Pagamenti con criptovalute e bitcoin: quando sono legittimi? La legge sul punto
Pagamenti con criptovalute: che cosa sono le monete virtuali e che in che cosa si differenziano dalle monete tradizionali. Quando è possibile pagare con i bitcoin?
Negli ultimi anni spesso si è sentito parlare di criptovalute, e tra esse il bitcoin è probabilmente la più nota, oltre che la prima criptovaluta introdotta nei mercati finanziari. Qui di seguito vogliamo cercare di capire come funzionano i pagamenti con criptovalute in Italia, ovvero come muoversi in questo nuovissimo settore, in cui le valute sono definite “digitali” e sono salite alla ribalta per alcune significative performance, registrate nel mercato.
Pagamenti con criptovalute: cosa sono le valute digitali?
In verità, oggigiorno le criptovalute non sono ancore definitivamente “esplose”, come probabilmente i sostenitori di questo nuovo mezzo di pagamento, si auguravano all’inizio. D’altra parte, l’idea alla base del bitcoin e di tutti i pagamenti con criptovalute, è certamente rivoluzionaria, se consideriamo il mercato finanziario tradizionale: infatti, con questo tecnologico sistema di pagamento, la moneta è di fatto sottratta all’emissione e al controllo di una banca centrale, legandosi invece ad una tecnologia assolutamente innovativa – la blockchain – che ha la peculiarità di essere gestita “alla pari”, ovvero da parte di una pluralità di utenti che partecipano a questo meccanismo. Tale tecnologia, ovvero la cosiddetta “catena di blocchi”, viene peraltro utilizzata in altri differenti campi, diversi da quello dei pagamenti con criptovalute.
Ci si potrebbe domandare perché si chiamano criptovalute: ebbene, questo nome deriva dal fatto che la loro sicurezza, nell’ambito delle transazioni economiche, è garantita da un meccanismo di protezione che non può essere attaccato dall’esterno, perché legato ad una sequenza di complessi calcoli matematici. Si tratta – come direbbero gli informatici – di un “protocollo inviolabile“, che peraltro è alla base della fortuna delle criptovalute, il cui debutto nel mercato finanziario risale ormai a più di dieci anni fa, ovvero al 2009.
Tale metodo di pagamento con moneta virtuale, ben diverso da quello tradizionale, pur non avendo ancora “sfondato” nei mercati, tuttavia ha una diffusione non irrilevante: infatti, in base ad un report della Banca Centrale Europea le criptovalute oggigiorno in circolazione sarebbero non meno di 500: tra esse, come accennato, il bitcoin è comunque la più utilizzata e conosciuta.
Un dettaglio di non poco conto in tema di pagamenti con criptovalute è però il seguente: essendo moneta virtuale, non viene emessa nè sottoposta a regole da parte di un’autorità centrale. In buona sostanza, è una moneta in qualche modo “indipendente” da alcune rigide e tradizionali logiche di mercato e, conseguentemente, non è possibile – a priori – individuarne un prezzo fisso che si lega a domanda e offerta. In questo contesto, il suo prezzo potrà certamente crescere o decrescere, in maniera assolutamente imponderabile.
Che cosa dice la legge a riguardo?
Essendo quello dei pagamenti con criptovalute, un settore inedito, non è stato agevole dare una qualificazione giuridica alle citate monete. Ogni paese dell’area UE ha dato una sua particolare interpretazione e definizione di tali valute tecnologiche; l’Italia in particolare, attraverso il contributo della Banca d’Italia, qualche anno fa ha usato le seguenti parole per definire cosa sono le criptovalute: “rappresentazioni digitali di valore, utilizzate come mezzo di scambio o detenute a scopo di investimento, che possono essere trasferite, archiviate o negoziate elettronicamente“.
È interessante ricordare anche che cosa ha detto l’Agenzia delle Entrate in merito al valore da attribuirsi ai bitcoin ed, in generale, agli acquisti con criptovalute: “Il bitcoin è una tipologia di moneta virtuale, o meglio criptovaluta, utilizzata come moneta alternativa a quella tradizionale, la quale ultima è emessa da un’Autorità monetaria ed ha valore legale“. Implicitamente l’Agenzia ha dunque ricordato che la criptovaluta in sè è moneta virtuale non avente valore legale. Ciò comporta, sul piano del diritto civile, importanti conseguenze in un rapporto credito-debito. Infatti, il debitore non può avvalersi di una operazione con bitcoin o criptovaluta, per liberarsi del suo debito. A riprova di ciò, abbiamo quanto stabilito dall’art. 1277 del Codice Civile, dal titolo “Debito di somma di danaro“: “I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale“. In buona sostanza, il creditore è certamente autorizzato ad accettare il pagamento soltanto con moneta tradizionale, emessa da un’autorità centrale.
È però possibile che creditore e debitore si accordino per ammettere la legittimità dei pagamenti con criptovaluta, ovvero i contraenti possono certamente stabilire autonomamente il pagamento in bitcoin, come corrispettivo o prezzo della prestazione (ciò è consentito anche dallo stesso art. 1279 del Codice Civile, intitolato appunto “Clausola di pagamento effettivo in monete non aventi corso legale“).
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