamo dai nostri errori e ricordiamo i nostri caduti, perché hanno fatto in modo noi potessimo essere qui. È quello che Schindler cerca di spiegare ad Amon Goth: il potere è diverso dalla giustizia. Il potere è quando noi abbiamo ogni motivo per uccidere qualcuno e non lo facciamo, ma lo perdoniamo. Un fascista morto è uguale a un partigiano morto, perché davanti alla morte siamo tutti uguali. Ecco perché gli austroungarici sono seppelliti coi nostri alpini, ecco perché Mattarella tiene la mano di Pahor davanti alle foibe.