Ricordo distintamente quando ascoltai Mr. Simpatia per la prima volta. Ero in macchina con Ario, che il rap lo sopportava come io sopporto l’architettura modernista. Mi disse che aveva un disco che gli piaceva un sacco “anche se è la vostra musica sfigata”. Non furono dei rapper a farmelo conoscere, ma una persona qualunque. E appena ascoltai la prima strofa della prima canzone capii perché. Il bello del coraggio è che ti lascia allibito. Ti paralizza, anche se sei un avversario. Quando sei davanti a un atto di coraggio vero, puro, onesto, non puoi fare a meno di restare immobilizzato.
Dire che Mr. Simpatia cambiò il mondo del rap è una barzelletta da tanto è riduttivo. Fabri Fibra nuclearizzò il mondo del rap.
Dopo di lui niente rimase più lo stesso. Prima c’erano quelli col rap “impegnato” e quelli col rap “politicizzato”, ma chiunque facesse qualcosa che ambiva al divertimento o all’anima di una persona normale, italiana, veniva lapidato perché commerciale. Vendere era un reato imperdonabile nel mondo del rap anni ’90, così come portare strumentisti veri. Era una sorta di tacito patto d’ipocrisia e di mediocrità; io non oso niente, tu non osi niente e fluttuiamo scopiazzando gli americani raccontandoci che pure noi siamo poveri e viviamo nel ghetto, pure se la mamma ci cucina le tagliatelle.
Fibra conosceva bene questo meccanismo.
Sì, era dotato di un enorme talento e Uomini di mare ne era una perfetta rappresentazione, ma nessun disco rap di quel tipo avrebbe potuto arrivare al grande pubblico. Quando uscì Mr.Simpatia l’intera sfera hip hop rimase paralizzata. Era un disco che grondava umanità, realtà, paura, rabbia, rancore e quell’ironia tipica nostra che ci permette d’ascoltarlo. Chiunque dopo tre rime diceva “cazzo, questo sta male davvero, ma ci sono dei momenti in cui anch’io sono stato in queste condizioni”. Ascoltarlo era oltre la psicanalisi, era un viaggio dentro le nostre crisi, le nostre mancanze, i nostri eccessi, la nostra umanità.
Qualsiasi altra cosa fatta dall’hip hop, incluso il celebratissimo “Quelli che benpensano”, era polvere.
Perché a Fibra non interessava dire che era figo, non interessava giudicare la società dall’alto di non si sa cosa, non aveva pretese di fare il disco dell’anno: voleva solo dire che stava male e che gli stavano tutti sul cazzo in un ambiente che pareva la casa di Savonarola. Ambiente che tentò di reagire accusandolo, sfottendolo, criticandolo più o meno con la stessa potenza di una zanzara contro il cruscotto di un SR-71.
Poi Fibra firmò con l’Universal e diventò altro, spalancando le porte a tutti quelli che volevano fare qualcosa ma non ne avevano il coraggio. E soprattutto, al pubblico che adorava certe cose, ma non aveva il coraggio di ammetterlo.
Fibra sapeva che si stava suicidando, per questo nella copertina del disco c’è lui dopo che s’è sparato in testa. Questo non è meritorio, è solo triste. Ma fece una cosa che nessuno intenzionato a vivere avrebbe mai osato pensare: sì, io m’ammazzo, ma ammazzo anche tutti i nostri nemici con me. Questo le persone comuni non lo capirono, ma gli addetti ai lavori sì.
È grazie a Fibra che oggi abbiamo il rap in radio e oggi vendere, da rapper, è normale e accettabilissimo. Quando arriva l’ondata di censura e ogni cosa viene castrata, la pressione sale fino all’esplosione che libera tutti, anche quelli che contribuivano ad aumentarla, perché in realtà non piaceva manco a loro.
Quindi non preoccupatevi per questo crescendo di censura, politicamente corretto, processi di piazza, limitazioni di libertà di espressione: lì fuori c’è un Fabri Fibra che fa sul serio.