Le carceri messicane non sono famose per la loro sicurezza. La filiera di lavoro necessaria a far sì che il figlio del noto politico italiano possa sniffare cinquanta euro di cocaina parte da molto distante e richiede impegno, dedizione, competenza, motoseghe e svariate vite umane. Tra questi lavoratori c’è grande competizione e ricambio. In Messico dagli anni ‘80 c’era il monopolio del cosiddetto “cartello del Golfo” da cui nel 2002 si scissero i Los Zetas, ovviamente in modo poco pacifico – ma molto coreografico.
I Los Zetas si sono subito fatti conoscere massacrando 72 migranti con l’aiuto della polizia nel 2010, perché temevano volessero arruolarsi nel cartello rivale. L’anno dopo altri 193. Nello stesso anno avevano fatto un salto nel casinò di Monterrey e sterminato 52 persone. Poi c’era quella storia delle 49 teste mozzate trovate interrate. Il cartello del Golfo, ovviamente, tiene le stesse cifre ma da più tempo. In Messico spuntano di continuo teste, torsi e arti dappertutto.
I lavoratori di queste due aziende, quando beccati, vengono rinchiusi in luoghi fatiscenti dov’è difficile stabilire se sia più lontana la luna o la legge. Certo, sarebbe una buona idea separarli, ma evidentemente il governo messicano crede nella legge di Godzilla che consiste nel dire “io guardo se vedo scoiattoli, voi riducetevi di numero per magia”. E nelle carceri si arrangiano benissimo, con rivolte che producono decine di morti. Ma anche chi lavora ha bisogno di straviarsi e dimenticare per qualche ora i propri impegni.
Cosa c’è di meglio dello sport, per farlo?
Lo sport insegna alle persone principi e regole sacrosante, unisce, educa, sfoga la negatività e permette una crescita personale. Lo sanno bene nelle università americane e inglesi. Quindi viene organizzato non si sa da chi una partita di calcio amichevole tra il cartello del Golfo e gli Zetas, se per “amichevole” intendiamo una partita tra neonazisti pisani e comunisti fiorentini con arbitro Salvini, guardalinee americani, spalti senza polizia né barriere, ingresso libero e per concludere, nessuno dei presenti tocca una femmina da due anni.
È ragionevole aspettarsi qualche tensione.
C’era già stata nel 2016 nella prigione di Topo Chico, quando a causa di una divergenza d’opinioni una parola aveva tirato l’altra ed era finita con 49 morti tra machete, spranghe o arsi vivi. Questa volta l’idea è di focalizzarsi su “anno nuovo, vita nuova” e il 2 gennaio 2020 i due cartelli stabiliscono una tregua in cui giocare, invitando anche le rispettive famiglie ad assistere. Il numero di cose che potrebbero andare storte raggiunge quindi 1,000,000,000, a cui va sommato che il direttore del carcere(1) assicura(2)che la prigione è stata perquisita(3) da personale(4) qualificato(5) e non ci sono armi all’interno (6).
Siamo dunque a 1,000,000,000 cose che possono andare storte, e ben 6 che hanno già fatto il loro corso.
Dopo sette secondi dal calcio d’inizio c’è uno sgambetto, cosa assolutamente italiana a cui segue una protesta altrettanto italiana dalle panchine, dove però l’allenatore esprime il proprio disappunto estraendo una pistola e facendo fuoco sull’arbitro. I Gulf cartel non sono da meno ed estraggono fucili a pompa. Ne segue una mattanza di tre ore che coinvolge uomini, vecchi, donne e bambini, richiede l’arrivo di venti ambulanze, polizia federale e Guardia Nazionale con un bilancio finale di 15 morti accertati e l’ultimo che trapassa in ospedale.
Durante la seconda perquisizione vengono trovati 77 pacchi di marijuana, 17 coltelli, una sega chirurgica, 18 caricatori da mitragliatrice, un proiettile 9mm, due martelli, tre paia di forbici, nove cellulari con rispettivi caricabatterie, un hard disk, una bottiglia di whisky, un barile di birra. Purtroppo non esistono documentazioni audiovisive della più bella partita amichevole di tutti i tempi.