Socializzare online è diventato un macello. Oramai tutti cadono nel drama più infantile, si offendono al minimo equivoco e tengono il broncio per mesi, nascondendosi dietro manovre passivo aggressive e/o commenti a nuora affinché suocera intenda. Il fatto è che siamo meglio di così. Le persone dietro gli account sono meglio di così, alcune le conosco di persona e parlarci è un piacere. Eppure dietro una tastiera si finisce per scannarsi quando dal vivo non accadrebbe.
Quindi la prima domanda, l’unica davvero intelligente, è: perché siamo in Internet? Ci sono solo due risposte, e possono essere vere entrambe: 1) per ridere e 2) per migliorare noi stessi. Di conseguenza, l’unico momento in cui vale la pena prendere sul serio quello che succede in Internet è quando si tratta di imparare.
Il resto deve garantire divertimento positivo, non tossico.
Eppure, ai tempi della mia rubrica “consigli che ti darebbe il nonno per vestirti”, c’era gente che continuava a mandarmi link dicendo “qui parlano male di te”, “qui dicono che non ne sai un cazzo”, “qui che sei uno stronzo”. Non che li abbia mai cliccati, ma perché senti il bisogno di informarmi? Bè, perché speri che io ci vada e ci litighi, così da poter postare la gif dei popcorn e intrattenerti.
Ieri mi scrive uno sconosciuto su Linkedin.
Ma che vita hai?
Stai in Internet per dire a qualcuno che qualcuno ha detto qualcosa e vuoi sapere la replica? Linciare gente, istigare conflitti, far del male, insultare, creare gogne, rodersi il fegato per giorni a causa di sconosciuti è divertente come iniettarsi eroina, non puoi essere tanto deficiente da farlo consapevolmente: o sei tossicodipendente, o non hai alternative alla solitudine.
Perché la mia idea è che Internet si sia corrotta quando sono arrivate persone sole, le quali invece di buttare i social e fuggirne il più distante possibile li abbiano usati per sostituirlo alla socialità. Fateci caso: complottisti, incel, nazitelle, se uscissero di casa sarebbero obbligati a cambiare, evolvere, adattarsi e trovare una realtà umana propria, che poi è molto meno aggressiva e minacciosa di come raccontano. Invece Internet li tiene incatenati a una “realtà” tossica che li alimenta e ne acuisce difetti, insicurezze, paure… e solitudine. È quella realtà in cui conta la propria “web reputation”, per capirsi.
Eppure un modo intelligente per starci esiste.
Stare fuori dai circoletti, dalle cricche, dalle pagine corali; ignorare le indignatio lavandaiae del giorno, gli slang, i tormentoni, i commenti disfattisti, i capipopolo che incitano. Costruirsi una timeline di cose che ci interessano, ci istruiscono e/o ci divertono. Farlo non ci rende ignoranti, ma ci fa trascendere. Non c’è niente di buono o di costruttivo nelle pagine corali, tranne nel caso siano pagine con un tema specifico in cui l’admin gira con la pistola.
Ai tempi del casino con GQ ho visto il capopopolo che fece partire tutto passare settimane rispondendo a migliaia e migliaia di sconosciuti su Facebook, su Twitter, su Youtube. Cosa ti spinge a una tortura simile? Come reggi mentalmente quei ritmi, sapendo che tra l’altro non ci guadagni un centesimo? Come sopravvivi in mezzo a tanto odio? Io non ho mai saputo cosa pensasse di me Ciccilla75 o Stellina83 e non mi è mai importato di discuterci per far loro cambiare idea.
Ho disinstallato le applicazioni per 72 ore.
Anche perché nessuno cambia idea, in Internet.
Specialmente se discute con qualcuno che ha uno straccio di visibilità maggiore. Il perché lo spiega bene questa frase:
“You know… i often though that the gangster and the artist are the same, in the eyes of the masses. They are admired and hero-worshipped, but there’s always present underlying wish to see them destroyed at the peak of their glory.”
(Stanley Kubrick, The Killing)
Chi idolatra qualcuno ingrassa il maiale che vuol scannare. Tutta la storia del “personal branding”, della credibilità, è un’idiozia che i tossici di dopamina si raccontano per poter continuare a ciucciare quel che gli provocano i botta-e-risposta in rete, e soprattutto per ignorare il proprio problema. La folla segue qualcuno per poter scrivere a un certo punto “mi hai deluso” e passare al prossimo tacchino. La fine di Internet è quella gif coi popcorn.
Perché è un meccanismo malato.
Non esiste mai un motivo valido per il doxxing. Fare del male agli altri non migliora la propria solitudine, non importa quanto la persona dall’altra parte abbia avuto o tenuto comportamenti scorretti. Anche perché è una farsa. L’espressività online è fasulla, nessuno si rotola per terra dalle risate, nessuno piange, nessuno “trema”, nessuno è “sconvolto”. Non stanno avendo una crisi di pianto o di ansia. Stanno solo cercando di manipolare l’attenzione su di loro. E tutto per una spremuta di dopamina.
Alla fine, qualsiasi interazione digitale sono due persone che si drogano per dimenticare la propria solitudine e il senso di isolamento o di vuoto esistenziale che proviamo tutti, raggiunta una certa età, ma lo gestiamo in modo differente; alcuni più costruttivo, altri meno. Per riconoscerli basta una domanda: le azioni di chiunque, online, creano contenuti autosufficienti? Sono capaci di far ridere (non deridere, cosa diversa) o istruire? Se la risposta è no, sono tossici.
E vanno fatti sparire dalla nostra vita.