Smart Working fino al 15 ottobre: a chi spetta e come richiederlo

Smart working come strumento provvisorio anti-coronavirus: chi può servirsene fino al 15 ottobre, ovvero la data di fine emergenza?

Smart Working fino al 15 ottobre: a chi spetta e come richiederlo
Smart Working fino al 15 ottobre: a chi spetta e come richiederlo

Negli ultimi mesi, lo smart working ha rivoluzionato, almeno in parte, il mondo del lavoro. Come ben sappiamo, è stato introdotto nell’ambito delle misure adottate dall’Esecutivo per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da coronavirus. Il primo marzo 2020 è stato infatti varato un decreto che si occupa direttamente delle modalità di accesso allo smart working, confermate ed incentivate anche dalle successive disposizioni emanate per far fronte all’emergenza: ci riferiamo in particolare al DPCM del 26 aprile 2020, con il quale è stato raccomandato il pieno utilizzo della modalità di lavoro agile, o smart working appunto, per tutte quelle attività che possono essere svolte da casa o comunque a distanza.

Lo stato di emergenza in Italia – come ben sappiamo – è stato recentemente prorogato fino al 15 ottobre, ma quali sono le regole da seguire in tema di smart working da ora fino a metà ottobre? chi ne ha diritto fino a quella data? Facciamo il punto.

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Prima di chiarire chi sono i soggetti che potranno usufruire dello smart working fino alla fine del periodo di emergenza (e salvo ulteriori proroghe), vediamo chi resta escluso dall’estensione del lavoro agile fino all’autunno. Il diritto allo smart working in ipotesi di lavoratori genitori con almeno un figlio minore di 14 anni, disposto dal decreto Rilancio poi convertito in leggevale e si applica esclusivamente fino al 14 settembre, ovvero la data nella quale saranno riaperti gli istituti scolastici agli alunni.  

Chi può dunque continuare con lo smart working nel lasso di tempo compreso tra il 14 settembre e il 15 ottobre? Ebbene, in base a quanto previsto dal decreto legge del 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge n. 27 del 24 aprile 2020, per tutta la durata dello stato di emergenza, i lavoratori dipendenti disabili gravi o che abbiano nel proprio nucleo familiare un membro con grave disabilità, possono e potranno svolgere le prestazione lavorative in modalità agile, a patto che ovviamente vi sia compatibilità con le caratteristiche del lavoro. Sempre in base alla legge, inoltre, ai lavoratori dell’ambito privato con limitata capacità lavorativa è riconosciuta comunque priorità nell’accoglimento delle domande di svolgimento delle prestazioni a distanza.

Ad essi si aggiungono le persone che, sulla scorta di una valutazione del medico competente, siano maggiormente a rischio di contagio da coronavirus, per motivi di età o per condizione legata a immunodepressione, oppure per vari motivi di salute, che comunque vanno certificati da uno specialista del campo della medicina.

Pertanto, soltanto le categorie appena citate potranno continuare a lavorare “da remoto” almeno fino a metà ottobre (salvo proroghe dello stato di emergenza), le altre no.

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Ricordiamo altresì che le regole in tema di smart working valgono per tutti coloro che sono titolari di un rapporto di lavoro dipendente, mentre non sussiste questo tipo di tutela per i collaboratori coordinati e continuativi (cococo) e gli stagisti / tirocinanti.

L’iter per l’attivazione dello smart working “emergenziale” è in forma semplificata, dato che prescinde dall’accordo delle parti. La richiesta di attivazione del lavoro agile va fatta al proprio datore di lavoro, a condizione però che sussista la accennata compatibilità tra lavoro a distanza e prestazione. Occorre che la domanda sia redatta in forma scritta e consegnata a mani o inviata via mail.

Concludendo, non sono tuttavia esclusi spazi per possibili contenziosi presso il giudice del lavoro, aventi come tema l’esercizio dello smart working; per questo, c’è chi auspica – dopo la fine dell’emergenza – un veloce ritorno alle regole ordinarie in tema di telelavoro, fondate sul libero accordo delle parti e di cui alla legge n. 81 del 2017.

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