Le notizie di cronaca spesso ci raccontano delle “imprese” dei cosiddetti “furbetti del cartellino“, ovvero lavoratori subordinati che, di fatto, non rispettano gli obblighi di legge in materia di timbratura del cartellino sul luogo di lavoro. Sono ben noti i casi di chi non va in ufficio, perché l’amico collega timbra al posto suo, oppure quelli di chi preferisce andare a lavoro, timbrare e poi uscire per andare a correre al parco, fare la spesa o bere qualcosa al bar. Gli episodi di questo tipo in Italia sono innumerevoli, ma il punto qui è il seguente: che cosa rischiano i furbetti del cartellino? ovvero a quali illeciti – e conseguenti sanzioni – vanno incontro, comportandosi così? Vediamolo.
Furbetti del cartellino: quali sono i rischi concreti?
Come accennato, si tratta di situazioni molto diffuse, e che non sembrano diminuire in quanto a numero di episodi. E ciò nonostante le denunce, gli arresti e le condanne degli ultimi anni. D’altra parte, in ipotesi di falsa timbratura del cartellino che segna le presenze e gli orari di entrata e di uscita, entra in gioco un illecito penale come quello della truffa aggravata, perché commessa ai danni dello Stato o comunque di un ente pubblico, laddove i furbetti del cartellino lavorino nella PA. Ma non ci sono soltanto conseguenze penali. Schematizzando infatti abbiamo:
- rischi sul piano disciplinare: possibilità di sanzioni disciplinari inflitte dal datore di lavoro e che possono arrivare anche al licenziamento del dipendente (tali sanzioni sono slegate da quanto accade nel processo penale, ed anzi possono anticipare gli esiti della causa penale);
- rischi sul piano penale.
Su quest’ultimo piano – come sopra accennato – la sanzione penale che colpisce il pubblico dipendente che non adempie a tutti gli obblighi di legge, è quella prevista per il reato di truffa aggravata, ovvero una pesante pena che prevede la detenzione in carcere fino a 5 anni e una multa superiore ai 1.500 euro. Si tratta di truffa nella variante aggravata – e non di truffa semplice – se appunto i furbetti del cartellino lavorano per una amministrazione pubblica.
Tuttavia, nel corso del procedimento penale, possono emergere ulteriori elementi che aggravano la posizione del dipendente: ovviamente essi andranno formalmente contestati dalla pubblica accusa. L’abuso delle relazioni d’ufficio, particolari artifici attuati in collaborazione con altri colleghi per nascondere le assenze dal lavoro, oppure lo scambio di cartellini tra colleghi-complici, sono solo alcuni esempi di circostanze aggravanti che, in quanto tali, se contestate dal PM e acclarate dal giudice nella sentenza, contribuiranno ad infliggere una pena più dura per i furbetti del cartellino.
La prassi relativa a questo tipo di illecito ci insegna che la condotta dei furbetti del cartellino è quasi sempre ripetuta nel tempo, e si caratterizza per diversi profili di illeceità, tanto che la ricorrenza della circostanze aggravanti – in questo tipo di reati – è la consuetudine e lo è quindi altrettanto l’applicazione di una pena aggravata, rispetto all’ipotesi-base.
L’incensuratezza può salvare dalla sanzione?
A questo punto, ci si potrebbe domandare se, nelle cause penali che vedono imputati i furbetti del cartellino, possa avere un qualche valore l’incensuratezza per ottenere le circostanze attenuanti generiche, che – se concesse – potrebbero alleviare la sanzione penale. Ebbene, ciò dipende dalla valutazione discrezionale del giudice. Ad esempio, nelle truffe del cartellino circostanza attenuante è anche, quella per la quale il furbetto, prima del giudizio penale, ripara integralmente il danno, risarcendo il datore di lavoro degli stipendi incassati durante le assenze ingiustificate. In diversi casi, rileva anche il comportamento dell’imputato durante il processo, ovvero la sua ammissione dell’illecito, oppure rileva la condizione di bisogno alla base della falsa timbratura (ad es. motivi familiari). Insomma, l’incensuratezza si deve accompagnare ad un “ravvedimento” dei furbetti del cartellino.
Concludendo, è chiaro insomma che spetterà al giudice fare luce, di volta in volta, sulle specifiche circostanze concrete ed inerenti la timbratura non pienamente conforme alla legge. Soltanto sulla scorta di tutti questi elementi, sarà possibile emettere una sentenza “proporzionata” all’entità del fatto commesso.
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