Il rapporto di lavoro tra azienda e dipendente deve essere sempre caratterizzato da principi di onestà, lealtà e correttezza, per tutta la sua durata. Da ciò deriva che provare una falsa malattia del lavoratore, può comportare – per quest’ultimo – conseguenze disciplinari non di poco conto, ben potendosi rischiare anche il licenziamento per giusta causa. Vediamo allora più nel dettaglio il caso della falsa malattia, quando ricorre di preciso e come è possibile dimostrarla. Facciamo chiarezza.
Falsa malattia: le finalità dietro la simulazione
Il lavoratore potrebbe avere più di una finalità – certamente non condivisibile – per simulare lo stato di malattia, e rischiare così di essere in un secondo tempo sanzionato a causa di tale comportamento: magari per trovare più ore di tempo libero e per svolgere i propri hobby preferiti, oppure per avere la possibilità di fare un secondo lavoro, o più semplicemente per andare in vacanza, oppure ancora per oziare e non pensare a nulla. Ma non solo: le finalità che spingono ad affermare una malattia in realtà inesistente, possono essere tante altre e ricordarne una ad una sarebbe impossibile. In ogni caso, va tenuto in considerazione che la simulazione di malattia o la falsa malattia è sempre un comportamento che viola le più elementari regole del diritto del lavoro e, pertanto, chi manifesta comportamenti inidonei allo stato di malattia oppure rallenta la guarigione, non sottoponendosi a tutte le cure e trattamenti previsti, rischia non poco. È in gioco infatti il legame di fiducia con il datore di lavoro, che laddove venga meno, comporta la fine anticipata del percorso in azienda, per ragioni di natura disciplinare.
Falsa malattia: come dimostrare la simulazione? La visita del medico Inps
Il punto però è capire come provare che il dipendente sta mentendo e sta simulando una malattia che non esiste. Ovvero: con quali strumenti è possibile dimostrare la falsa malattia del lavoratore subordinato? Anzitutto, per provare la simulazione va rimarcato che il mezzo comunemente usato è la visita fiscale del medico dell’Inps, la quale è finalizzata appunto a capire se davvero il lavoratore è vittima di una malattia e se sta seguendo tutte le raccomandazioni utili a guarire. In tali circostanze, il medico dell’Inps è tenuto ad appurare la correttezza della diagnosi e della prognosi individuate dal medico curante del dipendente.
La richiesta di tale visita può essere presentata via web dal datore di lavoro, già dal primo giorno di assenza del lavoratore dal posto di lavoro. Esiste anche la possibilità di una visita fiscale ambulatoriale, che è di solito svolta nel Centro medico legale della sede Inps quando il lavoratore è assente al momento della visita domiciliare oppure quando lo stesso lavoratore contesta i risultati della visita domiciliare (ma l’esito va contestato subito dopo la visita). In particolare, il lavoratore deve fare attenzione a non saltare più visite fiscali, non facendosi trovare a casa: il rischio concreto è quello di subire pesanti sanzioni disciplinari, fino al licenziamento per giusta causa.
In verità, però, la prassi ci insegna che quasi sempre la visita fiscale ha un esito positivo per il lavoratore, ed il medico di solito attesta formalmente la sussistenza della malattia addotta dal dipendente. Si potrebbe allora concludere che non sia affatto facile per l’azienda dimostrare la falsa malattia. In effetti, esiste qualche altro strumento per far luce sulla situazione, come vedremo tra poco.
Le indagini dell’investigatore come strumento per accertare le condizioni di salute
Come appena accennato, il datore di lavoro che non crede alla versione del lavoratore e invece ritiene che si tratti di falsa malattia, può attivarsi con un altro strumento per accertare la verità: le indagini di un investigatore privato. Su questo piano, diverse sentenze della Corte di Cassazione hanno sancito che tali indagini sono legittime e non violano i fondamentali diritti del lavoratore, in quanto mirate a chiarire se davvero il certificato medico contenga dati veritieri sul dipendente in malattia. E ciò vale pur in presenza della regola per cui sarebbe inibito, in via generale, al datore di lavoro di compiere qualsiasi controllo sull’idoneità e sull’infermità per malattia del lavoratore, tranne il controllo disposto appunto mediante il sopracitato servizio ispettivo dell’INPS, ovvero il medico fiscale (art. 5 legge n. 300 del 1970, il cosiddetto Statuto dei lavoratori). Infatti, sul datore di lavoro grava comunque il dovere di tutelare il suo patrimonio aziendale e anche gli altri lavoratori subordinati. Attraverso le risultanze delle indagini svolte da un’agenzia investigativa debitamente autorizzata, può insomma contestare la malattia del lavoratore, alla luce delle circostanze di fatto emerse appunto dalle indagini, attestanti un comportamento del lavoratore non compatibile con lo stato di malattia.
I social network come strumento a favore dell’azienda
In verità, anche le moderne tecnologie possono essere di aiuto e possono permettere la datore di lavoro di capire se il dipendente sta mentendo. Infatti, tramite social network quali Facebook o Instagram, l’azienda può scovare foto e post che diano prova del buon stato di salute del lavoratore. Le prove acquisite, come anche le stesse foto di Facebook, possono perciò essere utilmente portate in giudizio e fatte valere come prove determinanti il licenziamento legittimo, nel caso il dipendente faccia ricorso contro il licenziamento per falsa malattia. Addirittura potrebbero esserci delle conseguenze di tipo penale, laddove il lavoratore sia denunciato per truffa ai danni dell’azienda.
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