Sulla definizione di Leadership. Terza puntata: il PDL

Pubblicato il 25 Maggio 2012 alle 12:08 Autore: Gianluca Borrelli

[ad]In questo sistema c’è un rex (legibus soluto, al di sopra della legge, più uguale di altri davanti alla legge, in quanto voluto dal popolo, in quanto “unto dal Signore”), ci sono i vassalli, i valvassini, i valvassori e infine i servi della gleba, che sublimano la loro gioia attraverso i trionfi e le gioie del “principe”.
Era così secoli fa, ma non è che una nazione possa cambiare all’improvviso, e, se si tiene conto che l’uomo Sapiens Sapiens ha poche decine di migliaia di anni, si capisce chiaramente che qualche centinaio di anni non possono fare davvero la differenza, alla lunga il vero retaggio di un popolo viene fuori.
Chiarito il ruolo di leader assoluto di Berlusconi (persino Bossi lo chiamava il “boss” con un linguaggio che la lingua tagliente di Sandro Curzi definì “da banda bassotti”) e avendo già parlato nella prima puntata di Bossi, che in qualche modo aveva una sua autonomia ed un suo “popolo di riferimento”, vediamo le altre figure vassalle del centrodestra italiano.
Escludiamo Casini che è stato “vassallo” solo fino al 2001. Da che divenne presidente della Camera si affrancò in sostanza dal controllo assoluto del boss ed ha proseguito poi per la propria strada al punto da meritare una riflessione a parte.
Parliamo di Fini. Grande mediaticità e capacità oratorie ma contenuti impalpabili (una specie di Veltroni di destra).
Incapace di prendere decisioni forti al momento giusto (avrebbe dovuto liberarsi della “trimurti” Gasparri La Russa Storace da molto prima ma non ebbe il coraggio di farlo), quando sceglie di andare per conto suo nel 2007 e di non salire sul predellino  – “sono il presidente di AN non sono una pecora” (sic!) – non mantiene il punto e già due mesi dopo scioglie il suo partito nel PDL del predellino.
Attende troppo quando cerca di fare cadere il Governo Berlusconi IV e fallisce per 3 voti alla fine di una incredibile campagna acqusiti parlamentare. Un mercato delle vacche che non ha paragoni col passato (ma le vacche, si sa, prima o poi vanno al macello).
Toltosi per sempre dal cono d’ombra berlusconiano si trova a vagare libero ma senza essere leader, anzi finendo, insieme a Rutelli, con l’accodarsi a Casini.
Nel 1993 da leader giovanissimo del MSI si batte per il proporzionale (temendo di finire emarginato in quanto estrema destra), perdendo insieme a Rifondazione Comunista. A differenza di quest’ultima, poco dopo, essendo stato “sdoganato” da Berlusconi, cambia idea e diventa uno degli alfieri del maggioritario, per poi nel 2005, sempre per questioni di convenienza, votare la nuova legge proporzionale – visto che col maggioritario di lì a un anno il centrodestra sarebbe stato asfaltato (nel maggioritario il centrodestra prendeva sempre un 5% in meno rispetto al proporzionale).
Non per convinzione, dunque, ma per opportunismo e per giunta sempre con un attimo di ritardo rispetto ad altri come Berlusconi e Bossi, che avevano senza dubbio più fiuto e visione di lui.

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L'autore: Gianluca Borrelli

Salernitano, ingegnere delle telecomunicazioni, da sempre appassionato di politica. Ha vissuto e lavorato per anni all'estero tra Irlanda e Inghilterra. Fondatore ed editore del «Termometro Politico».
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