E se il ROS di Internet avesse ragione? Parliamone
Ci sono volte in cui mi domando se farsi domande sia la cosa giusta e sensata da fare. Man mano che invecchio la risposta peggiora.
Leggere l’hashtag del bambino disperso è agghiacciante. Per il principio del Milanese imbruttito, Twitter fa sembrare l’Italia un luogo di mitomani, idioti, millantatori, cialtroni che si credono del ROS, panchinari, battutisti e fanatici di pene corporali. In realtà è la folla, a essere fatta così. Presi da soli, questi tizi e tizie forse sarebbero in grado di riflettere, invece di fare la solita gara a chi è più puro.
A volte invece penso di no.
A volte, leggendo i vaniloqui di queste persone, credo – non tutte – manterrebbero quest’atteggiamento. E mi viene in mente quello splendido aneddoto della pazzia raccontato da Claudio Eliano, un filosofo del III secolo d.C. non molto famoso, eppure parecchio sveglio.
Su Varia historia racconta di un tal Trasillo che conduceva una vita normale, quel quotidiano alternarsi di noia, dispiaceri e felicità. Non era una cima, non era uno stupido: era proprio un tizio normale, che un giorno senza alcun motivo lasciò il proprio posto di lavoro e si diresse al Pireo, cioè il porto di Atene. Arrivato lì si sedette su una panchina a osservare le navi che andavano e venivano. Prese carta e penna e cominciò ad annotarne i nomi, i carichi, le destinazioni e i nomi dei capitani. Per motivi ignoti, Trasillo si era convinto di possedere ogni singola imbarcazione che vedeva.
Era diventato il matto del porto, ma molto educato.
Quando una nave tardava a salpare si informava delle motivazioni, dava una smossa al capitano, incitava i marinai e aveva il cuore in gola quando partivano, per poi emozionarsi e gioire al loro ritorno, come se i soldi dei carichi andassero nelle sue tasche. La cosa andò avanti per un pezzo, finché suo fratello tornò dalla Sicilia, venne a sapere di che fine aveva fatto il suo consanguineo e lo consegnò alle cure di un medico. Trasillo guarì e tornò alla sua vita precedente, ricordando con enorme nostalgia e piacere il tempo in cui gioiva vedendo approdare al Pireo le navi prive di danni.
La riflessione è una sorta di Matrix ante litteram.
Buona parte di noi comincia a chiedersi qual è il senso e lo scopo della propria vita quando è troppo tardi per cambiarlo. E se lo fa prima, si assicura di non creare danni trincerandosi dentro la routine quotidiana o dando nomi alle proprie domande e paure. Per alcuni è un esaurimento nervoso, per altri la crisi dei trent’anni e via dicendo.
Ma se lo scopo della vita è quello di essere felice, Trasillo non è guarito: al contrario, si è ammalato di nuovo. Realtà e finzione sono irrilevanti, se lo scopo è la felicità. Non importa se possiedi o meno la nave che rientra al Pireo: importa solo se sei felice – e ovviamente se sei capace di mentirti in maniera convincente.
Magari siamo tutti un po’ Trasillo. Anche quelli dell’hashtag.
Se il senso della nostra vita è la felicità, da loro abbiamo da imparare. Complottisti, sciachimisti, terrapiattisti, imbecilli #ioesco secondo cui il Covid non esiste, credono e contano navi che non possiedono né capiscono, e nel farlo sono felici. Sono impermeabili a qualsiasi tentativo di ragionamento. A volte penso che gli insulti che si pigliano ogni giorno siano dettati non dall’indignazione, ma da un’invidia che nasce dal cuore angosciato di tanti Michele degli indifferenti di Moravia.
«[…]avrebbe voluto non pensarci, e come ogni altra persona, vivere minuto per minuto, senza preoccupazioni, in pace con se stesso e con gli altri, “essere un imbecille” sospirava qualche volta; ma quando meno se l’aspettava una parola, un’immagine, un pensiero lo richiamavano all’eterna questione; allora la sua distrazione crollava, ogni sforzo era vano, bisognava pensare.»