Non è certamente la prima volta che ci occupiamo della delicata materia degli assegni di mantenimento e del loro ammontare, sempre legato ai casi concreti emersi in tribunale ed alle valutazioni del singolo giudice chiamato a decidere la causa. Ne abbiamo parlato, ad esempio, con riferimento al figlio che studia all’università, oppure con riferimento alla sua pignorabilità. Recentemente, il tribunale di Terni ha emesso una interessante sentenza in tema di riduzione dell’assegno di mantenimento, laddove il reddito del soggetto tenuto a versarlo, sia diminuito per ragioni legate al covid-19. Vediamo più nel dettaglio.
In buona sostanza, il citato tribunale ha stabilito che l’assegno di mantenimento deve essere “riproporzionato” in relazione a quelle che sono le conseguenze economiche per chi lavora e ha subito una decisa contrazione dei propri affari o una forte diminuzione delle proprie attività, a causa dei divieti imposti nel lockdown e dei collegati rallentamenti alla normale routine di lavoro. Proprio come è successo al genitore cui la causa decisa dal tribunale di Terni, si riferisce: infatti, questi si è trovato a dover fronteggiare un non irrilevante calo del proprio reddito di libero professionista, dovuto a due essenziali ragioni. Da una parte, infatti, ha visto ridursi il numero di consulenze (la persona in questione è un consulente per le imprese), dall’altra ha avuto problemi di tipo sanitario (ha dovuto sostenere un intervento chirurgico): ecco spiegato dunque lo stop alla sua attività lavorativa.
Ragioni quindi di ordine pratico hanno condotto il tribunale alla decisione di rimodulare la quota dell’assegno di mantenimento a favore dei figli: non più 350, ma 200 euro. Si è trattato di un procedimento di divorzio, in cui la moglie peraltro chiedeva invece un aumento della quota fino a 400 euro, in considerazione delle maggiori esigenze dei figli. Domanda evidentemente non accolta dal giudice, che invece ha riconosciuto le ragioni del padre, in un momento delicato sia sul piano economico, sia su quello sanitario.
Non solo: a fondamento della richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento – poi di fatto accolta dal tribunale – sono stati anche gli oneri legati al pagamento del canone di affitto della casa in cui l’ex-marito vive dopo la fine del legame matrimoniale, e il fatto che l’assegnazione della casa familiare è andata a favore della ex-moglie. Tutti questi elementi, a sostegno della richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento, sono stati debitamente provati nella loro sussistenza, con la produzione di adeguata documentazione scritta in corso di causa.
Il tribunale, come appunto anticipato, ha dato ragione all’uomo, evidenziando che la sua attività consulenziale è stata in concreto una delle più colpite dalla crisi da covid-19. Queste le significative parole utilizzate dal giudice di Terni: “deve presumersi la contrazione dei redditi del resistente libero professionista a causa della pandemia, che ha comportato l’interruzione dell’attività libero professionale per circa due mesi“.
Concludendo, alla luce di quanto sopra, appare dunque giustificata la decisione del tribunale che ha ridotto l’ammontare dell’assegno di mantenimento, salvo rimodularlo di nuovo verso l’alto, in caso di ripresa dell’attività e di ritorno ai livelli di reddito pre-crisi.
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